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sabato 12 settembre 2015

La poesia della domenica - Jules Laforgue, Morir potrei domani e non ho amato

Più che una dichiarazione di castità è una rinuncia alla vita.
Jules Laforgue (1860-1887) fu sempre ossessionato (anzi: schifato) dagli andirivieni del sesso, da quegli inutili languori, da quello spreco vischioso di umori; ancor più egli ebbe a deriderne la futilità, che si inscriveva nella più generale futilità dell'avventura terrena e delle sue speranze metafisiche. In un celebre sonetto egli dichiara: "Sì, questo mondo è piatto, e quanto all'altro, frottole". Il linguaggio, dal tono blasé e sarcastico, vibra di repentini cambi di registro (quelli che verranno ricalcati dai nostri crepuscolari), celando, con toni antiretorici e apparentemente svagati, un fondamentale disgusto per lo squallore della recita quotidiana degli uomini.
Tale sentimento affascinerà il primo Thomas Stearns Eliot; l'inglese che esclama attonito "Nascita, e copula, e morte/tutto qui tutto qui tutto qui", in fondo, non fa che riecheggiare Laforgue, seppur senza quella decadente amabilità.
Jules Laforgue, giunto alla fine dei tempi letterari, dipinge delle beffarde vanitas: signore mie, cari signori - sembra dire - non siete che scheletri danzanti. 

Morir potrei domani e non ho amato.
Le mie labbra giammai labbra di donna
sfiorarono. Nessuna mai m’ha dato
l’anima in uno sguardo, mai nessuno
sul suo cuore in deliquio m’ha tenuto.

Io non ho fatto altro che soffrire,
per la natura e ogni essere vivente,
per il vento, ed i fiori, e il firmamento,
in ogni fibra, minuziosamente
io ho sofferto per non possedere
ancora un’anima abbastanza pura.

Sull’amore ho sputato ed ho ucciso
la carne! Folle d’orgoglio mi sono
contro la vita stessa irrigidito!
E solo su questa Terra asservita
all’Istinto, ero solito sfidare
l’Istinto, con un amaro sorriso.

Dappertutto, a teatro, nei salotti,
in chiesa, di fronte a questi gelidi
uomini, i più importanti, i più squisiti,
a queste donne dai dolci occhi, o alteri
o gelosi, cui uno castamente
l’anima eletta rifarebbe d’oro,

pensavo: tutti là sono arrivati!
ed i rantoli dell’accoppiamento
bestiale udivo! Tanto fango sparso,
e poi perché, se non per uno spasimo
di tre minuti! Uomini siate
corretti! o donne, arricciate il naso!

Da Poesie, 1965 (Traduzione di Luciana Frezza)

giovedì 15 maggio 2014

Cose che si trovano nei libri


Lo scontrino d'acquisto de Il processo di Kafka ... otto anni fa.
Il 19 febbraio 2006 le cose alla libreria Croce non dovevano andar male: scontrino numero 176 alle diciotto.
Oggi è chiusa, ovvio ... in otto anni la desertificazione avanza e non s'arresta un'ora (per le librerie perdute consultate questo post).
Secondo alcuni non si è mai letto tanto ... ed è giusto: siamo sottoposti a stimoli continuativi: segnali, trilli, propaganda, messaggi, decrittazioni, insinuazioni, ammicchi subliminali, captatio benevolentiae, circonvenzioni pubblicitarie: il cervello elabora senza requie ... togliamo le ore al sonno ... sino all'una le due le tre ...
... sfiniti, sfibrati, svuotati ... abbiamo letto così tanto che l'idea di scorrere un libro ci disgusta ... a meno che questo non sia leggero ... qualcosa di leggero ... la lettura, infatti, è diversa dalla letteratura ...

Leggo gran parte della notte
D'inverno vado al sud

proclamano due versi de La terra desolata. Desolata, desertificata, liscia e senza asperità.
Ormai è così.
Chissà cosa avevano in mente i polinesiani di Rapa Nui quando continuavano a tagliare palme per i loro moai.
Chissà cosa è passato loro per il cervello quando hanno tagliato l'ultima.
Difficile rendersi conto dei fenomeni quando se ne fa parte.

martedì 5 novembre 2013

Destini della letteratura (e delle arti). Un'intervista ad Alfonso Maria Nebuli

Abbiamo oggi il vivo piacere e il privilegio di pubblicare l'esclusiva intervista rilasciata dal grande scrittore Alfonso Maria Nebuli alla nostra Gaia Elettra Lucignani, in contemporanea con l'uscita sul numero di novembre del magazine digitale E-Lite, della Keiretsu Wordcom Press (edizione USIAN).

(Translated by G.Luca Chiovelli)


Roma (settore 2/enclave EuroForce), 4 ottobre 2031 (anno 11 post EW)



Alfonso Maria Nebuli tiene alla puntualità. "È una dote che risale sin dalla mia infanzia. Sia cronometrica" mi ha laconicamente e recisamente raccomandato durante la brevissima cam-com criptata. Ed è lui stesso, in persona, ad accogliermi sulla soglia del palazzo di Monteverde, lui, il new artist, l'iniziatore indiscusso dell'astoricismo, la nuova corrente letteraria dominante, e fashionist maître de goût a tempo perso, ma sempre con successo incontrastato.

"Voglia scusare il disordine e una certa agitazione fra il personale. Sono in partenza per Ibiza dove terrò un ciclo di conferenze".

Capisco da subito che la laconicità blasé per cui egli è noto nasconde solo un'estrema semplicità di modi. E una certa timidezza, laddove le rudezze dell'ardore artistico si stemperano con un'innata modestia. Un’attitudine che s'indovina subito dall'undestatement cromatico del look: il volto, ricoperto da una barba curatissima è altresì sopraffatto da un occhiale avvolgente dalla montatura in essenza di bambù thai; il pantalone grigio, canvas washed, entra in perfetto pendant con la t-shirt scura in jersey, vezzosamente asimmetrica; leggeri mocassini in camoscio con cristalli di Caledonia fasciano elegantemente i piedi. Il tutto in ossequio al suo dogma ‘Mai prendersi troppo sul serio, ma prendere tutto seriamente’, etica casual allo stesso tempo singolare e vivace, in grado di conquistare un pubblico raffinato e intellettuale che sa apprezzare la semplicità dell'eleganza.

Ci accomodiamo su due poltroncine in pelle, in una piccola dependance d'una più ampia sala.

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