Yunus Emre (1240?-1321?) è il poeta nazionale turco, il Dante della Turchia. Lo conoscete? Ovviamente no. A mia memoria solo uno studiosa italiana, Anna Masala, lo ha tradotto con continuità nella nostra lingua, in due riprese: nel 1978 (due volumi per i tipi dell'Università degli Studi di Roma) e nel 2001 (Semar Edizioni).
Una selezione delle poesie di Yunus può ritrovarsi nel recente Poesia popolare turca, a cura di G. Chaliand (Argo, 2005).
Scrive Anna Masala: "Quando i Turchi Selgiuchidi giunsero in Anatolia, nel secolo XI, l'eredità romana di Bisanzio era ridotta a ben povera cosa. I barbari oguzi dell'est costruirono scuole, fontane, caravanserragli, moschee, ospedali, osservatori, mentre le chiese cristiane crollavano più per mano cristiana che per odio musulmano.
L'Anatolia ... veniva ripopolata da una gente guerriera piena di fede, di amore sociale, che comprendeva il dolore dei servi della gleba autoctoni e si integrava con essi nel multiforme volto dell'Anatolia dei poveri.
Portavano i conquistatori turchi il fuoco mistico del Khorasan e si integravano mirabilmente con il substrato popolare anatolico, contadini senza terra cui l'aristocrazia bizantina prometteva benesseri celestiali e non materiali.
Da questo sodalizio di semplici nacque il popolo turco d'Anatolia, di cui fu rappresentante poetico Yunus".
Non è facile definire Yunus, figura presto ammantata di leggenda (numerose località ne rivendicano la sepoltura). I suoi versi calorosi e umani si intendono subito, colmi del piacere della verità e di un senso morale universale: può tuttavia intuirsi, pur nella traduzione, un sostrato religioso complesso e di cristallina aristocrazia: per questo vi sono tradizioni che lo vogliono o pastore semianalfabeta o, al contrario, studioso dotto e cosmopolita. La seconda ipotesi, condivisibile, rende ragione del suo stato di derviscio, ovvero seguace del sufismo: egli fu probabilmente un ricercatore mistico individuale che rigettava le lusinghe del mondo in una visione quasi panteista del Tutto (senza scostarsi dall'osservanza islamica: Muhammad, Maometto, fu la radice della speculazione sufi).
La poesie che segue esemplifica tale eccezionale afflato oltremondano.
Con i monti, con le pietre che io chiami Te, Signore,
nelle albe con gli uccelli che io chiami Te, Signore,
coi pesci negli abissi dei mari, con le gazzelle nel deserto,
fattomi derviscio, con il grido 'O Dio', che io chiami Te, o Signore.
Nei cieli con Gesù, sul Monte Sinai con Mosè,
col bastone di romeo nella mano che io chiami Te, o Signore.
Con Giobbe dai molti dolori, con Giacobbe pieno di pianto,
con il tuo Amico, Muhammad, che io chiami Te, O Signore.
Con lode e ringraziamento, con il grido 'Tu sei Dio',
salmodiando il nome di Dio, che io chiami Te, Signore.
Ho conosciuto lo stato del mondo, ho rinunciato alle sue vanità,
a capo scoperto, a piedi nudi, che io chiami Te, Signore.
Yunus recita in tutte le lingue, con le colombe e gli usignuoli,
con gli uomini che amano Dio, che io chiami Te, Signore.
Traduzione di Anna Masala, da Yunus Emre, II, 1978
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