Marta Ancona
Ho citato episodi ininfluenti (a parte
quello di mia madre) per dire che non solo le situazioni importanti
vengono ricordate, ma anche quelle che parrebbero non essere così
memorabili. Mi limito a questi esempi.
Orgoglio. Sono molto orgogliosi
i cani. Forse più propriamente bisognerebbe parlare di dignità, di
un sano senso di sé. Il primo segno sta nella coda (ciò vale solo
per gli individui cui non sia stata tagliata, quindi non boxer,
rottweiler, mastini, pitbull, ecc.). In casa la coda è a riposo, ma
appena all’esterno, viene tenuta fieramente diritta, sventolata
allo scopo di spargere gli odori, e facilitare gli annusamenti. Si
accompagna con tutta una serie di altri “segni” che
costituiscono, nel complesso, l’andatura. E’ un segno
inequivocabile di buonumore e di salute, e quindi una coda bassa ha
il significato contrario, bisogna fare attenzione. Anche durante la
fase di decadimento e vecchiaia non si erge più sfrontata, e questo
già di per sé rende tristi.
Sguardo. Chi non abbia avuto a
che fare almeno con un cane nella vita non sa di quanti tipi di
sguardo sia capace. C’è lo sguardo “cattivo” “severo”.
Viene sfoderato in occasioni speciali, di fronte a un proprio simile,
sufficientemente giovane ma in ansia di crescita e di competizione,
tale però che non possa costituire un pericolo. E’ uno sguardo
diretto, corrucciato, perforante, mentre il fisico si erge in tutta
la sua possanza, si gonfia, la testa è alta, le orecchie tese (ma
non all’indietro, non sono quelle dell’attacco) il petto proteso,
guarda come sono grande!! Il corpo è teso, ogni muscolo all’erta,
il passo è lentissimo, regale, fin quando non si arresta del tutto.
E’ uno sguardo “pedagogico”. Insegna al più giovane ad avere
rispetto dei rapporti gerarchici dovuti all’età, alla potenza, al
ruolo che si occupa nel branco, anche se non c’è alcun branco (ma
loro lo creano comunque).
Paco non era un individuo “alfa”,
per fortuna mia (e anche sua, a dire il vero). Se fosse stato un
“alfa” probabilmente non lo avrei scelto, anche senza saperne
niente, mi sarei accorta che qualcosa non mi andava bene.
Gli alfa sono quegli individui che nel
branco si prendono tutte le responsabilità, onori e glorie ma anche
pesi. Sono individui perennemente in tensione perché devono
continuamente affermare (riaffermare) il proprio ruolo, devono
proteggere femmine e cuccioli dai nemici esterni. Sono costretti a
“sfidare” chiunque capiti loro a tiro, a meno che la loro
autorità non sia così unanimemente riconosciuta da consentire di
passare a testa alta senza filarsi nessuno. Gli alfa non vivono
troppo a lungo, hanno una vita gratificante, forse (!?!) ma
faticosissima, un inferno.
Paco no, Paco era un individuo
“beta”, incline più al gioco e alla felicità che al comando,
insensibile al richiamo del “cummannari è megghiu ca futtiri”
(traduco per chi non sa niente di siciliano: comandare è meglio che
fottere, per lui fottere era sicuramente assai più interessante) e
tuttavia si giocava i pochi gradi gerarchici che poteva permettersi.
Athos era uno dei suoi rivali. Di
qualche mese più giovane, inizialmente Athos si sottometteva,
abbassava le orecchie, girava lo sguardo da un’altra parte, non
rispondeva allo sguardo di Paco. Se lo avesse fatto, Paco lo avrebbe
attaccato, fin quando non gli avesse offerto la gola, guaendo. A quel
punto tutti fermi, partita vinta.
Ma Athos, incredibilmente, crebbe,
diventò grande e forte, come Paco. E allora gli sguardi - di
entrambi – cambiarono. Quando si incontravano rallentavano in modo
tangibile l’andatura, tutti gonfi e solenni, senza mai guardarsi
direttamente negli occhi, fin quando vicini vicini , ognuno con la
testa leggermente girata dall’altra parte per non rischiare di
incrociare lo sguardo del rivale, non decidevano che erano stati
abbastanza forti e dignitosi.
Arricciare le labbra e scoprire i
denti, o addirittura dare corso al sordo brontolio che sembra
nascere dalla pancia ed è una preparazione al ringhio vero e
proprio, sono tutti segnali proibiti per chi non vuole realmente
venire alle mani (per così dire). E infatti non vennero mai alle
mani, né ci furono mai scene da circo, anche perché sia io che i
padroni di Athos li liberavamo dai guinzagli consentendo loro di
incontrarsi davvero. Diversamente, sia pure senza alcuna conseguenza,
avrebbero fatto cose da pazzi, si sarebbero avventati, avrebbero
ringhiato furiosamente, ecc., proprio perché, da legati , avrebbero
dovuto dimostrarci di che nobile pasta fossero fatti.
Sguardo “offeso”. Non c’è niente
al mondo che possa farti sentire una merda quanto lo sguardo “offeso
“ del tuo cane. Tu stai uscendo, ti avvicini a lui, per salutarlo,
fargli una carezza, promettergli che tornerai prestissimo, per farti
perdonare in anticipo gli dai un biscottino. Niente da fare. Lui ti
ignora. Si sottrae al tuo abbraccio, gira la testa dall’altra
parte, non ti guarda negli occhi, ma non per il motivo che ho
raccontato prima. E non ti perdona. In quel momento non ti perdona.
E’ offeso, ma c’è qualcosa di più, non è l’offesa di quello
che dice: come osi farmi questo! piuttosto l’accorata domanda:
come PUOI farmi questo!! IO non potrei mai farlo!!
La cosa più sconvolgente è che non
cambia nulla, che si tratti di minuti o di ore o di giorni. Certo,
lui non lo sa in anticipo, ma in compenso non cambia nulla, che si
tratti di minuti, di ore o di giorni, anche quando ti rivede. E’
tutto dimenticato, la gioia più irrefrenabile si impossessa di lui,
è così contento che potrebbe anche farsela addosso per l’emozione,
e talvolta infatti succede. E qui subentra l’altro sguardo, quello
della gratitudine.
Noi (cani) siamo così felici che il
cuore ci batte tumultuosamente, altro che corse nel pratone delle
cornacchie, noi dopo esserci sdilinquiti facendo tutte le moine
possibili, dopo esserci buttati per terra esponendo gola pancia e
tutte le parti più intime e delicate, finalmente ci sediamo accanto
all’oggetto del nostro amore, e sfoderando tre metri di lingua,
affannati oltre ogni dire, socchiudiamo gli occhi per la felicità
che sia di nuovo con noi, se li tenessimo aperti tutta quella luce ci
potrebbe accecare. Solo una cosa ci rende più felici di così, solo
una cosa: QUELLA. In QUEL caso niente e nessuno conta più di quel
profumo sublime. E qui lo sguardo cambia ancora, diventa lo sguardo
di quello che non capisce più niente, assolutamente inebetito.
E’ vero, più forte di quello non c’è
niente, non c’è addestramento che tenga in presenza di una cagna
in calore. Nei periodi dell’estro delle cagne, grosso modo tra
gennaio e febbraio e poi di nuovo tra giugno e luglio dovevo stare
seriamente in campana e acchiapparlo prima che fosse troppo tardi. In
genere, dato che lo portavo a Villa Pamphili intorno all’alba, lo
tenevo slegato, come del resto quasi tutti gli altri padroni di cani,
anche perché non dava fastidio a nessuno, tranne a chi ne aveva
paura a prescindere, ma stavo molto attenta, per non questionare.
Come potevano farmi incavolare i padroni delle femmine in calore che
continuavano come se nulla fosse a portare le loro bestie spargenti
profumi in Villa, del tutto indifferenti ai casini che provocavano. I
maschi scappavano, non capivano più niente, potevano farti aspettare
ore, rischiavano di litigare con gli altri maschi, insomma un vero
disastro.
I padroni dei maschi – c’è molta
solidarietà tra padroni di cani, ci si assiste, aiuta, conforta,
confronta, si stringono amicizie per la vita – si davano la voce,
guarda c’è Tizia che è in calore, fa’ attenzione, e allora li
legavamo, anche se era comunque un inferno, perché una volta
annusato quel profumo, tiravano talmente tanto per raggiungere
l’oggetto – quello vero – del loro amore, che ti potevano anche
far volare per terra. In questo modo infatti sono volata un paio di
volte, e mi sono quasi rotta una mano, mi sono ferita, ho dovuto fare
lastre, terapie ecc.
Poi c’è lo sguardo “della
fiducia”: è quello che, mentre passeggi con lui accanto, ti
rivolge di continuo, per controllare se va tutto bene, se LUI va
bene, e se tu sei contento/a di lui/lei. Questo sguardo – forse -
non è da cani alfa, i capi branco – forse - non hanno bisogno di
conferme di questo tipo, vanno tranquilli per la loro strada: anche
se nella fattispecie il capo branco sei tu, padrone, non hanno
bisogno di controllare, di essere approvati di continuo.
C’è anche lo sguardo
“dell’umiliazione”. Si può prenderne atto solo quando capita
qualche guaio, quando il tuo cane comincia a stare male, quando non
riesce più a fare certe cose, quando non controlla più gli
sfinteri, o non riesce più ad alzarsi sulle zampe di dietro, e
striscia come un serpente. Lo vedi che si abbandona in un angolo, e
non ti guarda perché si sente mortificato, sta patendo
un’insopportabile umiliazione, e smette di mangiare, e talvolta
perfino di bere, e tu capisci che nel mondo animale quella sarebbe
l’ora in cui in qualche modo decide di morire, perché nel branco
un individuo in quelle condizioni è dannoso, pericoloso, e viene
lasciato a sé stesso. Ma poi se tu lo consoli, se lo carezzi, lui
capisce che il termine si è spostato più in là, che si può vivere
anche così, che tu lo ami e quindi…, e quindi lo porti in Villa
con una specie di protesi che ti aiuta a tirare su i quindici chili
del suo treno posteriore, e per le scale di casa lo prendi in braccio
perché lui non ce la fa da solo.
In quello sguardo oltre all’umiliazione
c’è un che di disperato, senza voler attribuire sentimenti umani a
un cane. Credo che VERAMENTE ci sia della disperazione, anche paura,
e tuttavia anche fiducia in te, cieca. Infatti lo stai aiutando
moltissimo, lui lo sa perfettamente che se non fosse per il tuo aiuto
non potrebbe fare quello che fa. E c’è gratitudine. Uno sguardo
complesso, ricco di significati e messaggi.
Animalità, caninità e
caratteristiche individuali. Credo di avere mischiato un po’ le
carte, di avere fatto un po’ di confusione, nel descrivere i
comportamenti di Paco, tra le caratteristiche dell’animale (in
genere), quelle del cane (in genere) e quelle sue proprie. Cerco di
riparare. Una caratteristica sua propria, che ho riscontrato in
pochissimi altri individui, era l’assoluto disinteresse per la
caccia. Non l’ho mai visto rincorrere nemmeno una cornacchia, anche
se era lì sotto il suo naso, o una lucertola o qualunque cosa si
muovesse.
Per i gatti, invece, aveva
un’avversione smisurata, che tuttavia si tramutava in paura nel
caso in cui il gatto si facesse aggressivo o troppo vicino; in quel
caso si ritraeva quasi guaendo. Ma quando sapeva che i gatti erano
“di casa”, come da mia sorella in campagna, li lasciava in pace,
ignorandoli; convivendo, anche se non proprio amabilmente.
Era immensamente docile e socievole e
accogliente con gli esseri umani, come molti cani, ma non
tutti i cani. Era particolarmente mansueto, e anche come cane
da guardia non era un granché: abbaiava quando sentiva suonare alla
porta di casa, smettendo appena capiva che si trattava di persona da
me giudicata innocua. Era come se lo facesse perché non poteva
sottrarsi a quel dovere, ma, diversamente dalla maggior parte dei
cani, non abbaiava affatto se era in macchina, come se non la
riconoscesse come territorio suo.
Non ha mai, mai fatto neanche il
gesto di mordere, neanche mai arricciato le labbra e scoperto i denti
verso qualcuno. Era anche piuttosto obbediente (tranne ovviamente nel
solito caso dell’estro) pur non avendo subito alcun addestramento.
Forse non era particolarmente intelligente, forse l’intelligenza si
lega all’essere ribelli o anarchici o liberi, non so, forse era
addirittura un po’ “fregnone”. Ma anche se così fosse, era
apprezzabile anche quello nel suo modo di essere, era una parte
essenziale, tenera, non trascurabile della sua personalità.
Quando con parto casalingo (in casa
mia) come ai vecchi tempi, nacque Arturo, Paco viveva ancora in
campagna. Ebbene, anche in quel caso rivelò la sua natura
accogliente, affettuosa, generosa. Invece di essere geloso di quel
nuovo piccolo essere cui tutti dedicavano attenzione e riguardi, con
un gesto semplice, elementare quanto eloquente, decise di adottarlo e
accettarlo come parte della famiglia: lo leccò per bene in faccia,
imprimendogli il suo odore. Non tutti ne sarebbero stati capaci. E
Arturo quando fu in grado ricambiò: lo afferrava passandogli il suo
piccolo braccio attorno al collo, ossia alla sua altezza, affermando
amicizia e possesso. Amicizia e possesso troppo brevi, non fece in
tempo ad arrivare al suo terzo compleanno.
(3 - continua)
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