Quattro giorni di poesia a Firenze da oggi a venerdì per l'undicesima edizione del festival "Voci lontane voci sorelle". Tra i partecipanti Gabriele Frasca, Stefano Dal Bianco, Elisa Biagini. Di notevole interesse, oltre alle letture, i seminari: in particolare, domani pomeriggio, si parlerà di Traduzione e poesia, un tema  che è anche al centro del laboratorio avviato tre anni fa da Monteverdelegge. Alla vigilia del nuovo ciclo 2013-2014 ecco le riflessioni di Fiorenza Mormile, coordinatrice dell'iniziativa.
Tradurre è attraversare una distanza nello spazio, nel tempo, 
nel rapportarsi col reale. Ha a che fare con il nomadismo e la perdita, 
ricorda il trasloco che permette l’acquisizione di uno spazio 
nuovo ma lascia indietro inevitabilmente qualcosa. Del bonsai esecravo 
l’amputazione finché non ne ho compreso lo scopo originario: salvaguardare  
specie arboree rendendole trasportabili a distanza. Se per i più severi 
ogni testo sarebbe per sua natura intraducibile, la traduzione del testo 
letterario è la più esposta alle intemperie dell’insuccesso. Giuseppe 
Pontiggia definiva l’idea di tradurre “un viaggio verso Utopia, 
un avvicinamento progressivo all’impossibile”, che tuttavia molti 
continuano a praticare con temerarietà e soddisfazione. A maggio ho 
udito il grande Seamus Heaney tessere le lodi di questo tipo di esplorazione: 
ammesso che l’aver letto Dante in traduzione gliene avesse fatto perdere 
il cinquanta per cento ciò che restava era bastato a cambiargli la 
vita.
Ma quando si traduce e perché? Pavese parlava della necessità 
di un “innamoramento”, di un’intensa  fascinazione esercitata 
da un testo. In assenza di questa “chiamata” l’operazione risulterebbe 
meccanica, carente di interesse letterario. Come un’interpretazione 
musicale tecnicamente perfetta ma priva di pathos. Attenzione a non 
farsi trasportare troppo però, il rischio di strafare è sempre in 
agguato, l’amore a volte si prende troppe libertà e troppo spazio. 
Pensiamo a un utero in affitto. L’embrione viene impiantato  
e comincia a essere nutrito dal sangue e dalla linfa dell’ospite, 
la circolazione diviene unica, salgono i picchi ormonali …a quel punto 
l’ospite può entrare in confusione: di chi è il figlio? Forse contro 
questo rischio di vampirismo Nadia Fusini ammonisce :” La traduzione 
è passione della parola dell’altro, non della propria, o non è nulla 
(…)  è amore di lontano, passione di esilio, avventura dell’esodo. 
Non si tratta di pronunciare la propria parola, si tratta di pronunciare 
la parola dell’altro.” L’autore è esposto anche ad altri rischi 
: in genere ci si compiace che le proprie creature possano acquisire 
in traduzione nuove dimensioni di esistenza ma raramente si è in grado 
di controllare la bontà dei risultati. Può anche accadere che per 
tata capiti una strega… Per fortuna sono casi rari.  
Al traduttore coscienzioso e capace di mantenere la giusta distanza, 
l’operazione garantisce comunque  grande nutrimento. Lo sollecita 
a espandere pur in un’ottica di servizio la propria parola oltre 
i confini del sé. Anche un servitore beneficia in termini di allargamento 
mentale del Grand Tour del suo titolato padrone. Se è un poeta, poi, 
ancora di più. Ascoltare la propria voce straniata proveniente dalla 
terra di mezzo del tradurre può aiutarlo a svincolarsi dalle gabbie 
metriche e stilistiche della sua tradizione. Giudici diceva che gli 
autori tradotti avevano influito sulla sua poesia attraverso la nuova 
voce che si era creato per renderli. 
Chiediamoci ora come arrivi “la chiamata”, facendo scattare la seduzione 
del testo: accende più la somiglianza o la differenza? Più spesso 
si sceglie forse ciò che ci somiglia, ci è familiare e ci attira come 
uno specchio ipnotico. Caproni raccomandava invece al poeta traduttore 
di superare la tentazione dei poeti congeniali e di rivolgersi piuttosto 
agli  antipodi per risvegliare attraverso la loro parola catalizzatrice 
ciò che in lui giaceva latente. Un forte stimolo creativo è certamente 
alla base di quel tipo speciale di traduzioni che sono le variazioni 
o riscritture : di fatto nuovi testi autonomi generati dai primi come 
in Nomi distanti di Anedda, che parla di un effetto trascinamento: 
“il testo altrui mi consentiva di esistere, illuminava il nuovo testo 
sottraendolo all’irrealtà, trascinandolo, trascinandomi.” In ogni 
normale traduzione c’è comunque già sempre un alto tasso di creazione, 
considerando le infinite varianti possibili e le infinite possibilità 
combinatorie della lingua. 
L’abbiamo toccato con mano, affascinate 
da questa rutilante molteplicità, nel nostro laboratorio di traduzione 
di  Monteverdelegge, tenuto quest’anno nella confortevole sede 
di Plautilla (dopo un primo rodaggio in case private  del quartiere). 
Abbiamo lavorato sulla poetessa inglese Stevie Smith, cooptata forse 
più per somiglianza che per distanza a fronte dell’importante presenza 
materna e paramaterna nel suo vissuto familiare. Ogni partecipante (almeno 
lo zoccolo duro e costante delle assidue: Paola Splendore, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Maria Teresa Carbone) portava a ogni incontro la 
sua traduzione del testo di volta in volta concordato, per intero, se 
breve, o di parte di esso, se lungo). Dal confronto solo in rarissimi 
casi sono emerse identità di soluzioni su singole espressioni o versi. 
Si è dovuto allora trovare un compromesso, scegliendo fior da fiore. 
All’inizio è stata dura. Appariva quasi inaccettabile dover abdicare 
alla rispettiva proposta cui ciascuna era visceralmente legata, ogni 
modifica vissuta come una violenza sull’integrità della propria creatura. 
In mancanza di unanimità sembrava che a un bel momento qualcuno prendesse 
le redini forzando un po’ le cose, come quando durante una seduta 
spiritica si ha  l’impressione che qualcuno muova volutamente 
il piattino. Man mano però questa l’ipertrofia dell’io si è placata 
e ridimensionata, e abbiamo imparato a gustarci il piacere di veder 
nascere in diretta un testo coerente partendo da materiali di matrice 
diversa, a volte lavorando ulteriormente insieme uno spunto interessante. 
E pian piano credo ciascuno si sia convinto dell’assoluta superiorità 
del gruppo rispetto alla performance del singolo. Per entrare un po’ 
nel merito la maggioranza dei testi erano in rima, dall’aria ingenua 
e quasi infantile, ma dalla tessitura di metrica, lessico e registro 
piuttosto sofisticata. La resa della rima è risultata fin dall’inizio 
assai complessa, ma considerata ben presto imprescindibile per non smontare 
l’effetto ironico e a sorpresa di molte chiuse. Si è spesso dovuto 
ricorre alla riformulazione dei concetti, evitando le scorciatoie di 
rime troppo “facili” in “are” dei verbi all’infinito, ma la 
sfida è stata divertente ed ha finito per appassionare anche chi all’inizio 
era ostile all’idea, per il rischio filastrocca sempre in agguato. 
Altra difficoltà pur scontata in partenza è stata quella di dover 
contenere nella resa italiana il proliferare di sillabe sempre debordanti 
rispetto alla nervosa e scattante brevitas albionica.  Se ripensiamo 
a quanto la condivisione sia stato fulcro e punto di avvio di Monteverdelegge 
questo laboratorio ne incarna a perfezione lo spirito. Ogni incontro 
porta a  un prodotto finito, un testo che riassume e cristallizza 
tutto il processo di confronto e discussione. Ho avuto precedenti esperienze 
di traduzione in gruppo: un’antologia tradotta a quattro mani è uscita 
nel 2009 e un nuovo progetto con lo stesso team è in dirittura d’arrivo. 
La modalità operativa è che ciascuna traduca autonomamente un certo 
numero di testi che poi vengono uno per uno revisionati insieme più 
volte. Qui c’è stato un ulteriore upgrade della dimensione collettiva. 
La scelta di lavorare su un numero ridotto di testi ha permesso di estendere 
il confronto su ogni singolo aspetto: prosodico, lessicale, sintattico 
etc. Ognuno di noi ha appreso qualcosa dal modo di tradurre degli altri, 
ad esempio io mi sono definitivamente emancipata dalla tendenza postliceale 
alla variatio nella resa di un termine ricorrente.                   
Detta 
così potrebbe apparire ad alcuni una roba impegnativa, e invece 
non voglio spaventare i nuovi aspiranti traduttori di gruppo. Tranquilli: 
i “compiti” non sono obbligatori, anche se certo impegno e assiduità 
danno i loro frutti. Questo dunque è un invito, se vi è venuta voglia… 
giocate con noi.       
Fiorenza 
Mormile e Anna Maria Robustelli hanno tradotto e curato insieme a Loredana 
Magazzeni e Brenda Porster l’antologia Corporea. Il corpo nella poesia femminile contemporanea 
di lingua inglese, Le Voci della Luna –Poesia, 2009.   
 

 
 
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