La prima neve
Regia: Andrea Segre
Con Jean Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Peter Mitterrutzner, Giuseppe Battiston, Paolo Pierobon
Patrizia Vincenzoni
Migrazione e identità culturale sono temi che ricorrono nei
lavori di Andrea Segre, regista veneto che abbiamo già apprezzato con Io sono Lì, film del 2011 che lo ha imposto all'attenzione di un
vasto pubblico. La prima neve aggiunge alla crisi identitaria che tali tematiche
contengono la possibilità di integrazione non solo sociale, e insieme la condivisione e l'intimità psichica che si produce su piano
relazionale tra un adulto e un bambino.
Negli scenari naturali della Valle dei Mocheni, in Trentino, la storia personale di Dani proveniente dal Togo e fuggito dalla guerra
libica, approdato lì con la figlia di pochi mesi mentre la moglie Layla è deceduta durante il 'cammino' incrocia quella di Michele, undicenne che ha
perso il padre in un incidente alpinistico, il quale vive con la madre e
il nonno Pietro, falegname e apicultore. In questo territorio di
confine, geografico e linguistico, abitato da secoli dalla comunità dei
Mocheni in seguito alle migrazioni di popolazioni germaniche, il bosco è l'elemento naturale che riveste un'importanza decisiva nel film sul piano paesaggistico e più ancora
metaforico, simbolico. Nel film il bosco rappresenta uno snodo, il
tramite per un possibile accesso al recupero di memorie emotive, di
superamento di sentimenti ed emozioni che non trovano una via d'accesso
alla parola e, dunque, inibiscono o bloccano la capacità di attribuire
senso agli accadimenti e alle ferite che hanno scandito le vite di cui
si narra. Labirinto vegetale iniziatico alla conoscenza di sé, potremmo
dire. Dani e Michele hanno un rapporto di contiguità psichica con gli
alberi anche attraverso il legno: materia da scolpire per il primo, luogo di accoglienza e riparo per il bambino,
maternage ambientale grazie anche alle rientranze naturali dei tronchi
dove Michele si assegna un posto, nel quale sostare e riposare lo
sguardo, guardare il mondo circostante.
"Non so dove andare, cosa fare e gli alberi non parlano" così la
voce di Dani scultore all'inizio del film, impegnato a contattare una
sua identità che non si risolve solo in quella culturale, ma che
riguarda soprattutto la sua realtà di padre e il suo rifiuto verso la
figlia e l'impossibilità di occuparsene, lasciando tale compito
affettivo a un'altra migrante della casa-famiglia nella quale sono
ospitati.
Il film ruota soprattutto intorno al tema del lutto non elaborato
che riguarda anche Michele. Lo vediamo cercare in vari modi di non
perdere il contatto con il ricordo del padre, ma gli adulti più
prossimi, come lo zio, non sono del tutto in grado di accogliere e
confrontarsi con la sua rabbia e il bisogno conflittuale di
riconciliarsi comunque con la cruda realtà della perdita paterna. Il
legame con la madre evidenzia la solitudine affettiva di entrambi e il
bisogno da parte di Michele della presenza materna ancora devota al
padre morto. La figura del nonno paterno Pietro, la sua sapienza
antica circa le cose del mondo, il rapporto arcaico che intrattiene con
la natura e la filosofia 'ingenua' con la quale si orienta nella
complessità della vita trova una sintesi possibile nell'articolare
diversità, materia e sensi, prendendo spunto dagli elementi del suo
lavoro. Pietro è come un tratto che perimetra uno spazio di
pensabilità possibile e irrituale rispetto al restare consegnati a
un'esistenza vuota, scavata da un dolore senza ritorno e priva di
energia vitale. Soprattuto quelle di Dani e Michele appaiono esistenze
come sospese, al di là di una soglia oltre la quale li vediamo, nel
finale, oltrepassare un limite che permetterà a entrambi di
riappacificarsi con la loro storia, ridurre la distanza fra il prima e
il dopo, fra l'allora e il qui-e-ora.
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