Carl Spitzweg - Il topo di biblioteca (1850) |
Scritto nel novembre 1836, Bibliomania è una delle primissime creazioni di Gustave Flaubert, a
quel tempo appena quindicenne.
Vi è protagonista Giacomo, un libraio di
Barcellona, uomo completamente assorbito dalla bibliomania, divenuta vizio e,
da ultimo, perversione che spinge al delitto.
Flaubert vanta una prosa solo leggermente
sovrabbondante, ma già sicura, e tipica dei grandi realisti francesi
dell'Ottocento: egli ottiene il massimo del rilievo descrittivo e psicologico
con uno stile piano, favorito dalla lingua madre, sempre precisa e
spietata, cartesiana.
E, del pari, l'adolescente Flaubert possiede la
finezza dell'introspezione interiore; basta notare come, dopo la sapida presentazione
del carattere di Giacomo, Flaubert getta lì, con la nonchalance dello scrittore
di genio, cinque parole terribili: "Il
savait à peine lire", egli sapeva a stento leggere. Brevissima e
crudele presa d'atto della bibliofilia scaduta a pura libidine di possesso,
assolutamente svincolata dalla cultura e dell’apprezzamento di ciò che gli oggetti
della propria mania possono significare.
Ventun anni dopo, nel 1857, Flaubert licenzierà
il capolavoro indiscusso Madame Bovary;
quarantaquattro anni dopo (1880) lascerà incompiuto il capolavoro nascosto Bouvard e Pecuchet. Lo stile, raffinato
dalla lenta acribia dell’autore, suonerà più sicuro e asciutto rispetto alla
prova adolescenziale, ma l’ideologia (o l’idiosincrasia) sottese rimarranno le
stesse del Gustave di mezzo secolo prima. Chi è Madame Bovary se non una sciocca
rovinata da libri letti in gioventù che le forniranno un immaginario stolido e
pronto al continuo disinganno? E chi saranno Bouvard e Pecuchet se non due
candidi idioti pronti a cercare la saggezza in migliaia di libri che non
capiscono affatto (e scritti da altrettanti idioti)?
La scrittura è mestiere e si affina col tempo; il cuore perde ogni illusione, si indurisce, ma, in realtà, non cambia mai. (g. l. ch.)
La scrittura è mestiere e si affina col tempo; il cuore perde ogni illusione, si indurisce, ma, in realtà, non cambia mai. (g. l. ch.)
Bibliomania
“Aveva trent'anni, ma
già sembrava vecchio e consunto; era di statura alta, ma curvo come un vecchio;
i capelli era folti, ma bianchi; aveva mani forti e nervose, ma rinsecchite e
coperte di rughe; il suo abito era misero e lacero, aveva l'aspetto sinistro e
oscuro, la fisionomia era scialba, triste, brutta e persino insignificante.
Raramente lo si vedeva per le strade, se non nei giorni in cui si tenevano aste
di libri rari e originali. Allora non era più lo stesso uomo indolente e
ridicolo, i suoi occhi si animavano, correva, camminava, scalpitava, a stento
moderava la sua gioia, le sue inquietudini, le sue angosce, i suoi dolori;
tornava a casa con il fiato mozzo, ansimante, quasi incapace di respirare,
afferrava l'adorato libro, lo covava con gli occhi, lo guardava e lo amava,
come un avaro ama il suo tesoro, un padre la figlia, il re la sua corona.
Quest'uomo non aveva mai parlato a nessuno, se
non ai mercanti di libri usati e ai rigattieri; era taciturno e sognatore, cupo
e triste: aveva una sola idea, un solo amore, una passione: i libri; e questo
amore, questa passione lo bruciavano interiormente, consumavano i suoi giorni,
divoravano la sua esistenza …
Passava notti febbrili e ardenti tra i suoi
libri. Si aggirava nei retrobottega, percorreva i corridoi, della sua
biblioteca con estasi e rapimento; poi si fermava, i capelli in disordine, gli
occhi fissi scintillanti, la mani tremavano, toccando il legno degli scaffali;
erano caldi e umidi.
Prendeva un libro, ne sfogliava le pagine, ne
tastava la carta, ne esaminava le dorature, la copertina, le lettere,
l'inchiostro, le pieghe e la disposizione dei disegni attorno alla parola finis; poi lo cambiava di posto, lo
metteva su un ripiano più alto e restava per ore intere a guardarne il titolo e
la forma.
Oh! Era felice quest'uomo, felice in mezzo a
tutta quella scienza, di cui a stento comprendeva la portata morale e il valore
letterario; era felice, seduto tra tutti i suoi libri, facendo scorrere lo
sguardo sulle lettere dorate, sulle pagine consumate, sulla pergamena sbiadita;
amava il sapere come un cieco ama la luce.
No! Non era il sapere che amava, era la sua
forma e la sua espressione; amava un libro perché era un libro, amava il suo
odore, la sua forma, il suo titolo.
Ciò che amava in un manoscritto, era la sua
vecchia data illeggibile, le lettere gotiche bizzarre e strane, le spesse
dorature che appesantivano i suoi disegni, erano le sue pagine coperte di
polvere, polvere di cui aspirava deliziato il profumo soave e delicato; era la
bella parola finis, circondata da due
amorini, sorretta da un nastro, appoggiata a una fontana, incisa su una tomba o
adagiata in un cestino tra le rose, le mele d'oro e i mazzi di fiori blu.
Questa passione l'aveva assorbito interamente,
non mangiava quasi, non dormiva più, ma pensava per notti e giorni interi alla
sua idea fissa: i libri ...
Sapeva a stento leggere …
Era stato monaco, e per i libri aveva
abbandonato Dio; più tardi sacrificò loro ciò che gli uomini hanno di più caro
dopo il loro Dio, il denaro; in seguito donò loro ciò che si ha di più caro
dopo il denaro; la sua anima …”
Consigli di lettura
- Gustave Flaubert, Il bibliomane, in Bibliomanie:
passioni, malattie e dannazioni di chi ama troppo i libri (cura di Coralba
Colomba), Valerio, 2011
- Gustave Flaubert, Bibliomania, Mursia, 2009
- Gustave Flaubert, Bibliomania, Mobydick, 1998
- Gustave Flaubert, Bibliomania, Imaginaria, 1992 (presentazione di Marcello Dell'Utri)
- Gustave Flaubert, Bibliomania,
Red, 1988
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