Raethia Corsini
La richiesta mi è arrivata via mail: un invito per
partecipare, in qualità di relatrice, alla presentazione di uno dei titoli
della nuova collana dell’editore Slow food: Piccola Biblioteca di Cucina Letteraria.
È uno degli incontri in programma per festeggiare il compleanno di Settembrini,
nel quartiere Prati, libreria, cafè, ristorante nato dieci anni fa. Fu, come
ogni impresa, una scommessa. Se festeggiano – da oggi fino a fine mese - con un
programma davvero nutrito e nutriente (molte cene e aperitivi con chef di
levatura, qui il blog per info) vuol dire che qualche successo la formula l’ha
ottenuto anche in questi tempi bigi. Alla presentazione di uno dei titoli della
collana Slow food sono invitata perché scrivo e ho scritto di cibo, cuochi,
cultura gastronomica. E il programma della festa di Settembrini include tutte
queste “voci”, l’una imprescindibile dall’altra. Ora, benché abbia versato inchiostro sul tema, la mia opinione sul mirabolante circo che gravita intorno al
mondo della cucina si è deteriorata alla stessa velocità con la quale si deteriora
un branzino lasciato fuori dal frigorifero. Di cibo sono piene le Tv: per lo
più si tratta di talenti alla prova e ricette eseguite “live”, rito che afferra
l’attenzione dello spettatore come e più (pare) di una puntata di Grey’s
Anatomy (e certi programmi sono al pari ripugnanti, non me ne vogliano i
cultori del genere). Anche gli scaffali
delle librerie alla sezione gastronomia straboccano di titoli e best seller, e
questa in parte è una novità: da noi, in Italia, Paese dotato di una varietà
impressionante di (ottimi) prodotti della Terra, alla quale corrisponde
un’altrettanta varietà innumerevole di ricette (in quanti modi si può fare, per
esempio, la pommarola?) la letteratura gastronomica si è affermata veramente
solo negli ultimi dieci anni, durante i quali anche Pellegrino Artusi ha conosciuto una rinnovata fama, citato perfino nelle chiacchiere da bar tra gourmand (non gourmet!). Fino all’inizio del Terzo Millennio, qui nel Bel Paese,
un libro di cucina era più un ricettario che un racconto. Chi si spingeva a scriverne, o addirittura si avventurava in un romanzo intorno al tema cibo, era invariabilmente marchiato autore di serie
C (meno dei giallisti, qualcosina in più degli autori di rosa). Nell’aria ora
si avverte un cambiamento.
Per esempio: dal 2006 è stato istituito il Premio Bancarella della cucina che, nel male e nel bene come per ogni premio, rappresenta un segnale che dà valore al “genere”. E, contraddicendomi per amore del bicchiere mezzo pieno, forse una spinta la sta dando anche la bulimica rappresentazione dell’italica (in)cultura gastronomica finita nei food talent show, nelle penne (a sfera) di food blogger e in quelle di groupie che si affannano per un autografo del grande chef divo dei fornelli, oggi figura professionale alla quale aspirare (ricco, famoso e sexy perché si sa un uomo ai fornelli è seducente…). Succede sempre: quando “qualcosa” diventa un fenomeno tutti ne parlano o –meglio – non possono fare a meno di parlarne. E tutti s’improvvisano esperti. Può darsi anche che “qualcosa” diventi un fenomeno perché semplicemente tutti ne parlano, ma non è questo il luogo per discettarne. Di certo è prassi che, della babele di parole, discorsi, orazioni, prediche, opinioni, osceni "spadellamenti" di improbabili presentatori-chef o chef impresentabili (cuochi di valore ribellatevi!), molto si perda in un immenso minestrone fatto con ingredienti scadenti. Per questo ciò che è davvero "buono" vale doppiamente la pena conoscerlo.
Per esempio: dal 2006 è stato istituito il Premio Bancarella della cucina che, nel male e nel bene come per ogni premio, rappresenta un segnale che dà valore al “genere”. E, contraddicendomi per amore del bicchiere mezzo pieno, forse una spinta la sta dando anche la bulimica rappresentazione dell’italica (in)cultura gastronomica finita nei food talent show, nelle penne (a sfera) di food blogger e in quelle di groupie che si affannano per un autografo del grande chef divo dei fornelli, oggi figura professionale alla quale aspirare (ricco, famoso e sexy perché si sa un uomo ai fornelli è seducente…). Succede sempre: quando “qualcosa” diventa un fenomeno tutti ne parlano o –meglio – non possono fare a meno di parlarne. E tutti s’improvvisano esperti. Può darsi anche che “qualcosa” diventi un fenomeno perché semplicemente tutti ne parlano, ma non è questo il luogo per discettarne. Di certo è prassi che, della babele di parole, discorsi, orazioni, prediche, opinioni, osceni "spadellamenti" di improbabili presentatori-chef o chef impresentabili (cuochi di valore ribellatevi!), molto si perda in un immenso minestrone fatto con ingredienti scadenti. Per questo ciò che è davvero "buono" vale doppiamente la pena conoscerlo.
Il cuore del discorso intorno alla gastronomia è – come va
ripetendo Carlo Petrini da trent’anni –
la relazione stretta tra vita del Pianeta e l’esistenza di chi lo abita, questo
Pianeta. E senza scomodare antropologi e psicologi è oramai un assunto che il
cibo è mezzo di relazione con l’altro, con la Terra, con sé stessi: alla fine
si resta sempre noi con lui, in tutte le sue forme. È una convivenza forzata,
piacevole, esaltante, affettuosa, consolatoria e perfino d’iniziazione. Narrare
storie attraverso la lente del cibo, indugiare in descrizioni di pranzi e cene
nella trama di un romanzo, ripercorrere la storia di un Paese o di un’Epoca
usando il grimaldello di un ricettario sono perciò modi per raccontare la vita,
i tempi, le civiltà, le emozioni e – ovviamente – il vasto mondo dei sensi. Può
essere lettura intrigante o maledettamente soporifera: scrivere di cibo non è
facile come mangiarlo, il cibo. Così, con questi pensieri (scettici), ho letto i
cinque titoli della nuova collana Slow food e posso dire che sono contenta di avere accettato l’invito. La Piccola
Biblioteca di Cucina Letteraria affida a scrittori affermati il compito di
produrre piccole opere per celebrare l’esperienza del cibo. Moni Ovadia parla
di un uomo diventato un dolce; Nicola Lagioia confessa tormenti e gioie
private legate a un piatto di spaghetti cozze e vongole, sua folgorazione a otto
anni e in seguito nell'alcova; Simonetta Agnello Hornby e Chiara
Agnello narrano una favola di marzapane e dell’inventiva tutta femminile;
Massimo Carlotto in un attraente viaggio argentino alle prese con un asador e
un mistero, porta il lettore in terre dell’altrove affinando l’olfatto; Carlo Petrini racconta della zuppa di latte e dei risvolti socio-economici; Matteo Codignola, con le dita unte di
focaccia, ci accompagna in un mondo di personaggi tra bar e casa. Sono piccoli
libri di 40 pagine nelle quali ogni autore, forte del proprio stile, conduce il
lettore in un mondo reale o fantastico, tra personaggi e suggestioni che
trovano ispirazione nel cibo o che, viceversa, hanno ispirato un percorso del
palato. Ogni racconto punta a quel cuore del quale parla da sempre il fondatore di Slow food, Petrini, e
centra le emozioni e le relazioni che il cibo concede. Una rapida storia
dell’ingrediente protagonista del libro e la ricetta, chiudono ogni agile
libriccino lasciando in bocca il sapore di una deliziosa proposta culturale. Come fa ogni pietanza ben fatta.
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