Dei numerosissimi libri di Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura nel 1926, certo Amori moderni non è il più conosciuto. E del resto tutta l'opera della scrittrice è quasi dimenticata, ad eccezione forse del suo romanzo più famoso, Canne al vento, e a dispetto del giudizio molto favorevole che ne diedero scrittori come DH Lawrence e Maksim Gorki («Mi permetto di indicarLe due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c'è qualcosa che può essere d'ammaestramento anche al nostro mužik» scrisse Gorki a una giovane amica che gli aveva chiesto dei suggerimenti di lettura). Ma l'incipit di Amori moderni, uscito per l'editore Voghera di Roma nel 1907, ha un altro interesse per il lettore di oggi: Grazia Deledda, infatti, parla di libri, anzi, di un celeberrimo best seller dell'epoca, Quo Vadis?, mettendo in scena un piccolo dialogo che sintetizza bene le diverse reazioni possibili reazioni di fronte a un romanzo letto "da tutti gli imbecilli, tutti gli impiegati, tutti i soldati del Regno di Italia". E non c'è solo Sienkiewicz, ma anche Tolstoj e Dostoevskij, anzi Dostojewsky...
Grazia Deledda
Grazia Deledda
Era agli ultimi di febbraio: una sera tiepida e dolce.
La signora e le figliuole del professor Rotta-Torelli, riunite intorno alla tavola ancora apparecchiata, nella saletta tranquilla la cui porta a vetri dava su un giardino incolto, discorrevano col giovane professore Antonio Azar.
A dire il vero, la signora, ancor giovane e bella, ma coi capelli bianchissimi, ascoltava in silenzio, stuzzicandosi i denti e guardando con due vivi occhi neri or l'uno or l'altro dei giovani, a misura che parlavano, senza aver l'aria di capire del tutto le loro discussioni. Ella era figlia d'un capitano piemontese, di quelli che "han fatto la patria", e che perciò forse non aveva avuto il tempo di curare l'istruzione della figlia, lasciandola crescere nella più completa ignoranza: ella non leggeva mai un libro, e non sapeva se i molti che leggevano le sue tre figliuole fossero buoni o cattivi.
In quel tempo in tutti i salotti d'Italia non si parlava che del romanzo Quo vadis?
- No, - diceva Maria la fidanzata di Antonio Azar, - io non ho letto e non leggerò Quo vadis? Sì, sì, appunto perché lo hanno letto e lo leggono tutti gli imbecilli, tutti gli impiegati, tutti i soldati del Regno di Italia...
- Rispetta l'esercito... - disse, senza smettere di stuzzicarsi i denti. - Ricordati che sei anche tu discendente di quei prodi che ci han dato una patria ed un re...
- Ma fatemi il piacere, mamma! Io venero il mio caro nonno, ma non so che farmene della patria e del re!
- Se ci fosse papà non parleresti così! - osservò la grassa dodicenne Anna, un fenomeno di bimba che aveva già letto più di trecento romanzi, compreso il Quo vadis?
Ma la sorella non badava a lei.
- ... Gli italiani? Tante pecore gli italiani. Ecco che cosa siete! Ed ecco anche come si spiega il fenomeno di questo stupido Quo vadis?
- Gl'italiani? Ma tu che cosa sei? - chiese Anna dispettosa, agitando le mani piene d'anellini falsi.
- ... No, - proseguiva Maria, rivolta ad Antonio, - io non leggerò mai un libro, che tutti leggono solo perché qualcuno ha detto che è bello. Ammetto anche che sia bello davvero, ma io non lo leggo appunto perché è passato attraverso l'ammirazione di una turba cretina che lo ha profanato...
Mentre ella parlava, Antonio non le staccava gli occhi dal viso. Egli provava una specie di brivido interno; sentiva un'onda di parole salirgli alle labbra, ma, come spesso gli succedeva, non riusciva a pronunziarne una. Il mento gli tremava lievemente. E Maria, accorgendosi benissimo che egli non riusciva ad esprimersi, s'irritò e cominciò a battere nervosamente l'estremità del manico d'un coltello sulla saliera colma.
- Eppure io so che tu hai voglia di leggere il Quo vadis? - disse Marina, la sorella maggiore - e tu dovresti leggerlo perché te lo ha regalato Antonio.
- Sicuro... - approvò la madre premurosa.
- Io non ammetto i regali...
- Ma tu leggi il volumetto dei Salmi, che ti ha regalato l'organista - disse Anna.
Maria non batté palpebra, ma un segreto impeto di collera l'assalì, contro le sorelle, contro la madre che si stuzzicava i denti, e sopratutto contro Antonio che taceva.
- Che cosa sono i regali? - riprese dominandosi. - Convenzionalità, o, peggio ancora, prestiti ad usura, che si devono restituire a un dato tempo. Questo non entra nella questione. Io, dici tu, ho voglia di leggere il Quo vadis? E va bene; ma appunto perché ne ho voglia non lo leggo. Che cosa è il desiderio? Un moto incosciente, un istinto: basta esaminarlo per farlo cessare.
- Ma dal momento che tu hai voglia, vuol dire che non hai esaminato ancora il tuo desiderio - disse finalmente Antonio.
- Oh, ecco il sofista! Ma io sono cosciente anche quando sono incosciente: ho ancora la coscienza della mia incoscienza.
- Tu sei mostruosamente sottile, - riprese Antonio un po' ironico, - ma non rispondi mai a tono.
- E che cosa è il rispondere? - ella chiese, guardandolo fisso con gli occhioni grigi socchiusi, quegli occhi un po' misteriosi, canzonatori e ingenui e severi ad un tempo che talvolta gli incutevano paura.
- E la posa che cosa è? - disse Marina ridendo.
- La posa è la virtù delle persone insufficienti, come te... ed altre!
- Meglio insufficienti che anormali - disse Marina.
- Si è più felici - aggiunse lentamente e un po' tristemente il giovine.
- Che cosa è la felicità? Voi, gente normale, non sapete neppure definirla; ne parlate come parlate di Quo vadis? e di tante altre cose, ma non sapete quel che vi dite. Io sarò squilibrata, come voi dite...
- Chi lo dice? - gridò Antonio.
- Tu lo dici.
- Non solo, ma anche matta! - aggiunse Marina.
- Anche matta, benissimo. Ma tu che chiami matta una matta che cosa sei?
- Io dico la verità...
- Allora sei capace di dire cieco ad un cieco, per insultarlo. Ecco che cosa siete voi, i normali, i sani, gli incoscienti, che leggete Quo vadis? perché lo han letto due milioni di persone, e leggete la Famiglia Polanieski perché è dello stesso autore.
- Tu pure leggi la Famiglia Polanieski! - disse Anna trionfante.
- Ma ho forse letto Quo vadis? E leggo la Famiglia Polanieski anzitutto perché l'ho comperato io, poi perché appunto non ho letto Quo vadis? Del resto non mi piace. È la solita storia d'amore: moralità immorale. Mi piace solo un personaggio: Bukaski.
- Perché ti rassomiglia.
- Scusa, io non sono né tisica, né brutta. Io sono rosea ed ho un bel profilo - diss'ella con vezzo infantile e con fine civetteria, passandosi un dito sul naso. - Io sono sana e bella. Sono bella o no, Antonio?
Egli la guardò e sorrise.
- Sì - disse dopo un momento.
E la madre e le sorelle di Maria non protestarono, perché erano abituate alle piccole stranezze di lei. D'altronde ella era veramente bella, coi capelli chiari rialzati sulla fronte lucente, e gli occhi lunghi, luminosi: la camicetta rossa, col colletto bianco da uomo, dava un riflesso roseo alle guancie infantili ed a tutto il volto abilmente incipriato.
- Bella, ed anche modesta! - osservò soltanto la piccola Anna, che s'era messa a leggere un giornale e pareva non ascoltasse.
- Ma! - esclamò Maria. - Vuoi andare a letto, tu, piccola pettegola? Va, va a letto, e pensa che la modestia è una parola.
- Oh, Dio! - gridò Anna, fingendo di non aver udito. - Leggi, Marina mia, leggi che bel vestito aveva la regina: eliotropio con pizzi gialli. Come doveva esser bella! Cara!
- ... Diceva quel secentista che la parola è il manico delle cose, - rispose Antonio, rivolto a Maria, - anche la bellezza, come la modestia, è una parola... Questo non impedisce...
- Di preferire la bellezza alla bruttezza - disse Maria, ma subito si pentì, perché Antonio era brutto. Egli però parve non offendersi; solo una vaga tristezza passò nei suoi occhi.
- Io credo la bellezza, riflesso della bontà - disse con voce grave. - Le cose e le persone belle non possono esser cattive anche se vogliono parerlo...
Si guardarono: ella si compiacque delle parole di lui, egli si sentì felice d'aver detto qualche cosa di grazioso. Vedendoli bene avviati, anzi completamente rappacificati, la signora si alzò e condusse via Anna: Marina si mise a leggere il giornale.
- Del resto tu forse hai ragione, - disse Azar, - il Quo vadis? non è poi quel libro meraviglioso che tutti vogliono. Vedrai che la critica insorgerà e lo demolirà, se non altro perché diventerà popolare come i Reali di Francia. Io, almeno, mi aspettavo qualche cosa di più: avevo letto che Nerone ci appariva diverso da come finora ce l'avevamo immaginato. Nel Quo vadis? certo, la figura di Nerone è evidentissima; ci par di vederlo, con le sue mani dal pelo rosso, col suo smeraldo, con la sua clamide; ma ricordiamo di averlo già veduto così altre volte, leggendo la storia.
- Ma questo sarebbe il merito...
- No. Non basta. L'opera d'arte deve creare; deve essere più evidente e più acuta della storia. Vedi, per esempio, in Guerra e pace: Napoleone ci appare diverso dal Napoleone della storia, ma è così potente e vera la figura creata da Tolstoi che noi diciamo a noi stessi: «Napoleone è questo, non già quello che conoscevamo». Nella Famiglia Polanieski poi, Sienkievicz si ripete alquanto; Petronio rivive in Bukaski, Vinicio nell'antipatico Polanieski. E così altre figure. Con questo non intendo dire che Sienkievicz non sia un grande e potente artista; ma il suo successo mi pare esagerato, ed anche ingiusto, in confronto a quello degli altri autori. È forse da paragonarsi a Dostojewsky? Eppure chi in Italia, tranne qualche studioso, conosce Delitto e castigo? Cominciando da te, che sei la ragazza più intelligente del mondo, (ella sorrise beffarda, ma di nuovo si compiacque) e terminando con Pietro mio fratello, che più modesto di te dice di essere il più intelligente italiano, non avete letto Delitto e castigo.
(Il testo completo di Amori moderni di Grazia Deledda si può leggere e scaricare dal sito Liber Liber)
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