Luca Ricci, Mabel dice sì
Arcipelago Einaudi, pp. 144, euro 12,50
Patrizia Vincenzoni
In
epigrafe la formula "Preferirei di no" di Bartleby, lo scrivano, opera di
Hermann Melville, fa da contrasto al titolo affermativo del romanzo:
come a dire la difficoltà a stabilire un punto d'incontro fra
prospettive diverse.
Mabel
dice sì si avvale di una scrittura esangue, ridotta all'osso ma
estremamente efficace, quasi ipnotica, smembrante, capace come poche di
mettere a nudo pensieri e sentimenti delle figure ritratte. L'effetto
che tale scrittura produce è quello di tenere viva l'attenzione anche
perché accadono continuamente fatti nel luogo dove si svolge il
romanzo, lo spazio apparentemente angusto della reception di un albergo in
una città di provincia, che poi si intuisce essere Pisa.
La
trama: un pianista, studente del conservatorio, accetta di
lavorarare, inizialmente nei fine settimana, come portiere di notte per
arrotondare gli introiti e portare a termine gli studi: la narrazione è
costruita unicamente sulla sua voce e sulle vicende che vedono Mabel
protagonista, collega che conosce durante il primo turno di lavoro.
Mabel,
dal latino 'amabile', è di poche parole, sempre un po' defilata,
insondabile presenza che ha nei movimenti una morbidezza avvolgente del
tutto estranea alle sue forme piuttosto aspre.
Oggi-Ieri-Oggi:
le tre sequenze temporali attraverso le quali si snoda la narrazione,
costituiscono una temporalità lineare che ricorda lo svolgere
ripetitivo dei turni di lavoro, rituali attraverso i quali cose, oggetti
e lavoro restano come sospesi, uguali a se stessi anno dopo anno.
Nella
prima scansione, incontriamo il personaggio principale in un
colloquio di lavoro concesso a un ragazzo di diciotto anni che, poi
scopriremo, ha a che fare con Mabel. Da
qui, la sua necessità di ricordare storie, accadimenti che la vedono
al centro del racconto, interlocutrice spesso silenziosa, che in
realtà non diventa mai tale, almeno nell'accezione comune. Questa donna
appare come una figura eterea, quasi irreale, enigmatica, proiezione
del desiderio maschile che produce una figura mitica, inarrivabile e,
allo stesso tempo, un femminile che fa della donazione di sé, anche sul
piano erotico, quasi una vocazione, un modo per accogliere anche in
senso consolatorio uomini che restano come impigliati in questa
disponibilità avvolgente, in quel suo candore inattaccabile.
L'Io
narrante del pianista/portiere ci accompagna nella ricerca di ciò che
vuole per sé, spinto dalla passione per la musica, che determina una
progettualità, ma nel suo caso, questa si interrompe e il senso
dell'esistenza allora non dimora più nella sua apertura verso il
futuro.
'Fare
di sé un'opera d'arte' è il mantra che lo ha accompagnato sino ad
allora in un processo di auto affermazione che ha inaridito esperienze e
rapporti. Tutto quello che lo circonda ha in sé un qualcosa di
indistinto, e lo ritroviamo ogni volta come se fosse davanti a una
soglia oltre la quale non transita : anche i contatti che ha con Mabel
non lo vedono mai varcare quella frontiera invisibile che lo aiuta a
mantenere una distanza tra sé e l'altro non riuscendo a vivere
un'esistenza piena, incarnata. La scelta di vivere una vita connotata
da arrendevolezza e da una certa rassegnazione alla sconfitta dei propri
desideri, appoggiato a un presente che appare senza futuro, si
contrappone alla presenza/assenza forte ed enigmatica di questa
donna/icona, simbolo dell'amore inteso come rifugio, totalizzante ed
allo stesso tempo terrorizzante, per la quale, invece, l'illusione di
unicità e di esclusività dei rapporti è soltanto un aspetto secondario.
dei rapporti è soltanto un aspetto
assolutamente secondario.
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