domenica 13 ottobre 2013

mvl teatro: al Vascello meraviglie di ieri, illusioni di oggi



Maria Cristina Reggio


Che cosa è un Padiglione delle meraviglie?  Lo raccontava Ettore Petrolini nella sua autobiografia, Modestia a parte (1932): «(...) era, in quell'epoca, un enorme piazzale consacrato alle baracche dei ciarlatani; ed era il ricettacolo dei vagabondi e dei poveri guitti. C'era di tutto: perfino qualche cosa di interessante, se non di buono. Era un'accozzaglia di passatempi per tutti i gusti, uno più sollazzevole dell'altro, non escluso quello dell'alleggerimento simultaneo del portafogli e dell'orologio. La grande piazza ospitava ogni sorta di baracconi, dal tiro al bersaglio al museo anatomico, dal carosello al teatro dei galli che cantavano e ballavano prodigiosamente sopra una lastra di bandone».  Otto anni prima Petrolini aveva firmato anche un testo teatrale, intitolato Il Padiglione delle meraviglie, di cui Massimo Verdastro cura oggi un allestimento  al Teatro Vascello (testo integrale, con inserti di Elio Pecora) che finisce proprio oggi, domenica, con la pomeridiana  delle 18.00,  con una scena  inventata da Stefania Battaglia che ne suggerisce gli attributi, se non propriamente le forme definite. Il palco è infatti uno spazio vuoto e nero su cui si muovono macchine sceniche provvisorie e rudimentali, a evocare la piazza Guglielmo Pepe allʼEsquilino, ormai cancellata dallo stradario romano e rinominata "via" perché schiacciata dai nuovi edifici: prima la Centrale del latte, adesso quel che resta del mercato di Piazza Vittorio.  Si trattava di una piazza che, alla fine dellʼOttocento, veniva spesso occupata dai baracconi delle fiere, e dove è sorto nel 1909 il primo moderno ed elegante tempio del varietà romano, il Teatro Jovinelli, dal nome del suo fondatore , lʼimpresario teatrale Giuseppe Jovinelli, che tutti chiamavano però Peppino.


I personaggi che abitano il Padiglione inventato dalla memoria autobiografica di Petrolini drammaturgo sono quelli che lui stesso aveva conosciuto nelle sue prime esperienze da artista di strada, prima di essere scritturato, come ricorda, al Teatro Jovinelli: giocolieri, mimi, attori di un teatro povero e scalcinato, ormai sulla via del declino: lʼimbonitore, impersonato dallo stesso regista e attore Massimo Verdastro in costume clownesco, la primadonna sirena di nome Elvira, con il corpo agilissimo di Manuela Kustermann, poi i lottatori, il selvaggio antropofago, la donna del tiro a segno con i coltelli e la coppia di anziani impresari, di nome Lalli (forse per assonanza con Jovinelli?). La pièce li presenta in una doppia veste, per cui ciascuno mostra da un lato il suo "numero" circense, ma dallʼaltro anche i travagliati rapporti interpersonali e sentimentali allʼinterno della piccola comunità girovaga. Tiberio si consuma dʼamore per la Sirena con cui da tempo ha una relazione, ma lei è però infatuata del giovincello lottatore fascinoso, il Tigre, che a sua volta si scopre essere in realtà più o meno felicemente ammogliato.  Il clou del dramma è nella lotta finale tra Tiberio e il Tigre, in cui lʼerculeo bellimbusto viene quasi strozzato dal maturo innamorato respinto, dopodiché questʼultimo, vincitore, fa ritorno mestamente alla propria tradita "normalità", consegnando le chiavi della propria stanza alla malafemmina e intimandole con questo gesto di tornare con lui.


Sulle prime viene in mente la  trama del film di Tod Browning  Freaks,  che,  otto anni dopo la scrittura del Padiglione, nel 1932, usciva nelle sale cinematografiche  americane, anchʼ esso interpretato da "fenomeni da baraccone", ma  tra le due opere esistono macroscopiche differenze. Se, come nel dramma di Petrolini, anche nel film  il forzuto del circo affascinava la bella primadonna, tuttavia  lʼepilogo in quel caso era terribilmente  tragico e, soprattutto,  nel film lʼattrazione era costituita dai personaggi del circo,  interpretati da autentici  freaks, ovvero attori i cui corpi erano davvero gravemente deformi.  Laddove lʼintento del regista americano era di denunciare il cinismo reale presente nella società borghese rispetto  alla diversità e alla "disabilità"  - un tema questo di forte carattere sociale,  comunque oggi caro a molto teatro di ricerca - invece il Padiglione petroliniano  si interroga, e porge  con eleganza  la domanda al pubblico,  su cosa ci sia ancora di cui meravigliarsi, in un teatro - e, conseguentemente  in un mondo - in cui non cʼè più posto per il  tragico, ma solo per la parodia e per una comicità  il cui carattere diventa  sempre più mesto,  come si conviene di fronte ad ogni fenomeno in via di estinzione.


Nel teatro poetico di Petrolini non cʼè realismo né tragedia, ma regnano piuttosto il cinismo e lʼeleganza, la malinconia e la finzione.  Tutti i personaggi del Padiglione sono "fenomeni da baraccone" interpretati da artisti della menzogna, simulatori di lotte erculee e di esposizioni ai lanci di coltelli, compresa la mitica Sirena che ostenta una finta coda di paillettes, e il supposto antropofago proveniente dal lontano  Mazzabubbù. Il Padiglione delle meraviglie è il regno dellʼinvenzione sadica finalizzata a stupire lʼallocco,  a deliziare lʼingenuo che se ne resta beato a bocca aperta, a stupire con la mimica grottesca la folla che ieri  frequentava  le piazze e i mercati, la stessa che oggi resta  incollata di fronte alle tv, alle consolle da gioco e agli spettacoli mass-mediatici e  che accorre incuriosita allʼultima Biennale. I soggetti e i personaggi delle attrazioni "da meraviglia"  non si curano  dei propri sentimenti né tantomeno delle proprie e altrui emozioni, ma devono essere insensibili,  anche con sé stessi. Lo avevano ben compreso i Futuristi, che, inventori del primo grande movimento di avanguardia internazionale di origine italiana e in lotta con il teatro borghese dei sentimenti,  erano  entusiasti ammiratori del teatro di Varietà, di Petrolini e dei suoi personaggi parodici, cristallizzazioni del grottesco e dellʼimbecillità umana. Filippo Tommaso Marinetti aveva definito Fortunello «il più difficilmente analizzabile dei capolavori petroliniani», esaltandone il «ritmo meccanico e motoristico» e il «teuff-teuff martellante all'infinito assurdità e rime grottesche». (cfr. <http://www.burcardo.org/mostre/petrolini/futuristi.asp> ).   


I Futuristi, geniali precursori di molta  arte contemporanea avevano capito  che lo spettacolo aveva bisogno di rinnovare le proprie formule e repertori, e soprattutto che le arti visive, per potenziare il loro impatto pubblicitario sul pubblico moderno, ormai reso insensibile dal via vai turbinoso delle metropoli,  dovevano attingere alle  tecniche e agli strumenti  che un tempo erano stati  appannaggio delle forme spettacolari più eccentriche, come erano  i  baracconi delle fiere e gli incanti da circo delle attrazioni.  Secondo  lo studioso francese  Marc Fumaroli, autore di Parigi-New York e ritorno, (Adelphi, 2011),  il grande inventore del museo del "mai visto" era già nato, un secolo prima dei Futuristi, in America, e si chiamava Phineas Taylor Barnum, creatore del famoso circo, ma soprattutto di un museo, lʼaffollato American Museum - andato distrutto anchʼesso in un incendio -  dove si esponevano, con gran battage pubblicitario, le più amene e bizzarre attrazioni, con cui il geniale mago dellʼimbroglio  metteva in coda al suo botteghino intere  folle, desiderose di non perdersi il gran spettacolo delle attrazioni musealizzate. Di certo Barnum aveva intuito anticipatamente che lo show espositivo, per essere  ben ripagato in moneta, necessita  del supporto di un sistema pubblicitario efficace, nonché di un ricambio continuo delle novità, delle attrazioni.  Così, a  partire dalle  prime esperienze dei futuristi e nel corso di tutto il secolo passato,  lʼarte e  lo spettacolo  contemporanei hanno  sottoposto  le loro tecniche e le loro ricerche  alla legge crudele e ferrea della meraviglia, necessariamente effimera, e barocca come tutto l’effimero (fu il Marino a lanciare la parola d’ordine “è del poeta il fin la meraviglia”), grande nemica del tempo e in particolare del passato: tutto deve essere sempre nuovo, mai visto , sorprendente, magico, fantastico, strabiliante, tecnologicamente avanzato. Ma ogni attrazione, così concepita, è destinata a soccombere di fronte allʼarrivo di quella nuova, così ciò che ieri destava stupore, oggi merita tuttʼal più uno sguardo distratto e impietosito, misto a ostentato rimpianto,  un vago atteggiamento di petrolinesco, gastonesco, superiore distacco. Chi guarda, oggi un Padiglione delle Meraviglie, crede di conoscerne già il trucco e molto probabilmente preferisce mettersi in fila, entusiasta,  per fare lo spettatore, o meglio, il consumatore, dellʼultima strabiliante  illusione, magari  dellʼultimo  cellulare  in  3D.

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