mercoledì 14 agosto 2013

Parola di Capitano / 14

Nelle puntate precedenti: finalmente alleati, lo scribacchino seriale Teo Marlo e il protagonista dei suoi romanzi, il Capitano Giona Missing, miracolosamente sfuggito alle pagine che lo tenevano prigioniero, ritrovano sul loro cammino una vecchia conoscenza.

Franca Rovigatti


I CAMPI ELISII
Con quel nome, era lecito aspettarsi che i Campi Elisii fossero almeno un luogo ameno (così nelle rare fantasie a riguardo Teo li aveva immaginati: un parco verdeggiante, fontane, querce, salici, ortensie). Invece la facciata era cupa, austera. Le mura rivestite di bigio peperino avevano esigue finestre, poco più che feritoie, protette da grosse sbarre. Il giardinetto, ruvido d’erba giallastra, era circondato di roveti polverosi.
Suonarono. La porta si aprì sull’immensità dell’abito di una badessa.
"Prego?" modulò a voce bassissima.
"Ehm, Signora... Cioè, Madre, le abbiamo riportato Sommaire... L'avvocato Potto l'aveva portata fuori... Sa, ehm..., nelle sue condizioni..."
La badessa disse soavemente: "Ma la Pochintesta non è più ai Campi da almeno cinque anni. Il signor Potto disse che l'ex marito non era in grado di pagare..."
Oddio. Oddio, pensò Teo. Perché le cose sono tanto complicate? Quello stronzo! Ma come, lui erano anni che sudava sangue per pagare la clinica, precisamente quella clinica: che gli avevano assicurato essere decente...
"Sono io l'ex marito!" proclamò. "Sono Teo Marlo, e ho sempre dato al signor Potto tutti i soldi che mi ha chiesto: ogni anno gli aumenti, e a Natale le mance per il personale. Tutto in regola..."
"Cosa vuole che le dica, signor mio?": l'inamidato petto tremò. "A me allora così fu riferito. Del resto, il signor Potto io nemmeno lo conosco: è l'Economa che tratta con parenti e tutori... Ma venga, entrate, le chiamo suor Maria Teofila che le mostrerà i registri. Qui ci teniamo all’ordine!”
Si scostò dalla porta mentre Teo saliva i gradini trascinandosi una svogliata Sommaire, che pallida si voltava indietro (Orfeo? Euridice?) a controllare che Giona la seguisse.
Percorrendo il corridoio, Teo sussurrò: “Sommaire, perché non ci hai detto che non era questa la casa?".
"Aah..." fece lei piano, frastornata: "E' vero, mi pareva che non era più qui. Ma, sapete, io, le cose, non me le ricordo mai bene... Non ero sicura che fosse il posto sbagliato... Poteva essere anche il posto giusto, no?... Poteva essere che dovevo tornare qui… Scusatemi..."

Intanto la suora s'era fermata davanti a una porta. Un cartello bianco-sporco avvisava 'Economato'.
"Aavaanti!" gracchiò una voce anziana.
Suor Maria Teofila era una vecchia di complessione squadrata. Volto rigido, su cui gli anni avevano lasciato segni che obbedivano alle regole della geometria euclidea: rughe dritte, parallele e perpendicolari, creavano sulla pelle un reticolo di quadratini. Doveva essere una brava contabile: anche i panneggi dell'abito monacale scendevano giù come righelli, senza fare una piega.
"Me lo ricordo benissimo, era la primavera di cinque anni fa" strideva intanto.
Tirò fuori dallo scaffale alle sue spalle un librone nero: "Ecco qua" gracchiò con nella voce una punta di esultanza per l'ordine che ancora una volta si confermava perfetto: "Ecco qua. Precisamente".
Le mani a spatola porsero il registro spalancato a Teo.
La pagina in oggetto diceva:
Oggi, addì 6 Marzo 1995, l'avvocato Samuel Potto, legale tutore della paziente Sommaire Pochintesta, ospite del nostro Istituto dal 21 Dicembre 1979, dà formale disdetta del ricovero della suddetta paziente. Il primario, dottor Dirotto, conferma che la Pochintesta, depressa affetta da stupor catatonico, non è pericolosa, e ne autorizza la dimissione, purché la malata venga ricoverata in altra struttura sanitaria. La paziente, infatti, non ha alcuna autonomia, e si ritiene che in nessun modo potrebbe condurre una vita normale. L'avvocato Potto garantisce sotto sua responsabilità che la Pochintesta verrà internata in una delle seguenti cliniche: Villa Gaia, Hôpital la Joie, Neurotica. Tali strutture, infatti, dispongono del personale medico e paramedico atto a prendersi cura di disturbi quali quelli accusati dalla paziente.’
"Così dunque!" si indignò Teo: "E potrei sapere in quale di queste tre sontuose cliniche Sommaire è stata deportata?"
"Sontuose no." Precisò la badessa: "Gli stessi Campi Elisii, che non si possono definire sontuosi, danno molti punti a tutte e tre! ..."
"Ok!" sbottò Teo, esasperato: "In quale?! In quale maledettissimo ospizio l'hanno portata?!"
"Lo so io!" gracchiò l'Economa, allarmata dalla piega sghemba che andava prendendo l'ordine delle cose: "A Neurotica l'ha messa, il signor Potto. Lo so perché, qualche giorno dopo la dimissione, venne a prendere le cartelle cliniche. Doveva darle al primario, il dottor Serafino Orofino...".
Nel pronunciare quel nome, il viso dell’economa sbiancò. Anche Sommaire, che fin'allora era sembrata assente, si lamentò fiocamente.
"Immagino" disse gelido Teo: "che questo Neurotica sia il posto più economico..."
"Immagina bene!" confermò la badessa: "La retta è circa un quinto di quanto si paga qui. Certo, noi offriamo, in termini di decoro, pulizia, mensa, servizi molto superiori..."
"Noi togliamo il disturbo": disse Teo, che aveva fretta di andarsene. "Grazie delle notizie, Madre Reverendissima!"

NEUROTICA
 
Presero il trenino che, costeggiando la circonvallazione, collegava la periferia orientale al suburbio ovest, zona industriale di Mongo.
Il soffocante pomeriggio estivo sembrava storcersi e ondeggiare tra fumi e miasmi. Ciminiere, tubi giganteschi, capannoni di lamiera si alternavano a depositi di rottamazione auto, a lugubri resti di casali.
"E' qui, ecco, la Scuola è qui..." canterellò Sommaire, ben lieta di rendersi utile.
Nell’implacabile luce pomeridiana, un neon bianco-blu si accendeva e spegneva sul tetto del malmesso edificio che una volta doveva essere stato intonacato di rosso.
Lampeggiando segnalava
NEUROTICA
Casa di Cura
Degenza Maschile e Femminile
PSICOSI E TRAUMI

Tutte le finestre (bifore e ogive) erano serrate da imposte il cui legno anche da lontano mostrava l'anima scrostata.
Avvicinandosi, sentirono crescere come un rumore di fondo sordo e continuo. A Teo tornò in mente il suono che usciva (una volta l’aveva sentito, se lo ricordava bene) da un allevamento in batteria: dove migliaia di galline cacavano uova, sveglie dalla nascita alla morte sotto una luce che non si spegneva mai. Verso corale di anime chiocce, ebete e regolare, senza un solo sussulto.
Suonarono. La porta si schiuse. Dallo spiraglio si affacciò l'adunco ittero di un inserviente: "Chi chiavica siete?!" chiese.
Teo, spinto dal Capitano (che già altre volte, nei romanzi, l’aveva fatto), di forza intrufolò il piede nella fessura, dicendo: "Io sono il marito della signora Pochintesta. Devo conferire subito, è urgente, col Direttore".
"Ah, fate il duro, eh?": Muso di Topo tentava di tenerlo fuori.
Ma Teo era entrato. Lasciando in strada, secondo i patti, Sommaire (il luogo sembrava davvero sinistro) e il Capitano a farle compagnia.
L’atrio era una sozza stanza buia, tanfava di polvere, di chiuso, di odori innominabili. Come se lì vivesse un Orco. Nutrendosi di puzzole.
"Giulietto!": la voce atterrì Teo. Sembrava venire insieme dall'alto e dal basso, da destra e da sinistra, da fuori e da dentro: "Giulietto! Chi cazzo era?".
Muso di Topo tremando rispose acutissimo: "Ha messo il piede dentro! Non sono riuscito a fermarlo! E' entrato, Eccellenzia!"
"Aaah! E tu che ci stai a fare alla porta, coglione! La riverenza?" rombò la voce: "Portamelo su! Vediamo se sarà davvero contento d’essere entrato!”
Giulietto, una miseria d'uomo in camice verdastro, spinse Teo su per la scala. Ad ogni passo sussurrava: "Chiavica, stronzo! Non era meglio se vi fermavate fuori? Così adesso ci vado di mezzo io1 Avete voluto fare il coraggioso, eh, cesso? Il cuore di leone..."
Teo, ovviamente, saliva: che altro poteva fare? Se voleva sapere qualcosa della vita di Sommaire, non gli restava che salire...
Intanto, febbrilmente si sforzava di mettere insieme una qualche strategia. Ok, era entrato, ok, bisognava tirar fuori notizie... Ma doveva anche trovare il modo di uscire sano e salvo... Finalmente capì cosa fare.
Appena in tempo. Giulietto, toc toc, bussava alla porta, squittiva tremulo: "Eccellenzia Eminentissima, vi ho portato il prigioniero..."
"Entra, idiota" risuonò la stravoce tutto intorno.
Il servo entrò, seguito da Teo.
Che, poiché si aspettava di trovare un Orco, ci restò male. Il dottor Serafino Orofino non era che un ometto pelato. Ma il suo sguardo gelido, ingigantito dalle lenti, risaltava ipnotico. Le tozze mani pelose appallattolavano con metodo -parve a Teo- mucchietti di mosche che il dottore estraeva da un barattolo. Mentre le stritolava, stridevano, sfrigolavano. Il dottore sorrideva allineando biglie semivive su un portapenne di rame.
"Sporcano, sa? Cacano, prima di morire..." disse la Voce a Teo: "In questo senso, diciamo, siamo tutti uguali. Anche all'uomo morendo si sciolgono le viscere..."
(Allora, era un Orco. Strizzava mosche come fossero uomini...)
"Signor primario," disse Teo d'un fiato, mettendo in atto la strategia appena concepita: "permetta che mi presenti: sono Teo Marlo, lo scrittore. So per certo che i miei cinque romanzi sono nella biblioteca della Clinica. Ossa e Trucioli, per esempio, oppure l'ultimo, l’appassionante Donna di Cuori, Fante di Picche... Hanno avuto un discreto successo. Insomma..."
"Si sbrighi, signor scrittore. Ho moltissimo da fare, io!"
"Sì. Sto scrivendo un libro nuovo. Sulla malattia mentale. Si intitola I Polli non hanno Venerdì, con chiara allusione alla follia: sa bene, il detto 'non avere un venerdì'..."
"Non perda tempo con questo bla bla... Venga al sodo!"
"Sì. La sua clinica ha un'altissima reputazione negli ambienti psichiatrici. Ho sentito dire che solo lei ha il dono naturale di curare certe psicosi..."
"Certo." La voce risuonò atrocemente compiaciuta: "Certo, in effetti, io le elimino... Dono naturale, poi... Mi fanno ridere, i colleghi... Fatica è stata, ricerca, duro lavoro... Allora?”
"Sì. Allora, io vorrei intervistarla.” disse Teo “Vede, mica sono andato ai Campi Elisii, o all’Hôpital de la Joie: sono venuto da lei! Solo lei può illuminare l'oscuro pianeta della malattia mentale. Solo grazie ai dati che lei mi fornirà, potrò finire degnamente il mio libro..."
"Seccature." Assordò la voce: "Scribacchini sanguisughe... Certo, nessun luogo è più giusto di questo... Ma sì... Sì, potrebbe essere divertente... Da dove vuole cominciare?"
"Ehm, signore..." azzardò Teo: "non potremmo intanto abbassare un po’ il volume? Mi scusi, non sono abituato..."
"Ah, ma questa," gongolò Orofino: "questa, vede, è la prima regola. Qui i pazienti diventano sordastri, così possono udire solo la Mia Voce... Giusto, però, lei non è un paziente. Almeno, non ancora! Ah ah ah ah!".
La sinistra risata si smorzò su meno assordanti decibel mentre Serafino Orofino abbasseva due levette incorporate al tavolo.
"Grazie." Disse Marlo: "Ora, dottore, mi farebbe visitare i padiglioni della clinica? Non è forse il modo migliore di esporre i mirabolanti effetti dei suoi metodi? Mostrarli in corpore vivi?"
Un ghigno crudelissimo contrasse il volto all'Orco: "Sì, ben detto: in corpore vivi! Sarà divertente e istruttivo. Andiamo, caro il mio scrittore!”

(14 - continua)

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.


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