Nota: con questo Post scriptum si chiude, insieme al mese di agosto, il romanzo a puntate Parola di Capitano, proposto agli amici di monteverdelegge come lettura estiva. Ma il libro, naturalmente, resta in rete, e chi lo vorrà trovare, o ritrovare, non avrà che da andare alla prima puntata e seguire poi il ritmo dei giorni.
Franca Rovigatti
POST
SCRIPTUM, 31 agosto 2013
Sono
passati più di dieci anni, signori.
Quella
fu una serata epocale, fredda gelida ma anche felice, rammentate?
Confido
che ci siate più o meno tutti, ancora. E che ancora vogliate
ascoltarmi.
Riprendo
dopo tanto tempo il discorso, perché credo sia giusto dirvi
qualcosa: quello che voi allora volevate sapere e che io, allora, non
vi dissi.
Ora,
sì, ora mi sento in dovere di rispondere alla domanda che più di
dieci anni fa alcuni di voi mi fecero. Chiedevate di me, vi
ricordate? In realtà temevo di spaventarvi.
Vedete, non si può dire
che avessi un gran pedigree, né che, date le mie credenziali e
curriculum, io potessi mai aspettarmi buona stampa: e dunque, sì, mi
celai dietro un pavido anonimato… Di me non dissi nulla.
Ma
ora sento che è necessario, ora non ho più paura del vostro
giudizio. Questi ultimi anni mi hanno nutrito cuore e coraggio. Non
avevo mai sperato nel tempo, ma ora devo proprio ricredermi, il tempo
può davvero essere un grande guaritore… Col tempo e con la paglia…
Vi
ricordate? Quella sera più di uno tra voi, mentre le luci si
spegnevano sui titoli di coda, strillò: ma tu insomma chi sei? E
qualcuno disse: ma come fai a sapere i più riposti pensieri, le
debolezze dei tuoi personaggi?
E’
che i miei personaggi non erano, non sono veramente miei: erano, sono
loro, di se stessi, eccome! Erano, sono, veri. Tutta la storia è
vera. Io l’ho saputa da loro, da Giona e Alice, da Teo, e poi l’ho
solo raccontata. Capito? Mi hanno detto tutto loro, anche i loro
pensieri e tremori, con tutti i particolari e i dettagli e le
sfumature.
Li
conobbi nel bel mezzo della storia. Io stavo lì e Teo Marlo mise la
scarpa dentro la porta e entrò. Con tutto quel che ne è seguito: la
condanna esemplare di Orofino, la distruzione del lugubre edificio,
gli ammalati salvati, tranne quelli trasportati moribondi in
ospedale, o i tre cadaveri trovati giù in fondo alla cantina.
Insomma, l’avrete capito, io sono stato salvato da Teo Marlo, ero
rinchiuso in quell’inferno maiuscolo, in quella desolazione,
disperazione. Ero un pazzo. Adesso lo capite perché non osai, dieci
anni fa, rivelarvi la mia identità, già immaginavo i commenti: ma
quello è un vero matto, che lo stiamo a sentire, delirio,
nient’altro che delirio, la sua storia… Ero un pazzo rinchiuso
nel più folle dei manicomi. Dolore, fatica, ingiustizia. Nessuna più
speranza. Non vi dirò in quale reparto Serafino Orofino mi aveva
confinato, non ha nessuna importanza: ognuno di quei reparti era
l’incarnazione assoluta del male. Stando là dentro compresi la
totale inutilità del dolore inflitto, del dolore subìto. La mia
educazione religiosissima (mia nonna, ma questa è un’altra storia)
insegnava che il dolore nobilita, santifica. Non è vero! Ve lo posso
garantire, ho una certa esperienza: il dolore inflitto e subìto
abbrutisce invece, spegne. Dopo, uscito da lì, mi prese in cura una
psichiatra molto attenta, molto gentile: mi ha rimesso insieme, è
stata brava, sono stato bravo anch’io, ne sono abbastanza uscito.
Intanto avevo cominciato a frequentare i miei salvatori, e insieme si
cenava, si cena, nella bella terrazza della casa dell’Animula.
Serate con buon vino e amicizia, in cui le storie non aspettano altro
che di saltar fuori e raccontarsi… Ai miei amici piaceva, piace
raccontare, io la mattina trascrivevo le storie, la sera le rileggevo
per loro: è stato un periodo bellissimo, quello della scrittura.
E
ancora, ancora, è un periodo bellissimo.
(31 - fine)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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