Paolo Morelli
Un paio di
anni fa, poco prima dell’estate, in un paese sul lago di Bracciano
si sono accorti che l’inquinamento delle acque prospicienti superava
il livello consentito per la balneazione. Subito hanno convocato un
consiglio comunale, durante il quale hanno alzato i parametri del
livello consentito, aprendo così la stagione balneare. Un mio amico
che ci abita mi ha detto che pure il sindaco e gli assessori si
bagnavano con tutta la famiglia.
Abbiamo
qui un esempio di realtà, la prova che la realtà è un fatto di
proporzioni, e pure un fatto di maggioranza. È come la democrazia
per esempio, e come la democrazia tende a infiacchirsi e poi in
sequenza a irrigidirsi. La realtà oggi è come l’identità
regionale per esempio, un angolo ritenuto sicuro nel quale rifugiarsi
e difendersi dalla ‘confusione’. È come la razionalità, nella
fissazione, hegeliana ma ormai inveterata, che tutto il reale sia
razionale. La realtà è una malattia che hanno tutti o quasi, quindi
nessuno se ne accorge.
Questo
secondo me è il punto di partenza, se non si vuole dare tutto per
scontato.
Ma poi è
vero bisogna raccontarla, la realtà dei fatti. Ci sono per
esempio i giornali. C’era una bella immagine di Gianni Celati
che descriveva un articolo giornalistico come un’insegna sopra
e sotto una serranda chiusa fatta di parole. Dietro quella
serranda c’è il fatto, reso irrangiungibile dal linguaggio che gli
si sovrappone, una serranda chiusa fatta di stilemi troppo affidabili
e parole morte, già concluse nel loro ciclo di reattività e
percezione.
Poi però
si arriva alla realtà quando cade in mano alla letteratura. Qui
il livello percettivo sembra cambiare. Ma cosa lo fa cambiare? La
qualità delle parole? La particolare percezione dell’autore o la
sua autorevolezza?
Io direi, nella stragrande maggioranza dei
casi, soprattutto l’autorità che assume, anzi che viene
conferita allo scrittore quale porzionatore di destini, quale
gestore di ‘visioni del mondo’. È questo e quasi solo questo il
parametro odierno secondo me, che dà valore particolare al fatto
raccontato dallo scrittore.
Oggi pare
che dopo la soluzione finale con la figura dell’artista (figura
inaffidabile e quanto mai delinquenziale), gli si sia sostituita
la figura del funzionario di quello che possiamo chiamare Ministero
dell’Interno (nel senso di Interiorità), il cui motto è: ‘chi
sta dentro sta dentro e chi sta fuori sta fuori’. L’arte
cosiddetta che ne esce deve avere un requisito solo: la mente non
deve muoversi, non deve fare errori né vagheggiamenti mentre si
legge, si ascolta o si guarda, uno stato di ipnosi, una mente-carcere
deve produrre menti-carcere che però si trovano bene, comodi come si
dice delle carceri svedesi. L’arte è diventata conservatrice, e si
fa fatica a crederlo, un vero e proprio ostacolo o blocco alla
percezione. Il funzionario, sotto sotto, racconta sempre la stessa
storia, quella dello sfigato che è simpatico ma pure pronto a
diventare fortunato e a difendersi di conseguenza, tanto non se ne
accorge.
Ecco, per
me è questa la realtà, quella di cui non ci si accorge. È la sua
condizione essenziale, necessaria e sufficiente, altrimenti è
un’altra cosa di cui potremmo discutere a lungo. Lui il funzionario
invece è talmente sicuro di esser dentro (vale a dire di saperci
fare) che la crede quasi una scoperta, è assai sicuro che
l’esterno sia qualcosa di immanente che inabita la sua vita
percettiva, è praticamente certo che la mente sia il suo io.
Per me
resta il pensiero alla scrittura come attività delinquenziale, come
sosteneva Manganelli, ma pure curativa e cerimoniale, cioè lasciare
che sia destabilizzante per tutto il mondo né più né meno, noi per
primi. Bisognerà quindi trovare una mediazione, uno strano
appuntamento tra quella parte in noi che vuol vedere impaginate e
lette le sue cose perché è qualcosa che abbiamo ricevuto in qualche
modo e vogliamo restituire, e quella parte che sa che più cose di
lui circoleranno e più è probabile che troverà difficoltà a
delinquere, a perdersi, annullarsi, quindi vedere e magari provare a
raccontare che niente sta mai fermo, a vuoto il più delle volte.
In questo
paese la situazione è disperata ma chi lo dice resta un pessimista,
un mettimale, presuntuoso o invidioso, non è gentile, è
disfattista. I funzionari non amano essere disturbati, stavolta
abbassano i parametri perché siano alla loro altezza.
Giovedì 3 ottobre,
alle 18,30, nella libreria Fahrenheit 451, p.zza Campo de' Fiori 44,
Paolo Morelli farà una lettura strampalata del suo Racconto del
fiume Sangro (Quodlibet): "tra lettura e divagazione il racconto
di un viaggio lungo un fiume per contemplarne l'acqua, e scoprire che
l'unica cosa a cui si può ragionevolmente pensare da vivi è andare
avanti, senza saper bene perché".
ho adorato questo post, parola dopo parola. grazie :-)
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