Arriva domani in libreria, per merito di Bompiani, un libro di Marcello Marchesi, Il malloppo, da lungo tempo relegato nell'abisso dei "fuori catalogo". Per festeggiare il ritorno di un autore che i più giovani non hanno potuto conoscere, ma che con le sue battute intelligenti e perfide ha segnato un'epoca, proponiamo un articolo di Francesca Lazzarato sul libro, uscita sul "manifesto" il 16 settembre 2007 all'interno della rubrica "Gli introvabili". (Insieme al Malloppo, Bompiani pubblica anche Il dottor Divago, la raccolta della produzione umoristica di Marchesi, per la prima volta in volume).
Francesca Lazzarato
«L'importante è che la morte ci trovi vivi»: così, con una delle
migliaia di battute prodotte in quarant'anni di carriera, si apre e si
chiude Il malloppo. Le parole si vendicano, breve testo di Marcello Marchesi pubblicato da Bompiani nel 1971, poi riapparso nel 1992 presso il medesimo editore e quindi inghiottito dal «fuori catalogo».
In questo libro bizzarro Marchesi aveva concentrato i frutti della sua inarrestabile attività di «sloganaro e battutaro», come a volte definiva se stesso, per raccontare la storia di un uomo «malato di parole» e ricoverato in una clinica dove la paziente Suor Otaria delle Piccole Sorelle del Divino Rantolo registra e sbobina i suoi esplosivi deliri. Il protagonista - un alter ego dell'autore preciso al millimetro - è travolto dalla vendetta del linguaggio che ha usato per tutta la vita con spropositata abilità, mettendolo al servizio di ogni e qualsiasi forma di intrattenimento popolare (cinema, rivista, sceneggiati radiofonici, varietà televisivi, canzonette, farse, commedie), combinando le parole in maniera che facessero ridere o vendere, e lavorando su di esse «come un ciabattino, tirandole di qua e di là, rovesciandole, adattandole a tutti gli usi».
Parole che ormai lo sfiniscono e che cerca di espellere insieme al
ricordo di donne traditrici e ossessive, al racconto di un'impossibile
guerra alla vecchiaia, alla memoria di un'infanzia dominata da sette
possenti zie, tutte sposate con lo stesso uomo...In questo libro bizzarro Marchesi aveva concentrato i frutti della sua inarrestabile attività di «sloganaro e battutaro», come a volte definiva se stesso, per raccontare la storia di un uomo «malato di parole» e ricoverato in una clinica dove la paziente Suor Otaria delle Piccole Sorelle del Divino Rantolo registra e sbobina i suoi esplosivi deliri. Il protagonista - un alter ego dell'autore preciso al millimetro - è travolto dalla vendetta del linguaggio che ha usato per tutta la vita con spropositata abilità, mettendolo al servizio di ogni e qualsiasi forma di intrattenimento popolare (cinema, rivista, sceneggiati radiofonici, varietà televisivi, canzonette, farse, commedie), combinando le parole in maniera che facessero ridere o vendere, e lavorando su di esse «come un ciabattino, tirandole di qua e di là, rovesciandole, adattandole a tutti gli usi».
Il malloppo ci si presenta quindi come una sorta di non-romanzo quasi autobiografico, divertente quanto amaro, che non finisce di sorprendere per l'intelligenza, lo spirito caustico, la capacità di disegnare un ritratto quanto mai agro degli anni del boom, del primo consumismo, dell'avvento televisivo. A rileggerlo adesso non si può fare a meno di pensare che Marchesi avesse la vista straordinariamente lunga, così lunga da permetterci di fare i conti, attraverso le sue pagine solo in apparenza «futili e dilettevoli», sia con il recente passato del nostro paese che con la volgarità e il pressapochismo del suo presente e dei suoi media asserviti e presuntuosi.
Oggi nessuno sembra ricordarsi di lui, eppure con Marcello Marchesi abbiamo a che fare ogni giorno, e non solo perché in tanti hanno saccheggiato la sua sterminata creatività o per tutta una serie di storiche battute ed aforismi che circolano sul web, ma anche grazie ai film di Totò sceneggiati con Vittorio Metz (L'imperatore di Capri, Sette giorni di guai, Siamo uomini o caporali?), o a spezzoni di varietà televisivi come L'amico del giaguaro, Quelli della domenica, Il signore di mezza età. Per non parlare di certi Caroselli i cui slogan sono diventati modi di dire, tipo «Con quella bocca può dire ciò che vuole», «Il signore sì che se ne intende», «Basta la parola».
Confessava di aver sempre bazzicato quelli che facevano ridere perché «non voleva soffrire», e, nel mondo della pubblicità come in quello dello spettacolo, aveva portato la sua solidissima cultura e la capacità di giocare con la forma e il senso del linguaggio. Prima di liquidarlo come un semplice «battutaro», perciò, varrebbe la pena di ricordare che Zavattini lo paragonava a Maccari e che Mario Soldati lo recensiva così : «...tra la barzelletta surrealista e l'apologo moderno; tra il divertimento di uno che ha letto tutti i libri e non crede più a niente, e l'epigramma amaro e moraleggiante di uno che crede ancora a qualcosa; in un ideale stoico e disperato, direi: se non fossero parole troppo serie e rifiutate prima di chiunque altro proprio da Marcello Marchesi».
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