Bertolt Brecht (Augusta, 10 febbraio 1898 - Berlino Est, 14 agosto 1956)
Si afferma spesso che la Storia si ripete; a volte in modo farsesco. Questo è un luogo comune, e non è detto che sia erroneo. Personalmente ritengo che la Storia, ad un certo punto del proprio svolgimento, riavvolga il nastro per un po'. Seccata poiché non ha insegnato nulla, decide di ritornare ai blocchi di partenza del secolo. Per darci un'altra possibilità o divertirsi, chi lo sa.
Brecht scrisse tale poesia nel 1938.
È una poesia che presagisce i cupi tempi futuri, ma, essenzialmente, rimane una composizione sulla speranza. Io - dice il poeta - ho vissuto in tempi bui, accanto agli assassini, senza distillare il frutto della quiete e della saggezza, in tempi di confusione, fra gli strepiti delle lotte, nei regni della fame. Non ho vissuto come filosofo - gentile e composto - perché l'ingiustizia da combattere richiedeva soldati temprati, usi a consumare un po' di pane fra le battaglie, in fuga per il mondo; e la voce dei profughi e dei fanti di questi eserciti è roca e sgraziata. Così - continua il grande poeta - ho consumato la mia vita; ma io e i miei compagni, che non siamo stati gentili - prosegue - abbiamo pur apprestato il terreno alla gentilezza; l'abbiamo fatto per voi, che siete coloro che verranno, quelli che scamperanno i gorghi della guerra, del bisogno e dell'iniquità. Abbiamo preparato un mondo di giustizia - egli conclude - un mondo che voi godrete, ma che noi possiamo solo intravedere come una biblica terra promessa; per questo, solo per questo, spero che vogliate perdonare le nostre debolezze di combattenti.
Quelli che sono venuti dopo Brecht siamo noi. Abbiamo mangiato alle tavole della pace, poi addirittura gozzovigliato erodendo il credito delle lotte di chi venne al tempo delle rivolte, cambiando più paesi che scarpe.
Ora la Storia rovina all'indietro.
Oggi, a differenza di ieri, viviamo nella serenità apparente, ingentiliti nell'ozio.
Ma le nubi si addensano. Si prepara la guerra inevitabile. E, a coloro che verranno, non abbiamo nulla da offrire.
Sarebbe bello se faceste così: leggete la poesia in italiano, per capirne il senso approssimativo.
Poi cliccate sul video di youtube dove la sentirete recitare in tedesco da Klaus Kinski.
E seguite il testo tedesco che ho trascritto sotto (solo le parti in neretto).
An die Nachgeborenen è una delle migliori poesie del Novecento.
Possiede la patina antica d'una iscrizione classica. Vera e definitiva.
* * * * *
Davvero,
vivo in tempi bui!
La
parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol
dire insensibilità. Chi ride,
la
notizia atroce
non
l'ha saputa ancora.
Quali
tempi sono questi, quando
discorrere
d'alberi è quasi un delitto,
perchè
su troppe stragi comporta silenzio!
E
l'uomo che ora traversa tranquillo la via
mai
più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che
sono nell'affanno?
È
vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma,
credetemi, è appena un caso. Nulla
di
quel che fo m'autorizza a sfamarmi.
Per
caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e
sono perduto).
"Mangia
e bevi!", mi dicono: "E sii contento di averne".
Ma
come posso io mangiare e bere, quando
quel
che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca
a chi ha sete il mio bicchiere d'acqua?
Eppure
mangio e bevo.
Vorrei
anche essere un saggio.
Nei
libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar
le contese del mondo e il tempo breve
senza
tema trascorrere.
Spogliarsi
di violenza,
render
bene per male,
non
soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli,
dicono, è saggezza.
Tutto
questo io non posso:
davvero,
vivo in tempi bui!
Nelle
città venni al tempo del disordine,
quando
la fame regnava.
Tra
gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e
mi ribellai insieme a loro.
Così
il tempo passò
che
sulla terra m'era stato dato.
Il
mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per
dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci
all'amore senza badarci
e
la natura la guardai con impazienza.
Così
il tempo passò
che
sulla terra m'era stato dato.
Al
mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La
parola mi tradiva al carnefice.
Poco
era in mio potere. Ma i potenti
posavano
più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così
il tempo passò
che
sulla terra m'era stato dato.
Le
forze erano misere. La meta
era
molto remota.
La
si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi
inattingibile.
Così
il tempo passò
che
sulla terra m'era stato dato.
Voi
che sarete emersi dai gorghi
dove
fummo travolti
pensate
quando
parlate delle nostre debolezze
anche
ai tempi bui
cui
voi siete scampati.
Andammo
noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso
le guerre di classe, disperati
quando
solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta.
Eppure
lo sappiamo:
anche
l'odio contro la bassezza
stravolge
il viso.
Anche
l'ira per l'ingiustizia
fa
roca la voce. Oh, noi
che
abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi
non si potè essere gentili.
Ma
voi, quando sarà venuta l'ora
che
all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate
a noi
con
indulgenza
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!
Das arglose Wort ist töricht. Eine glatte Stirn
Deutet auf Unempfindlichkeit hin. Der Lachende
Hat die furchtbare Nachricht
Nur noch nicht empfangen.
Was sind das für Zeiten, wo
Ein Gespräch über Bäume fast ein Verbrechen ist
Weil es ein Schweigen über so viele Untaten einschließt!
Der dort ruhig über die Straße geht
Ist wohl nicht mehr erreichbar für seine Freunde
Die in Not sind?
Es ist wahr: Ich verdiene nur noch meinen Unterhalt
Aber glaubt mir: das ist nur ein Zufall. Nichts
Von dem, was ich tue, berechtigt mich dazu, mich sattzuessen.
Zufällig bin ich verschont. Wenn mein Glück aussetzt,
bin ich verloren.
Man sagt mir: Iss und trink du! Sei froh, dass du hast!
Aber wie kann ich essen und trinken, wenn
Ich dem Hungernden entreiße, was ich esse, und
Mein Glas Wasser einem Verdursteten fehlt?
Und doch esse und trinke ich.
Ich wäre gerne auch weise.
In den alten Büchern steht, was weise ist:
Sich aus dem Streit der Welt halten und die kurze Zeit
Ohne Furcht verbringen
Auch ohne Gewalt auskommen
Böses mit Gutem vergelten
Seine Wünsche nicht erfüllen, sondern vergessen
Gilt für weise.
Alles das kann ich nicht:
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!
In die Städte kam ich zur Zeit der Unordnung
Als da Hunger herrschte.
Unter die Menschen kam ich zu der Zeit des Aufruhrs
Und ich empörte mich mit ihnen.
So verging meine Zeit
Die auf Erden mir gegeben war.
Mein Essen aß ich zwischen den Schlachten
Schlafen legte ich mich unter die Mörder
Der Liebe pflegte ich achtlos
Und die Natur sah ich ohne Geduld.
So verging meine Zeit
Die auf Erden mir gegeben war.
Die Straßen führten in den Sumpf zu meiner Zeit.
Die Sprache verriet mich dem Schlächter.
Ich vermochte nur wenig. Aber die Herrschenden
Saßen ohne mich sicherer, das hoffte ich.
So verging meine Zeit
Die auf Erden mir gegeben war.
Die Kräfte waren gering. Das Ziel
Lag in großer Ferne
Es war deutlich sichtbar, wenn auch für mich
Kaum zu erreichen.
So verging meine Zeit
Die auf Erden mir gegeben war.
Ihr, die ihr auftauchen werdet aus der Flut
In der wir untergegangen sind
Gedenkt
Wenn ihr von unseren Schwächen sprecht
Auch der finsteren Zeit
Der ihr entronnen seid.
Gingen wir doch, öfter als die Schuhe die Länder wechselnd
Durch die Kriege der Klassen, verzweifelt
Wenn da nur Unrecht war und keine Empörung.
Dabei wissen wir doch:
Auch der Hass gegen die Niedrigkeit
Verzerrt die Züge.
Auch der Zorn über das Unrecht
Macht die Stimme heiser. Ach, wir
Die wir den Boden bereiten wollten für Freundlichkeit
Konnten selber nicht freundlich sein.
Ihr aber, wenn es soweit sein wird
Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer ist
Gedenkt unsrer
Mit Nachsicht.
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