Franca Rovigatti
ALTRI DISTURBI
Quel giorno era destino
che i nostri non lavorassero. Oppure, i disturbi s'erano dati
appuntamento.
Teo e il Capitano stavano
ancora ridendo, quando il citofono squillò di nuovo. Imperativo.
Come a dire: se ci sei, non potrai eludermi, e se non ci sei, in un
modo o nell'altro ti scoverò. Il dito di una persona determinata.
"Ah, sì" disse
Teo rivolto al Capitano: "questo è Potto, solo lui suona
così... E’ l’avvocato tutore di Sommaire, la mia prima moglie.
Sommaire Pochintesta, poverina: da vent’anni non scuce una parola…
Catatonica. Sta in clinica,”
"Mio carissimo,
esimio, signor Marlo," squittì infatti la stridula voce
imperiosa, appena liberata dalla forcella: "possiamo conferire?
Salgo?"
"Va bene, venga,
salga pure, avvocato": si rassegnò Teo.
Samuel Potto entrò col
fare furtivo che tanto si confaceva al fisico stento, al naso in
perenne avanscoperta. Si portava dietro
l'accasciato sembiante,
il trascicare
di una vecchia, che
neanche alzò la testa
nulla guardava, tutta in
sé distante
tutta rinchiusa in sé si
conservava.
Una colonna di silenzio
stava
a contenerla, muta e
raggelante.
"Sommaire..."
mormorò Teo, infinitamente dispiaciuto.
Lei, entro lo scudo
dell'immobile schiena, neppure lo sentì. Sembrava che ogni
disponibile energia le bastasse appena a tenersi insieme.
"Ho portato la
nostra cara Sommaire a fare una passeggiatina. Sa, amico mio, ai
Campi Elisii non la tengono più se non paghiamo l'aumento della
retta..." trillò Samuel Potto, con una punta di isterica
esultanza nella voce: "Era tanto che non la vedeva, signor
Marlo?"
"Lo sa bene,
avvocato, lo sa bene..." mormorò Teo. "Non è forse lei
che si occupa della retta della clinica? Che controlla le terapie? Lo
sa bene, no?, che io non ci vado mai, a trovarla. Gliel'ho detto e
ripetuto: troppa angoscia... E’ una vita che non la vedo..."
"E come la trova, la
nostra amica: benino, sì?" trionfò Potto.
Aaah, ma questo è un
aguzzino! Gode! E’ peggio del tuo editore, peggio del più cattivo
dei cattivi del libro! Attento, Teo, non ti fare colpevolizzare...
Teo, rinfrancato, già
prendeva respiro, già stava per dire all'avvoltoio il fatto suo,
quando vide che Sommaire aveva alzato il capo, e lo guardava: anzi,
dietro di lui guardave (vedeva!) qualcun altro. Incerta, come una che
da troppo tempo non lo fa, sorrideva. Lo strazio di quel sorriso, la
desolazione dei denti gialli che da anni non venivano mostrati,
impietrò l'aria della stanza. Sommaire alzò un braccio, scostò
dagli occhi un'inesistente ciocca di capelli, e farfugliò:
"Ca...tano".
Scosse piano la testa e
riprovò (si vide proprio che ci riprovava):
"Ca...-pi...-ta...-no...".
L'avvocato non capiva. Ma
Giona e Teo sì! Altroché!
Teo esclamò: "Capitano,
ti vede! Ti conosce! Com’è possibile?"
Il Capitano non sapeva
che pensare: lui, quella povera donna, proprio non l’aveva mai
vista. Si girò verso Sommaire e disse:
Sì, è vero, sono il
Capitano. Dove ci siamo conosciuti? Te lo ricordi? Pensa che sciocco,
io l'ho dimenticato...
Il sorriso di Sommaire si
bloccò. Due lacrime si allungarono sul gelo delle gote.
"Attento, Capitano."
sussurrò Teo: “E’ delicata. Non farle domande, piuttosto
tranquillizzala... Sono vent'anni che non parla..."
"Si può sapere chi
sarebbe questo Capitano? Dov’è? Qui non c’è nessuno!"
strillò l'avvocato: "E’ matto anche lei, Marlo? Vuole avere
la grazia di farmi capire qualcosa, dannazione?!!".
"Zitto!"
concitò Teo: "Non faccia confusione! Zitto!"
Sommaire, bella, sono
felice di ritrovarti. Vieni qui...
Sommaire lentissima si
mosse. Si fermò accanto all'attaccapanni di plastica (là difatti
stava il Capitano). Sorrise ai ganci neri, alle polverose giacche di
Teo che spenzolavano da secoli.
Si sforzò, e disse:
"Ec...-co ... -mi ... qui".
Fece un sospiro.
L’orribile, densa colonna di silenzio che conteneva il corpo di
Sommaire sembrò aprirsi, sgretolarsi...
Da quei frantumi
riaffacciandosi, la donna si girò, si guardò intorno, e disse: "Teo
caro! Anche tu qui? Anche io sono qui, vero? Anch'io qui..."
"Sommaire: ma certo
che sei qui..." disse Teo andandole incontro: "Come stai,
uccellino?"
"Ah, mi ha salvata
il Capitano..." sospirò lei, con un'ombra di civetteria:
"Prima, credo, dovevo stare tutta ferma... Ferma e zitta, ferma
e zitta, ferma e zitta... Però... non mi ricordo bene, Teo... Cosa è
successo veramente?"
"Succede veramente"
si intromise Potto: "che sta guarendo, cara la mia signora...
Ottime cure, evidentemente! Ma così, per me, lei non vale più una
cicca. Ecco quello che succede!"
"Se ne vada! Alzi i
tacchi! Tolga il disturbo, mascalzone!" urlò Teo spingendolo
fuori. "E non si faccia più vedere! Mai Più! Chiaro!? Muoia!!!
Crepi!!!"
Chiuse la porta dietro
l’ometto che sibilava, che ad ogni maligno movimento crepitava.
Sommaire non se ne
accorse: parlava fitto all'aria piena di Capitano confidando segreti.
RICORDI, AGNIZIONI
"Vado giù a fare un
po' di spesa, a casa non c’è niente" disse Teo a Sommaire:
"Ti lascio col Capitano: stai qui buona...".
"Sì, sì, va
bene..." sussurrò lei, che s'era seduta sulla sedia in
corridoio: "va bene va bene va bene va bene va bene. Va bene?"
Il Capitano la calmava:
Tranquilla, Sommaire,
è tutto sotto controllo. Ci sono qui io. Non ti lascio sola!
Fuori, il caldo
continuava implacabile a condensarsi tra l'asfalto e il cielo
bassissimo. Teo prese meccanicamente la strada verso il GAP. Mentre
camminava curvo, i ricordi (quelli di cui non s'era mai voluto
ricordare) gli affollavano la mente.
Di quando lui, giovanotto
di vacue speranze (che affidava la sua incerta sicurezza alla
collezione di oltre trecento papillon), aveva chiesto alla piccola
Sommaire di sposarlo (lei l'aveva guardato negli occhi sussurrando
"sicuro?").
Di quando i due fidanzati
avevano girato per mesi mano nella mano, incollati, sicché poi a
tutti e due era venuto un simmetrico eczema da contatto al palmo.
E di che deliziosa
mogliettina fosse stata Sommaire nei primi mesi, il primo anno,
quando disseminava di amorosi biglietti ogni angolo del monolocale,
preparava sgonfi soufflé in stampi a forma di cuore, festeggiava i
complimesi, riempiva i bicchieri dei puzzolenti fiori gialli di
tarassaco, detti anche pisciacane, gli unici che crescessero nei
giardinetti del quartiere...
Tutto sarebbe anche
potuto andare, pensò Teo, se non fosse che lui altro non era che
uno stupido: un vero coglione!
Così quando Sommaire, in
un autunno di eterna pioggia, aveva cominciato a dare segni di
malinconia, lui, l'idiota, si era offeso, aveva pensato che lei non
lo amasse più di Vero Amore, aveva messo i bronci, fatto i dispetti.
Non aveva capito (neanche
dalla postura, che di giorno in giorno si afflosciava, dal passo, che
non aveva più centro) che Sommaire era sulla soglia di un mondo
vuoto. Bastarono due mesi. Mentre lui, imbecille, badava a tenere il
conto dei torti subìti, a Natale Sommaire era già caduta dentro
Catatonia.
La cassiera del GAP
(Grandi Acquisti Proletari), una donna dagli avambracci pelosi,
scuoteva Teo per la manica: "Vuole decidersi a pagare? Non vede
che razza di fila aspetta i suoi comodi?... Ma che, dorme?!".
Teo uscì dai ricordi.
Pagò il luccio in scatola, le sardine e il tonno, la baguette
all'aglio, il burro salato eccetra.
Chi fosse poco prima
entrato di nascosto nell'appartamento di Teo, avrebbe visto una
vecchia ridere e parlare da sola guardando un angolo del corridoio.
Era lì infatti che s’era appoggiato il Capitano, intrattenendo
Sommaire come se la conoscesse da sempre.
Lei sì che lo conosceva,
invece, lo conosceva bene. Sapeva che aveva servito nella Marina
Elvetica, ricordava avventure strabilianti, lo stuzzicava su amori di
cui Giona era all’oscuro. Chiedeva notizie di una contorsionista,
tale Ljudmilla, detta Ljuba, che il Capitano avrebbe fatto fuggire
dalla Bielorussia chiusa in un valigione e mascherata da scarpe e
calzini. Di un'altra tipa, l'esuberante Samantha, lanciatrice di
coltelli. E della romantica Annie Lou, della spiritosa Rose Mary,
della perfida Tessa...
Il Capitano di tutte
queste storie non sapeva nulla. Eppure quei nomi gli parevano
vagamente familiari: come se qualcuno, tanto tempo prima, glieli
avesse già detti...
Quando Teo entrò in
casa, il Capitano disse:
Fa piano, Teo! S'è
appena addormentata...
Sembra che mi conosca
davvero, sai... Mi ha raccontato delle storie... Di una certa Ljuba:
che io l’avrei fatta fuggire dalla Bielorussia... Di un viaggio in
India alla ricerca dello smeraldo maledetto... Poi di una guerra
batteriologica in cui una tipa, Tessa, mi avrebbe incastrato per
rubarmi un virus mortale...
Teo, ma perché
questa roba mi sembra di averla già sentita?
Ah (pensò Teo) Sommaire
ha letto gli altri romanzi, poverina...
Altri romanzi? Degli
altri, dici? Ne hai scritti altri, Teo? Sempre con me dentro?
"Sì, carissimo
amico mio" confessò Teo, stupito di non averne ancora parlato:
"Quello che stiamo scrivendo è il sesto. Ce ne sono altri
cinque, finiti e pubblicati. Un po’ di copie anche vendute. E tu
sei sempre il protagonista."
Ah, Dio mio! Certo,
dev'essere così...
Altri cinque
romanzi!?... E come sono? Uguali a questo, ai Polli, prima che
io ci mettessi le mani?
"Beh, più o meno,
Giona: come vuoi che siano? Come li voleva von Z., come li sapevo
fare io... Roba esotica, Giona, mi spiace..."
Maledizione!
Quanta fatica
inutile!!
Il mio nome era già
disonorato, cinque volte disonorato, oddio, prima ch'io nascessi...
Oddio, pensò anche Teo.
E disse: "Mi
dispiace moltissimo, Giona: sono mortificato... Che ne sapevo che tu
saresti venuto fuori?!...”
E ti pare una buona
ragione?
In ogni caso,
scrivendomi, dovevi fare del tuo meglio! E non buttarmi giù a cazzo,
come viene viene…
Ah, così magari mi
sarei risparmiato di nascere…
Mortificato, Teo
strascicò verso la cucina. Distese il luccio, le sardine, il tonno
sugli spaiati piattini rosa che adoperava quand'era lo sposo di
Sommaire. Riesumò un portaburro a fiori, affettò la baguette e
l'adagiò sul cestino che von Z. gli aveva regalato un Natale, pieno
di noci. Rivestì la fòrmica arancione di una tovaglia a righe, badò
a coprirne coi piatti sdruciture e buchi.
Si allontanò di due
passi per verificare l'effetto. Non c'è malaccio, pensò mestamente.
Intanto Sommaire s'era
svegliata: i sogni s'erano condensati e le avevano d'ogni parte
sussurrato in coro: "Sveglia, c'è il tuo Capitano!".
Perché lei era, se
ancora non si fosse capito, innamorata persa del Capitano. Cotta a
puntino. Fin dal primo libro, trovato un giorno di quattro
anni prima per terra, vicino alla porta dell'Economato.
Nonostante il titolo, Il
Deserto dell'Amore, era stato proprio quel libro a salvarla dal
deserto, dal luogo senza parole in cui sommaria si aggirava.
S'era subito invaghita di
Quell'Uomo: Bello e Tormentato, Alto, Indecifrabile. Per pensare a
Lui, le parole che da tanto tempo erano svanite dal mondo le erano
fiorite nella mente come angeli. Non le pronunciava. Le succhiava in
silenzio, in segreto. Come celestiali caramelle.
Poi, quando la portarono
nell'altra casa, la Scuola, si fece furba. Riuscì a farsi assegnare
le pulizie dei bagni: proprio lì accanto, oltre una porta, aveva
localizzato lo scaffale dei libri. Individuò il ripiano giusto, e
attese.
Perché sapeva con
certezza (non domandatemi come, lo sapeva e basta) che Lui sarebbe
tornato. Così appena arrivarono trafugò La notte delle Sirene,
La Grande Fuga del Capitano, Ossa e Trucioli e l'appassionante
Donna di Cuori, Fante di Picche.
Li divorò, li imparò a
memoria. Ogni notte sognava il Capitano: insieme fecero viaggi
straordinari, e lei era la regina dell’amore.
Per Sommaire il Capitano
non era un personaggio, ma un uomo in carne ed ossa: anzi, l’unico
uomo al mondo. Forse per questo non si era mai interessata al nome
dell’autore, non lo aveva mai ricollegato a quel fantasma di marito
che si era lasciata dietro le spalle, nell’altra vita.
Dal fondo del corridoio
Sommaire pigolava: "Capitano! Dove sei? Eri qui, prima... mio
Capitano!...".
Giona scivolò al suo
fianco.
Teo disse: "Ti ho
preparato un bel pranzetto, vieni!”.
Lo seguì docile, portata
per mano. Sedette, si guardò intorno: forse riconobbe i piattini,
forse il luccio le sorrise. Certo che sussurrò: "Sto proprio
bene!".
Divorò tutto, si finì
anche il burro, chino il capo sul piatto, senza mai sollevare gli
occhi. Con metodo, usando mani e gomiti, ungendosi i capelli.
Poi chiese a Teo: "Il
Capitano abita qui con te?".
Teo annuì, e Sommaire
domandò: "Vi posso venire a trovare, qualche volta? E voi
potete venirmi a trovare lì alla Scuola?".
Scuola? pensò Teo: ah,
la Clinica. Chiese: "Come ci si sta alla Scuola, Sommaire? Ti
trovi bene?".
Lei sorrise tra sé: "Sì,
sì, sto bene. Si sta tranquilli... Certo, bisogna stare buoni e
zitti, pulire... Essere bravi, fare quello che dice lui... Ma io sono
furba..."
"Adesso devo proprio
andare" aggiunse poi col tono di una bimba che giochi a fare la
signora: "E' stato un gran bel pranzo, vi ringrazio".
Si alzò, lisciando le
pieghe unte del vestito grigio.
"Ti accompagnamo
noi, Sommaire. La sai la strada?", chiese Teo.
"Ma..."
rispose, corrugando la fronte: "credo che bisogna solo andare
dritti. Prima o poi ci si arriva, basta riconoscere la casa..."
"Certo, certo,
carissima." la tranquillizzò Teo: "Adesso chiamo un taxi,
così facciamo prima."
Il Capitano andò con
loro. Sommaire non avrebbe sopportato di stargli lontana, lo voleva
accanto fino all’ultimo.
(13 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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