si fa festa, ma Alice piange...
Franca Rovigatti
IL COMBATTIMENTO
Consiglio di guerra in
cucina.
Il Capitano credeva che
le parole assassine fossero in agguato. Certo, disse, lo sentivano
che la preda si dibatteva. Avevano fatto un buon lavoro, con lei:
anni e anni di fascinazione, e ora se la volevano portare a casa.
Magari, chissà, dall'altra parte, in quello stesso momento, stavano
tenendo un consiglio di guerra simmetrico al loro, preparando
strategie e munizioni...
Le decisioni furono.
Primo, che Alice non dovesse mai essere lasciata sola. Poi, che
bisognava prepararsi al prossimo assalto, prevedere le mosse del
nemico. Quali parole avrebbe messo in campo? Bisognava preparare
Alice ad un attacco, per esempio, di 'eterno', 'infinito', 'morte'. E
perché non di 'male', ‘crudeltà’? I nostri presero il
vocabolario, l'enciclopedia e il lessico. Studiarono e si segnarono
radici, contesti, etimi. Di ogni parola ricostruirono la storia
lontana e vicina, le trasformazioni, le derivazioni, gli usi. Misero
insieme un arsenale consistente in circa un centinaio di lemmi.
Avevano scelto le parole che apparivano le più estreme. Le più
dense ed esperte.
Cenarono cercando di
parlare d'altro. Ma la conversazione ricadeva sempre lì, come lingua
che batte in bocca cariata.
Ma poi Sommaire se ne
uscì: "Forse le ci vorrebbe un po' di amore, ad Alice. Le
parole trovano tanto spazio dentro di lei perché non ha amore...".
"Non se ne può
più!" s'inviperì Molly Coniglio: "Tutti sempre a parlare
d'amore! Da voi davvero non me l’aspettavo! Non le sopporto queste
melensaggini! E poi, cosa sarà mai questo amore?! Questo grande
amore, questo potente: questo infinito, eterno..."
"Basta, Alice,
taci!" disse Teo, allarmato: "Non continuare, è
pericoloso!"
"Ah! Taci, adesso mi
dite! E chi ha tirato fuori per primo questa parola da femminucce,
eh? Voi o io? Io parlo, invece! Amore tenero, Sommaire? O amore
appassionato? Amore invincibile, irresistibile, sapiente o folle? Ah
ah! Non è vero niente, cara, te lo posso garantire! Mi spiace
privarti delle tue illusioni, ma l'amore non esiste. E' un inganno!
Forse il più grande inganno della specie... Amore è soltanto la
spinta biologica a perpetuare i propri geni al meglio. Oppure, in
senso più squisitamente psicologico, è esercizio di potere, egoismo
celato sotto le mentite spoglie del più nobile dei sentimenti. Non
esiste l’amore! Amore, ammore, amooore, aaamore... AMORE...
a-m-o-r-e... am-h-ore... ahm! ore..."
Eccola là. Era successo.
C’era cascata come una pera cotta. Presa, perduta. Continuava a
mormorare, soffiare, strillare, declamare, cantare la parola ‘amore’.
E, porca miseria, ‘amore’
non ce l’avevano! Non erano preparati! Forse perché l'avevano
sempre considerata una parola buona (amorosa, amorevole!)...
Teo richiamò alla mente
le sue scarne nozioni di greco antico. No! Per quanto ricordava,
l’amore in quella lingua si divideva equamente tra le radici fil-
di filéo ed er- di erào: della radice am-
non v'era traccia.
Si buttò sul dizionario
etimologico, e trovò:
‘dal lat. amor,
-oris, astr. di amare; di orig. mediterranea, sopravv. nel
nome della divinità etrusca Aminth. Cfr. amoenus, amicus
‘.
Aminth? Che cavolo di
divinità era? Doveva, evidentemente, avere a che fare coll'amore...
Febbrilmente (mentre Coniglio continuava a balbettare le cinque
lettere, le tre sillabe) consultò l'enciclopedia alla voce
'Etruschi', paragrafo 'Religione', dove trovò le seguenti notizie:
‘Le raffigurazioni
degli specchi ci danno nomi di dee secondarie che sembrano riportarsi
al tipo di Turan (Afrodite) e sono Alpan, Achvizr, Evan,
Mean, Rescial, Snenath, Zipanu. Sempre sugli specchi accanto a
rappresentazioni di Eros si trovano i nomi di Aminth e
Svutaf. ‘
Aminth era Eros, dunque!
Amor, in latino!
Teo parlava velocissimo,
per fornire agli amici elementi utili all'impresa. Eros, figlio del
Caos e della scura Notte, o di Urano, o di Crono, o del Cielo e della
Terra, o figlio di Afrodite. La sua prima rappresentazione simbolica
(diceva Pausania) era stata una pietra grezza, forse a forma di
fallo, venerata in Beozia. Poi, intorno al sesto secolo, Eros era
comparso nell'aspetto di giovinetto nudo, con le alucce ai piedi. Più
tardi, in età romana, diventò amorino: un bimbo grassoccio, con
arco, frecce, faretra e ali in spalla.
Aminth / Amor. La parola
'amore' che stava divorandosi Alice poggiava le radici della sua
forza e vitalità in questo dio ambiguo, potente e burlone: capace di
ferire a morte i più potenti tra gli dei, i più valorosi tra gli
eroi. Seguace e ispiratore delle misteriose processioni dionisiache.
Figlio e torturatore di Afrodite.
Figlio di Caos, ripeté
Teo, antichissimo dolmen fallico.
"Che facciamo?"
si disperava, mentre la litania di Alice saliva in crescendo, mentre
la sua mano riempiva di scrittura la tovaglia: "Questa è una
parola terribile. Forse la più potente che si possa concepire.
Stavolta Alice potrebbe davvero smarrire la ragione. Qui, adesso...
Che facciamo?"
Il Capitano era confuso.
Lui, avvezzo ad affrontare situazioni ingarbugliate, questa volta non
sapeva dove andare a sbattere.
Non so, Teo: non lo so
proprio... Se Amith-Amor nasce come un dio, potremmo provare a
invocare i nomi di altri dei... E non quelli consunti degli dei greci
o romani... Piuttosto, siccome la radice della parola è etrusca,
potremmo ricorrere ai nomi degli dei del pantheon etrusco. Te li
ricordi?
"Sì, sì: Tinia era
Zeus, Uni, Giunone, e Menrva era naturalmente Minerva. Questa era la
triade al vertice. Poi c'era Voltumna, in latino Vertumnus, dio della
trasformazione. Poi, l'ho già nominata, Turan. E ancora Turms, e
Fufluns, ch'era Dioniso, e Sethlans, Aplu, Artume, Aita, Ani,
Selvans, Satre, Usil, Vesuna..."
Ok, Teo. Bastano,
credo.
Preghiamo queste
parole divine di intercedere presso Aminth-Eros-Amor perché molli la
preda.
Seguite la mia voce...
Cominciarono a
cantilenare, ripetendo gli antichissimi nomi. Tentando di richiamarli
in vita dal sonno in cui erano caduti. Cercando di risvegliare il
fulmine di Tinia, il fuoco di Sethlans, la luce di Usil...
Ripeterono la litania per
ore. Era passata mezzanotte quando finirono. Esausti, senza voce.
Alice stava ancora lì,
nessun effetto. China sulla tovaglia, con la forchetta tracciava
febbrile sempre le stesse lettere, le labbra percorrevano sempre gli
stessi fonemi. Solo che ormai la parola “amore” non aveva più
alcun umano suono: gonfia come un fantoccio, come golem in arcana
gestazione.
"Niente,"
sfiatò roco Teo: "non serve a niente. Forse questi dei non sono
abbastanza potenti. Oppure non gliene frega niente di salvare
Alice..."
"Ma perché, amore
mio," sussurrò Sommaire al Capitano: "perché non ce ne
andiamo a fare l'amore portandoci dietro Alice? Non dobbiamo
combattere la Parola mettendo in campo parole. Così perdiamo di
certo, quelle sono le loro armi... Noi dobbiamo tirare fuori
fatti, atti concreti, tangibili!... Perché non opponiamo alla parola
il nostro amore? Il tuo vero uccello contro la parola che raffigura
l'alato Eros? Vedrai che la parola si commuove! Solo così possiamo
vincere la battaglia!”
"Sommaire..."
sobbalzò Teo, a cui la proposta apparve fin da subito sconveniente.
Ma Giona approvò
entusiasta.
Brava! Questa sì che
è un’idea! Andiamo, bella! Prendi tu per mano Alice, accompagnala!
Non fu così semplice
staccare Alice. La trasportarono, rattrappita e rigida com’era, di
peso, che non mollava la tovaglia scritta. La appoggiarono sulla
poltrona di fronte al letto, dove di solito Teo ammucchiava gli
abiti.
Dissero a Marlo di
aspettare in cucina, di riposarsi un po’, se poteva. Dio sa se ne
aveva bisogno!
Chiusero la porta.
Gli amanti si guardano
negli occhi, dimenticano la stranezza della situazione, la malata da
guarire, la lotta contro la parola ‘amore’...
Si scordano tutto. Tanta
è la forza che li fa confluire l'uno nell'altra: lei in lui.
E' inutile che mi ripeta.
Il mondo imporporò, si riempì di buon sangue l'universo. Urgeva
verso il suo fine e compimento, che era lì, nel luogo tra quei due.
Luogo che non di lei era, non di lui, eppure luogo fisico di nascita,
in cui lei a lui, lui a lei si generava. Dal quale luogo fiorivano
carezze tremanti e precise, nel quale gemeva e si appagava
struggimento. Si presero, si persero, in quel luogo.
Va bene: ma Alice,
intanto?
Alice, intanto, aveva
smesso di dire e di scrivere 'amore'. Gli occhi sbarrati, tutto il
peso del corpo la inclinava verso il turbinoso letto. Come
ipnotizzato, pur resistendo, come ferro tuttavia attratto da magnete,
l'intero corpo (ogni cellula, intendo) muoveva lentissimo verso la
coppia degli amanti. Alice cadde dalla poltrona, scivolò sul
linoleum, raggiunse il letto. Ne risalì la sponda, strisciando il
viso sul lenzuolo. Lo sguardo arrivò ad altezza di materasso.
A spingerla, era stata la
parola 'amore': che, pur diffidando della rozza materialità degli
atti umani, ne era attratta in modo irresistibile. Ciò che avveniva
lì non era rozzo, non era solo materiale.
Attraverso gli occhi di
Alice, la parola si trovò, per così dire, in prima fila. Poté
vedere da vicino ogni carezza e fremito, ogni
entra-oh,sì-esci-entra!, ogni brivido e deliquio.
La parola ‘amore’ si
innamorò. Si appassionò della passione. Si perse nello sperdersi,
si sentì morire. Oh, dopo migliaia d’anni, la parola si ritrovò a
fremere, a gemere...
Ma doveva scegliere. Se
restare nel corpo di Alice, mantenendo e accrescendo il suo potere,
oppure se abbandonare la postazione per gettarsi nel luogo santo e
fulgido che risplendeva là, nel mezzo degli amanti.
Vinse la sua natura.
La parola ruscellò via
da Alice, che, d’improvviso liberata –svuotata, sfinita- si
addormentò. Ma, prima di andarsene, la parola ‘amore’ lasciò
nel cuore della donna un’indelebile orma, il suo ultimo
incantesimo. La condannò ad amare di eterno amore la prima persona
che avesse visto al suo risveglio. Poi, gorgogliando di piacere,
confluì dentro l'abbraccio di Sommaire e Giona, che in quel momento
raggiungeva l'acme.
Ogni scoria di freddo
bruciò e si sciolse dentro a quell’orgasmo. La parola diventò
morbida e piena. Si rigenerò, tornò ad essere quella che era stata
(millenni prima: quando gli dei vivevano, e ancora tutto era
possibile) nel corpo giocondissimo di Eros.
Tornò ad essere l'amore
benedetto di Aminth, Svutaf. Di Turan, Alpan, Achvizr, Evan, Mean,
Rescial, Snenath, Zipanu.
(27 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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