Nelle puntate precedenti: Ma dove è andato a finire il manoscritto dell'ultimo romanzo di Teo Marlo, composto - udite udite - con l'aiuto del suo eroe, il Capitano Giona Missing? E soprattutto, dove è finito il Capitano?
Franca Rovigatti
CASE DI LADRI. 2
Scesero rumorosamente.
Tutto il chiasso, beninteso, lo faceva von Z. Teo era la sua
silenziosa ombra. Presero la vecchia berlina nera di Zeitmerde. Dopo
pochi minuti parcheggiavano nella piazzetta .
"Hai ancora la
chiave del portone?" sussurrò l'editore.
"Se non l'hanno
cambiata" sospirò Teo: "Guardi, è questa. Provi lei
stesso."
Il portone si aprì.
L'ascensore funzionava. Giunsero al sesto piano. L'editore si
appoggiò al campanello con tutto il suo peso: il campanello se ne
risentì, strillando a perdifiato nel silenzio del pianerottolo.
"CHI CAZZ'E' A
QUEST'ORA, MERDA!" sbraitò la gentile padrona di casa,
sovrastando ogni suono.
"Aprite: Polizia!"
rispose von Z., che s'era preparato.
"SUBITO! VENGO!
VENGO SUBITO!" strillò Giudecca.
Da dentro casa fu tutto
un ciabattare.
Infine, la porta s'aprì:
ed era lei. Nella fioca luce del pianerottolo risplendeva come un
Luna Park. La vestaglia di raso a quadri rossi e neri, le pantofole
di struzzo verde, i bigodini fluorescenti, il trucco spalmato di
furia su quello del giorno prima... Il profumo (Orgasme si chiamava,
ricordò Teo) era violento. Respingeva.
Nonostante tutto,
Zeitmerde entrò.
"Signora cara"
brontolò dal fondo della pancia l'editore: "dove lo ha messo il
libro, qui, del nostro amico?"
Giudecca ci mise un po' a
raccapezzarsi.
(Dovete sapere che lei
adorava la polizia. Il suo sogno segreto era di avere una storia, che
so, con un tenente, o ispettore, o anche solo con un agente. Purché
fosse nerboruto, di buona stazza, puzzasse virilmente e dicesse
volgarità. Quella notte, quando aveva sentito la voce declinare le
agognate generalità, le era parso di svenire: giacché anche gli
armadi, anche i materassi, hanno le loro emozioni. S'era acconciata,
risplendeva. Trepidante aveva aperto. E chi c’era, invece? Nessun
agognato agente, nessun ispettore. Il culo floscio di Marlo con quel
pervertito del suo editore...)
La delusione le ottenebrò
la mente. Sicché, come dicevo, ci mise un po' a raccapezzarsi.
"CHE VOLETE DA ME?!"
strepitò infine: "UNA POVERA DONNA INDIFESA!!! NEL PIENO DELLA
NOTTE!!! AH!, LA CHIAMO IO, LA POLIZIA!"
"Non credo, cara
signora, che le convenga!" disse von Z. tranquillissimo: "Tiri
fuori il libro, e noi ce ne andiamo. Non la denunciamo neppure,
guardi, non se ne parla più!"
"CHE LIBRO?! CHE
CAZZO DITE?!"
"Giudecca,"
mormorò Teo, che aveva tristi presentimenti: "l'hai preso tu il
libro che sto scrivendo? Mi rovini, così! E ti inguai anche tu! Non
ti potrò più passare una lira!"
"IDIOTA! FIGURARSI
COSA MI FREGA, A ME, DEI TUOI LIBRI! HO ALTRO DA PENSARE, IO!"
"Non ce l’hai,
allora?" chiese mestissimo Teo.
"NO! COME TE LO DEVO
DIRE? NOOO! ANDATEVENE A FARVI FOTTERE! FUORI! FUORIII!"
Teo, purtroppo, le
credeva. Von Z., invece, avendo ancora qualche dubbio, sbatté la
cicciona contro il muro, le tappò la bocca, e le cominciò a torcere
con metodo le dita piene di artigli.
"Cara signora Troni"
le sussurrava: "se non mi dice subito, e senza urlare, dove ha
ficcato il manoscritto di Teo, può dire addio a queste belle manine:
ci può giurare! Io mantengo sempre le mie promesse!"
"Aah! Non ce l'ho!
Ahi! Ahiahiahi! I miei gioielli" ansimò la donna: "sono
nel terzo cassetto del comò, nella scatola a forma di mucca.
Prendete quelli! Non ho altro da darvi!"
"Basta, von Z.
Basta. E' inutile." disse Teo: "Non ce l'ha lei. Ce
l'avrebbe dato. Non si separerebbe mai dai suoi ori, se potesse darci
qualcos'altro..."
Von Zeitmerde, che si
stava divertendo, le diede un'ultima strizzatina e smise a
malincuore.
Giudecca si sgonfiò. Dal
vuoto degli occhi lacrime di nero rimmel scesero a rigare il rosso
delle guance.
I due scesero lenti.
"Sospetti di qualcun
altro?" chiese accigliato Woodroow che non voleva lasciare
intentato nulla.
"No. Insomma..."
"E parla, no? Dài,
che lo troviamo... Parla!"
"Samuel Potto."
"L'avvocato della
tua prima moglie? E perché?”
"Ieri l'ho cacciato
in malo modo" mormorò Teo (gli pareva di spiegare cose senza
senso). "Ora Sommaire è a casa mia. Potto potrebbe volersi
vendicare. Quello è malvagio..."
"Sì, lo conosco."
brontolò l'editore: "E lui mi teme. Andiamo a casa sua. Che
aspettiamo?!"
"Ok" annuì
mesto Teo.
CASE DI LADRI. 3
A Teo venne la nausea,
mentre von Z. guidava a scatti, frenando di continuo sulle buche e
deviando di botto in stretti vicoli ("scorciatoie",
annunciava tra i denti). Dovettero fermarsi. Teo si vomitò l'anima
dentro una fontana secca al centro di una piazza.
"Eccoci, siamo
arrivati!" annunciò Zeitmerde: "Abita qui, il nostro
azzeccagarbugli!"
'Qui' era un dignitoso
palazzetto dell'Ottocento tra i platani di un quartiere residenziale
confinante con Animula. Ben tenuto, portone di quercia, probabilmente
un ossequioso portiere.
Il citofono di ottone
restituì ai nostri, nella distorsione del riflesso, i volti di due
fantasmi. Che suonarono all'interno 4, piano secondo, dov’era
scritto: "Dott. Avv. Samuel Potto".
Silenzio. Von Z. suonò
ancora.
"Sìììì?!"
rispose prudente la vocetta fessa: "Sìììì?!"
"Sono von Zeitmerde,
Potto. Scusa l'ora, carissimo!" modulò il ciccione: "Ho
per le mani un affare molto interessante, di cui non potevo parlarti
per telefono. Mi fai salire, caro? E' cosa urgente!"
"Ma certo! Certo!
Ricordi, Woodroow?, quinto piano..."
Lo scatto dell'apriporta,
preciso, fu preceduto da un ben modulato ronzio. Macchinario
perfetto, ben oliato, si trovò a pensare Teo. Non come quel
poveraccio del mio citofonino di plastica, che si scassa sempre...
Con i miei soldi, questa casa (pensò ancora Teo), con i soldi che
dovevano servire a far star bene la povera Sommaire...
Passarono tra i marmi
verdi e rosa dell'androne, salirono nell'ascensore odoroso di cera,
con specchio molato (con i miei soldi, disgraziato!).
La porta
dell'appartamento era socchiusa. Von Z. sogghignò, spalancando il
battente, introducendo il pallido e risentito Teo.
"Entra, amico mio!
Accomodati!" la vocina astuta squittiva da qualche stanza più
in là, sulla destra. L’appartamento, a vederlo anche solo
dall'atrio, dava l’impressione d'essere grande e lussuoso: "Arrivo
subito, sto mettendo su il caffé!"
"Tre tazze, allora"
rombò pacifica la voce di von Z.: "Ho portato un amico."
"Bene bene,
accomodatevi...": rivestito di una svolazzante vestaglia di seta
bordò a disegnetti cachemire, poco dopo Potto li raggiunse portando
il vassoio del caffé.
Appena vide Marlo, si
arrestò: come se un invalicabile ostacolo si frapponesse
all'improvviso tra lui e il passo che si accingeva a fare. Impallidì,
grigio, e soffiò fuori dai denti: "Che scherzo è questo, von
Zeitmerde?".
"Nessuno scherzo,
Potto. Dove hai messo il manoscritto di Teo Marlo?"
Teo scrutava l'avvocato,
e il suo cuore tremava. Se non è stato lui, pensò, ora dove lo vado
a cercare il Capitano? E come faccio, ormai, senza di lui? Lasciato
alla mia miseria e inettitudine, solo… No… Oh, mia ultima
possibilità, pensò, esaudiscimi! Sii tu, Potto, non negare...
"Era questo l’affare
urgente, Woodroow? Era il libraccio di Marlo?" chiese furibondo
Potto.
"Poche storie!”
ruggì von Z.: “Sputa il rospo, sennò vedrai che te ne penti! Dove
l’hai ficcato?"
"Guardi, avvocato"
sussurrò Teo: "che il dottor Serafino Orofino è in carcere,
che la polizia sta smantellando Neurotica, e che io ho scoperto tutti
i suoi imbrogli! Guardi che la rovino, signor Potto! Dove ha messo il
manoscritto?"
"Ah, va bene, per
quel che importa, ve lo dico. Ok" scoppiettò tra i denti
l'avvocato: mollando giù, sul marmo veronese, il vassoio (si
frantumarono le tazzine di Baviera, si sparse lo zucchero, il profumo
del caffè bollente andò a freddarsi sul pavimento): "Ok. L'ho
preso io. Trafugato. E poi l’ho buttato giù in fondo all'Animula.
Perduto per sempre il capolavoro del secolo! Ah ah ah! Idiota, non
dovevi metterti contro di me... Ma come?! Per vent’anni non
controlli niente, ti basta che te la tenga fuori dalle scatole, la
tua mogliettina pazza, e poi, all’improvviso, tutta questa
solerzia… A male parole mi ha preso, Zeitmerde, mi ha dato del
mascalzone, mi ha cacciato di casa a calci … Non si fa così,
signor Marlo! Non si toccano gli affari di Potto! Non lo si ingiuria
impunemente... Alla fine, ok, io non avrò la rendita relativa a
Sommaire: ma tu, Marlo, non vedrai più la tua merdaccia di libro!
Mai più. Non ti pare giusto?!?!"
Come una sola anima mossa
da corruccio e sdegno, da destra e da sinistra Woodroow e Teo furono
addosso a Potto. Che fu pestato, tortonato, corcato, malmenato.
Che fu, sia pure con
ribrezzo, morso, graffiato, preso a calci e pugni.
Che fu lasciato riverso
nel piscio del caffé, che non profumava più.
Marlo, scendendo,
piangeva. Le lacrime gli scorrevano inarrestabili dagli occhi.
Perduto. Morto e sepolto, il Capitano. La più straordinaria
avventura della mia vita, il mio riscatto… Tutto finito. Amen e
così sia.
Tutto per la mia sciocca
imprudenza, pensava Teo. Sono stato io a volerlo rispedire dentro il
manoscritto... Io, con queste mani, l’ho spinto nel baratro... Lui
aveva paura, perché non l'ho ascoltato? Oddio, l'Animula! Per quello
non può tornare... Chissà che orrori...
"Allora?" von
Z. aspettava impaziente alla macchina: "Vogliamo andare?
Sbrigati Marlo! Fra poco ci sarà troppa gente in giro. Forse
facciamo ancora in tempo."
"In tempo a fare
cosa?" biascicò Teo, che non riusciva a staccarsi dai rimorsi:
"Andare dove?"
"Ma all'Animula,
naturalmente!".
(19 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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