Ti racconto un libro
Rossana Campo, Il posto delle donne
Ponte alle Grazie, pp. 152, euro 10
Maria Teresa Carbone
Rossana Campo, Il posto delle donne
Ponte alle Grazie, pp. 152, euro 10
Maria Teresa Carbone
Nota: le recensioni dei libri di
Rossana Campo si rivolgono solo in minima parte alla cerchia dei
lettori di Rossana Campo, e questa probabilmente non farà eccezione.
Attenti, però: qui non si vuol dire che gli estimatori dell'autrice
del Pieno di super o di Duro come l'amore appartengano
alla schiera dei non-lettori, di quelli che hanno solo la televisione
come strumento di informazione culturale. Al contrario, chi aspetta
con gioia che esca l'ultimo libro della scrittrice genovese e si
affretta a comprarlo, a leggerlo, a commentarlo poi con amici vicini
e lontani, è quasi sempre un lettore – o una lettrice – forte,
di gusti fini e attenti. Un lettore o una lettrice che, senza
attendere i consigli del recensore di turno, si accosta al nuovo
libro con l'atteggiamento di un cinéphile all'uscita di un
film del suo regista preferito: ne conosce e ne ama i temi, lo stile,
i tic e non vede l'ora di scoprire quale veste i temi, lo stile, i
tic assumeranno questa volta.
Così è di certo anche per Il posto
delle donne, che segna una tappa importante nel percorso della
scrittrice, perché per la prima volta un suo testo narrativo non
porta più la sigla di Feltrinelli, che l'aveva accompagnata fin
dall'esordio di In
principio erano le mutande, nel 1992, ma si inserisce
nella giovane collana “Scrittori” di Ponte alle Grazie, dove sono
già usciti Laura Pugno e Emanuele Trevi e, fra gli autori stranieri,
Cees Nooteboom e Philippe Claudel. Non si preoccupino, però, i
fedeli lettori: al cambio di marchio editoriale non corrisponde un
tradimento del patto che Rossana Campo ha stretto e mantenuto con
loro per oltre vent'anni. Tutti gli elementi che le hanno guadagnato
il suo circolo (assai vasto) di aficionados e che rendono
riconoscibile ogni suo romanzo ad apertura di pagina ci sono: ancora
una volta l'io narrante è una donna sola, arrabbiata, in crisi (in
questo caso la sua amante l'ha appena lasciata per un'altra); ancora
una volta il fondale entro cui si muove questa Emma, italiana
trapiantata all'estero, è una Parigi poco cartolinesca, in un
triangolo che si appoggia su tre stazioni del metrò, Rambuteau,
Denfert-Rochereau e Abbesses; ancora una volta la storia si chiuderà
con quanto di più simile si possa definire come “lieto fine” per
un personaggio refrattario agli happy endings; ancora una
volta – soprattutto – la lingua con cui Emma ci racconta le sue
peripezie (vagamente tinte di giallo, come già in altri romanzi di
Rossana Campo) è quell'italiano parlato, efficace e credibile, mai
sciatto, che rappresenta la vera cifra della scrittrice.
È
questa lingua che risuona nelle orecchie mentre gli occhi scivolano
sulla pagina a fare sì che, come ha scritto Angelo Guglielmi, i
racconti di Rossana Campo possano “invadere qualsiasi spazio,
lambire emozioni ed esperienze le più inattese”. Questa lingua, e
la cocciuta volontà dell'autrice di non essere mai dalla parte
“giusta”, quella di chi ha il potere, di chi “spende
trecentocinquantamila euro per fare un pieno al suo yacht”, come
osserva stranita Emma davanti alla tivù, notando che “il mondo non
sta andando alla grande”. Parlano alle ragazze, anzi alle persone,
che non credono “di avere il diritto di godersi la vita” e che
per questo si torturano e si lasciano torturare, i libri di Rossana
Campo. Non è certo strano che siano in tanti ad attenderli.
Anticipiamo la pubblicazione di questa recensione, che uscirà sul numero 31 del mensile di intervento culturale "Alfabeta2" (luglio 2013).
Nessun commento:
Posta un commento