"Giornalisti itecaquani lo andavano
intervistare a Palazzo Chigi, le sue rare opinioni, ghiotti ghiotti, le
annotavano in un'agendina presto presto, da non lasciarne addietro un solo
micolo. Le opinioni del mascelluto valicavano l'oceano, la mattina a le otto
ereno già un cable, desde Italia, su la prensa dei pionieri, dei venditori di vermut. "La flotta ha occupato Corfù! Quell'uomo è la Provvidenza d'Italia." La mattina dopo er controcazzo: desde la misma Italia. Pive nel sacco: e le Magdalene, dài a preparare Balilli a la patria".
Un estratto da Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, quando un duce gradasso (incistato a Palazzo Chigi) annuncia le magnifiche sorti della guerra in territorio greco, dove i nostri eserciti sono invitti a colazione e mostrano le chiappe in ritirata il mattino seguente.
Triplo aggancio con l’attualità: la sempiterna politica agostana dell’annuncio irreversibile e roboante, celebrato in pieno giorno dagli itecaquani e smentito a lume spento, quando nessuno ascolta più; il riferimento a Via Merulana, recentemente beneficata da una (contrastata) pedonalizzazione di Via dei Fori Imperiali; l’accenno alle regine del Mediterraneo, Italia e Grecia, allora ridotte a una guerra fratricida e oggi a pezze da piedi dell’Europa -quell’Europa di cui hanno fondato il pensiero (tout court, concettuale, filosofico, scientifico, giurisprudenziale) e da cui ricevono vessazioni inutili, sadiche, poliziesche. D’altra parte in Oriente non stanno meglio: l’asse del male pro-Siria (quel nome così evocativo: Damasco …) consta di Iran (la Persia!), Cina (il favoloso Catai) e Russia, la magica terra di confine fra il sol levante e il tramonto (fra Asia ed Europa; Europa deriva da accadico erebu, terra del tramonto). L’Afghanistan, una delle centrali di irradiazione della civiltà occidentale, e l’Iraq (Babilonia), sono già rase al suolo.
Si muove alla distruzione delle terre del passato, quelle che ci hanno donato i concetti e le parole per comprendere la realtà: un segno apocalittico.
Una cometa maligna muta la rugiada in sangue, Amleto, e sì, il tempo è fuor di sesto.
Triplo aggancio con l’attualità: la sempiterna politica agostana dell’annuncio irreversibile e roboante, celebrato in pieno giorno dagli itecaquani e smentito a lume spento, quando nessuno ascolta più; il riferimento a Via Merulana, recentemente beneficata da una (contrastata) pedonalizzazione di Via dei Fori Imperiali; l’accenno alle regine del Mediterraneo, Italia e Grecia, allora ridotte a una guerra fratricida e oggi a pezze da piedi dell’Europa -quell’Europa di cui hanno fondato il pensiero (tout court, concettuale, filosofico, scientifico, giurisprudenziale) e da cui ricevono vessazioni inutili, sadiche, poliziesche. D’altra parte in Oriente non stanno meglio: l’asse del male pro-Siria (quel nome così evocativo: Damasco …) consta di Iran (la Persia!), Cina (il favoloso Catai) e Russia, la magica terra di confine fra il sol levante e il tramonto (fra Asia ed Europa; Europa deriva da accadico erebu, terra del tramonto). L’Afghanistan, una delle centrali di irradiazione della civiltà occidentale, e l’Iraq (Babilonia), sono già rase al suolo.
Si muove alla distruzione delle terre del passato, quelle che ci hanno donato i concetti e le parole per comprendere la realtà: un segno apocalittico.
Una cometa maligna muta la rugiada in sangue, Amleto, e sì, il tempo è fuor di sesto.
Ma
non è di questo che volevo parlarvi, anzi. Stavo astutamente circonloquendo per
arrivare alla parte nascosta dell’articolo. Eccola finalmente.
Quel
che mi premeva analizzare era il termine controcazzo. Anzi, per dirla tutta,
volevo parlare proprio del vocabolo sorgente: ‘cazzo’. I puri di cuore (e i
puristi) avvamperanno di giustificati rossori, ma ci sono alcuni punti da
chiarire subito. ‘Cazzo’ è un jolly dialogico ineludibile: chiunque l’ha
maneggiato (linguisticamente), ed è doveroso che si comprenda ciò che si usa
quotidianamente. Inoltre, come vedremo, ‘cazzo’ possiede una propria dignità
letteraria, che qualcuno, prima o poi, vorrà indagare seriamente; e un’etimologia
molto risalente, e, per ciò stesso, nobile. Oltretutto le accezioni principali
deviano dal significato più immediato, quello di ‘membro maschile’, tanto che
si può, in parte, lasciar cadere l’accusa, spesso superficiale, di trivialità.
Le
accezioni di ‘cazzo’ possono, infatti, pur nella sommarietà, tripartirsi.
1. 'Cazzo' come espressione di disappunto o interiezione rafforzativa.
Ormai
celeberrima, in tal senso, l’intimazione del Capitano di Fregata Gregorio De
Falco al comandante della nave Concordia Francesco Schettino: “Torni
a bordo, cazzo!”. Gioachino Belli lo usa, a tal proposito, varie volte:
“Inzomma,
cazzo, se pò avé sto bbascio?” (Sonetto 812, La scrupolosa); oppure, sempre con esortazione erotica: “Eppoi,
cazzo, si un povero gabbiano/te chiede de sonatte in de l’orchestra/lo fai stà
un anno cor fischietto in mano!” (Sonetto 98, A Tteta); oppure, riguardo un prete che auspica la fine del
celibato come per gli ortodossi: “Oh ccazzo! A un prete, perch’è nnato/in
latino, è ppermesso er puttanesimo/e ll’ammojjasse nò! Cquello medesimo/che ppe
un Grego è vvertú, ppe mmé è ppeccato! … Che ddiferenza sc’è rriguardo a
mmojje/da la freggna latina a cquella grega?” (Sonetto 1501, In vino veribus; ancora italiani e greci).
Compare
addirittura, in italiano, ne L’ebreo di
Malta di Christopher Marlowe. Il protagonista, l’ebreo Barabas, si lamenta
con il servo Ithamore della conversione della figlia al cristianesimo: “An
Hebrew born, and would become a Christian: cazzo, diabolo!” (“Una
nata ebrea, diventata cristiana: cazzo, diavolo!”).
2.
'Cazzo', come a voler dire cosa da nulla, che non vale un cazzo, appunto, una
quisquilia; oppure un uomo da poco, un mezzo cazzo, una mezza cartuccia (medium
cazum, spregiativamente riferito da Meo de’ Tolomei, nel 1266, ad Arco, Trento).
Si vanta Giacomo Leopardi, guarito autarchicamente dai geloni: “Sono
guarito e sano come un pesce, in grazia dell’aver fatto a modo mio, cioè non
aver usato un cazzo di medicamenti”; e Niccolò Machiavelli, piagnucolando
circa la scarsa considerazione dell’Ariosto verso di lui: “Ho letto l’Orlando Furioso dello
Ariosto et veramente il poema è bello tutto, et in molti luoghi è mirabile. Se
si trova costì, raccomandatemi a lui, et ditegli che io mi dolgo solo che,
havendo ricordato tanti poeti, mi habbi lasciato dietro come un cazzo”.
Tale
accezione pare che derivi dal latino 'cassus', che significa vuoto, inutile, da
cui, ad esempio, il giuridico cassare, annullare (una sentenza). Abbiamo poi ‘cassa’,
cose inutili (Silio Italico); ‘in cassum’, inutilmente, a vuoto (Livio e Tacito);
‘cassi latore’, lavori inutili (Plinio); ‘cassa memorare’ ovvero dire
sciocchezze, cazzate (Plauto) (1).
Ancora
il magnifico Belli: “C’era una vorta un Re cche ddar palazzo/mannò
ffora a li popoli st’editto:/‘Iö sò io e vvoi nun zete un cazzo … Chi abbita a
sto monno senza er titolo/o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore/quello nun pò
avé mmai vosce in capitolo’”. (Sonetto 361; Li soprani der monno vecchio. Alberto Sordi riprese il tutto ne Il marchese del Grillo, ma non lo sa
quasi nessuno); oppure “Iddio nun vò ch’er Papa piji moje/pe nun
mette a sto monno antri papetti:/sinnò a li Cardinali, poveretti/je resterebbe
un cazzo da riccoje” (Sonetto 279, Er
Papa); oppure l’incredibile: “In cuanto a cquesto è vvero ch’er regazzo [Gesù,
ebreo]/venne a la fede e sse fesce cristiano/ma le ggirelle io nu le stimo un
cazzo” (Sonetto 331, La
circoncisione der Zzignore; dare del voltagabbana religioso a Cristo in
piena era papalina … non male. Oggi, in piena era nichilista, probabilmente
Belli si troverebbe in casa la Digos aizzata dai moniti congiunti degli atei
devoti).
Da
notare, en passant, che in un libercolo sui Rolling Stones (Lato Side Editore,
mi sembra) I can’t get no (Satisfaction)
venne tradotta come “Non c’è un cazzo da fare”.
3.
'Cazzo' in quanto membro maschile. La questione è riassunta, con dovizia di
particolari, dal linguista Antonio Lupis (2).
Ecco l’esordio, tenetevi forte:
“Difficile qui non ricordare … come l’etimo
di it. cazzo m., organo sessuale maschile, resti, in definitiva, ancora non
assicurato. Un’etimologia resa problematica, forse, più dalla relativamente
scarsa documentazione antica, che, io credo, dalla non trasparenza dell’etimo:
come scrive nel suo recente ottimo contributo alla questione Wolfgang
Schweickard:
'Der Tabucharakter des Wortes cazzo spiegelt sich in
der Dokumentation insbesondere der historischer Wörterbücher. Wahrend die
eigentliche sexuelle und vulgarsprächliche Bedeutung kaum belegt wird, sind die
weniger verfänglichen übertragenen Bedeutungen gut verzeichnet'
Schweickard analizza
l’intero spettro semantico della documentazione per it. cazzo, e riassume i
termini della disputa etimologica, che è bloccata su tre distinte proposte”.
[Più
chiaro di così. Vorrei, a questo punto, aprire una parente. Una breve parente.
Che un crucco possa insegnarci da cosa origina una parola italiana, addirittura
un termine virale come ‘cazzo’, è un ulteriore segno dei tempi. Un italiano,
oggi, questo è sicuro, non si sognerebbe mai d’insegnare l’etimologia di
‘Schwanz’ a un filologo dell’Institut für Klassische Philologie und
Komparatistik Universität Leipzig. Deve essere un segno dei tempi. A sign of
the times. Non c’è un cazzo da fare. Proprio un segno dei tempi; e dell’euro. Ormai
siamo vassalli. Vassallo deriva dal medioevale latino vassallum, da vassus
(servo), calco dal germanico gwas (valletto, garzone, pezza da piedi). Chiudo
la parente].
Soccorsi
dalla cristallina citazione dello Schweickard, passiamo ora a esaminare le tre distinte
proposte (o ipotesi d’origine):
a)
dal tardo greco akàtion, albero maestro della nave. Il termine sarebbe nato "nel linguaggio dei marinai sempre eccitati per la mancanza
di donne". Deboluccia.
b) per aferesi da ocazzo. “Deriva dal ben noto dialettalismo oco ‘maschio dell’oca’ + suffisso -azzo” (3); si riferisce, evidentemente, al lungo collo dell’oco; òca e oco già significavano, in ambito emiliano, membro virile; 'menarse l’oco', masturbarsi. In umbro ‘armétte l’oco’ equivale ad avere rapporti sessuali.
Meglio
dell’akàtion. Il termine ha, peraltro, il pregio di complementare il più crudo
sventrapapere.
c)
derivazione dal latino 'cattia', mestolo (4),
da cui cazza e poi cazzo. Ecco il duecentesco Rustico Filippi: “Fastel,
messer fastidio de le cazza”(5),
in odio a un tal Fastello, plebeo guelfo: come dire, ecco Fastello, il
rompicazzo; oppure Luigi Pulci, in un sonetto antimilanese: “Cazze,
e cuccé: quel primo al cul ti sia” (6),
significando col ‘primo’ un mestolo sodomizzatore. È stato eccepito che, quasi
sempre, cattia o cazza significa non mestolo, ma contenitore, vaso, tegame. Si
può rispondere che al tegame spesso si aggiunge un bel manico solitario e diritto:
di qui il termine cazzarola, poi edulcorato in casseruola; lo stesso vale per cazzuola
(l’arnese dall’impugnatura fallica usato per gli intonaci e le murature).
Il
De Lupis ne aggiunge una quarta di ipotesi, ovvero che la parola derivi dal
verbo latino capitiare, cacciare a viva forza, infilare. Non male, ma mi tengo
il mestolo.
‘Cazzo’,
come riferimento al membro, ha, nonostante l’uso secondario rispetto alle
accezioni 1 e 2, una lunga tradizione letteraria. Da riscoprire subito. Pietro
Aretino (1492-1556), Giorgio Baffo (veneziano, 1694-1768, molto amato da
Pasolini; Vien qua subito, porca buzarona/e daghe un fià de gusto a sto mio
cazzo/lassa, che'l vada in culo sto gramazzo/che zà lù no ghe pensa più de mona),
Carlo Porta (milanese, 1775-1821), sono dei poeti geniali quanto clandestini,
almeno nelle aule scolastiche. Ecco il Porta:
Dormiven
dò tosann tutt dò attaccaa
Alla
stanza de lecc de la mammina,
Vergin
istess tutt dò, ma in quell’etaa
Che
comenza a spiurigh la passarina,
Tant
ch’a dispett de la verginitaa
Faven
tra lor di cunt ona mattina
Sul
gust che pò dà on cazz quand l’è tiraa,
e
sulla forma che pò fagh pù mina.
Vœuna
la dava el vant al curt e al gross,
L’oltra
al longh e suttil, e in del descor
Diseven
e prò e contra di bej coss;
Quand
stuffa la mammina, la se mett
A
sbraggià a quanta vôs: Cossa san lor?
Dur,
e ch’el dura, e citto vessighett! (7; traduzione sotto)
Per
tacere del già citato Gioachino Belli (romano, 1791-1863). Se penso a quanto
tempo si spreca sui cipressi a Bolgheri mi deprimo. Belli è il nostro più
grande poeta dell’Ottocento, e non solo. Attinge a vette sublimi. Di cattiveria
e audacia e cinismo. E ci consegna cinquantatré nomi del membro (Sonetto 560, Er padre de li santi):
Er
cazzo se pò ddí rradica, uscello,
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.
Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello.
Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.
Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.
E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.
Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo-de-carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello.
Cavicchio, canaletto e cchiavistello,
er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,
attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,
inguilla, torciorecchio, e mmanganello.
Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,
e mmaritozzo, e ccannella, e ppipino,
e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio.
Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:
poi torzo, crescimmano, catenaccio,
mànnola, e mmi’-fratello-piccinino.
E tte lascio perzino
ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,
fallo, asta, verga, e mmembro naturale.
Cuer vecchio de spezziale
disce Priàpo; e la su’ mojje pene,
seggno per dio che nun je torna bbene.
Naturalmente
né Belli e, presumo, neanche Roberto Benigni (Manciano, Arezzo, 1952), possono
competere con la ricchezza semantica degli orientali: lo Stelo di Giada, il Ling,
l'Ambasciatore, l'Arma, l'Arma d'Amore, l'Avversario, il Flauto di Giada, il
Picco Positivo, il Picco Yang, il Giovinetto, lo Scettro di Giada, lo Scudiero,
il Fedele Servitore, lo Strumento, la Tartaruga, l'Uccello Cremisi, la Vetta Sicura,
il Picco della Montagna, la Pagoda Yang, l'Unicorno, il Diplomatico, il
Generale, la Tigre, il Serpente, la Rana, il Galletto, il Paggio, il Guerriero,
l'Eroe, la Scimmia, l'Adepto, la Vetta Favorevole (riferito al glande) et
cetera. Ne Il tappeto da preghiera di
carne (del secentesco Li Yü) se ne ritrovano alcuni. Casomai voleste
controllare. Gli esperti (i sinologi) spiegano che tale messe fallica è
nettamente inferiore a quella usata per designare il complementare organo
femminile: Vaso di Miele, Ostrica, Valle della Gioia, la Stanza Misteriosa, la
Grotta Preziosa et cetera (lo ammetto: il tenero simbolismo di questa
letteratura offre inizialmente una certa resistenza, ma, una volta penetrato,
la lettura risulta oltremodo godibile). Federico Fellini e Tonino Guerra,
entrambi memori di Giorgio Baffo, dedicano alla Gran Mona un indimenticabile omaggio
ne Il Casanova: Gran Mona, Imbuto di
Seta, Cuore di Tutti i Fiori, Montagna Bianca di Zucchero, Carrozza che Tira i
Cavalli, Forno che Brucia Tutto …
Della
mona se ne potrà riparlare in seguito (per par condicio; it’s politically
correct).
Ma
Casanova non deve aspettare. Bisogna
assolutamente guardarlo. Subito. Funereo, spietato, debordante, uno dei
migliori film di tutti i tempi. 1976: quando gl’Italiani ancora insegnavano qualcosa
al mondo.
(1)
Cfr.
Nico Valerio, Perfino i santi ha generato.
Per le citazioni di Marlowe, Leopardi, Plinio e Plauto, che ignoravo.
(2)
Antonio Lupis, La lingua dei lanzi
fiorentini con una nuova ipotesi per it. cazzo, in Italienische Sprache und Literatur an der Jahrtausendwende (cura di
Johannes Kramer), 2001
(3)
F. Crevatin, Paideia, XXXII, 1977
(4)
Angelo Prati, L’Italia Dialettale,
XIII, 1937.
(5)
Fastel, messer fastidio de le cazza,
dibassa i ghebellini a
dismisura,
e tutto il giorno
arringa in su la piazza
e dice ch’e’ gli tiene
‘n aventura.
E chi ‘l contende, nel
viso gli sprazza
velen, che v’è
mischiato altra sozzura;
e sì la notte come ‘l
dì schiamazza:
or Dio ci menovasse la
sciagura!
Ond’io ‘l ti fo saper,
dinanzi assai
ch’a man vegni de’ tuo’
nemici guelfi,
s’è temp’ e se vendetta
non ne fai.
Ma tu n’avrai merzé,
quando il vedrai.
Fam[m]i cotanto:
togligli Montelfi,
così di duol morir
tosto il vedrai.
(6)
Oh: ti dia Iddio Zaine a bocchè,
Io fel io fel (1): i’ho
mal che Dio ti dia.
Cazze, e cuccé: quel
primo al cul ti sia:
O scove, o sprelle; oh
venga pure a te.
O schiappa legne: o che
ti schiappi il piè.
O conza zimbre: o serba
a befanìa:
Papir papir: ti palpi
la moria;
O fuse, all’occhio, e
’n capo il convercè.
O castem peste: o pesto
ti sia ‘l core;
O lacci imbroca: o
preso sie’ tu a’ lacci;
O chi l’ha rotto,
donne, o chi ha le more.
O ti peli, pettini, e
burracci:
O rave: in culo, e sian
le foglie fuore.
Navon: pur lì, ti forin
ferri, e stracci.
O verzi, o
minchionacci,
Cazzi, mela, ravize, e
manigoldi,
O che v’inpicchin tutti
coldi coldi.
(7)
Dormivano due ragazze
tutte e due attaccate
Alla stanza da letto
della mammina
Vergini ugualmente
tutte e due, ma in quell’età
Che incomincia a
prudergli la passerina,
Tanto che a dispetto
della verginità
Si raccontavano tra
loro una mattina
Del gusto che può dare
un cazzo in tiro,
E della forma che può
far più scintille.
Una dava il vantaggio
al corto e grosso
L’altra al lungo e
sottile e nel parlare
Dicevan belle cose pro
e contro;
Quando stufa la mammina
si mette
a gridare con tutta la voce:
Cosa ne sapete?
Duro, e che dura, e
zitte smorfiosette.
Consigli di lettura
Gioachino
Belli, I sonetti (cura di Giorgio
Vigolo), Mondadori, 1978
Manlio
Cortelazzo-Paolo Zolli, Cazzo, in Dizionario Etimologico della lingua italiana,
I, A-C, Zanichelli, 1979
Carlo
Porta, Poesie, Garzanti, 1975
Pietro
Aretino, Sonetti lussuriosi e dubbi
amorosi, Demetra, 1996
Giorgio
Baffo, Feste erotiche: sonetti, canzoni,
madrigali, Baldini Castoldi Dalai, 2005
Li
Yü, Il tappeto da preghiera di carne,
Sonzogno, 1986
Luigi
Pulci, Opere, UTET, 2006
Consigli di visione
Federico Fellini, Il Casanova di Federico Fellini, 2011
Ardito e istruttivo per chi ha voglia di capire le parole che esprime loquacemente e senza conoscerne il significato.
RispondiEliminaEccellente: la casa dei Vetti, in Pompei, espone sul lato destro dello stipite, allaporta di entrata, un uomo con il solo elmo e un VIR possente e sostiene una bilancia .....
Chi l'ha notato, sui piatti v'é dell'oro, simbolo della ricchezza?
No! Vir e oro esprimono la potenza di quella gens.
Neoptolemos