domenica 18 agosto 2013

Parola di Capitano / 18


Nelle puntate precedenti: Finalmente alleati, il coraggioso Capitano Giona Missing e il suo creatore, lo scribacchino Teo Marlo, sono pronti a ricostruire la loro esistenza. Ma dove è finito il Capitano?


Franca Rovigatti
CASE DI LADRI. 1
Oddio, oddio mio. Teo non riusciva neanche più a pensare, dallo sgomento.
Aveva chiamato più volte il Capitano. In segreto e ad alta voce. Niente. Persi tutti i contatti. Nessuna ubiquità.
Lui mi starà cercando, pensò Teo. Si affannerà per ritrovarmi, per tornare. Povero amico mio! Chissà in quali mani!
Nelle manacce di von Z.! Certo! Il candidato più probabile al mestiere di ladro di manoscritti...
Ci vado subito, pensò. Vado a salvare il mio Capitano... Alza le chiappe, Teo.
Piazzò sul divano Sommaire, le cui membra non davano segno di vita. Le sussurrò che sarebbe tornato con Giona.
Si buttò fuori alla cieca.
Mentre rotolava giù per le scale, sentì la suoneria del telefono insistere a lungo. Il Capitano! pensò. Poi, dandosi del cretino (ti pare che mi telefona, adesso?), continuò a precipitare.

La notte era buia, e il cuore di Teo così freddo che la brezza estiva gli sembrò gelo. Le strada era deserta, i fiochi lampioni spandevano, uno sì tre no, la loro zoppa luce sulle buche del bitume. Tutti i televisori del quartiere strepitavano la stessa canzone. Dalle finestre usciva lugubre l'identico lucore bluastro.
Teo galoppò fino al posteggio dei taxi, salì nella scassata vettura che, sola, presidiava la solitudine della piazza.
Il taxi fece del suo meglio. Dieci minuti dopo, Teo entrava nel noto portone dopo essersi fatto aprire dalla Pensione Truffarelli, II piano (è comprensibile, non voleva annunciarsi). Mentre l'ascensore saliva, tutta l'atrabile, tutta la malinconia di Teo si trasformò in adrenalina.
Il corridoio sul quale affacciavano le porte degli uffici era buio, il che era anche normale, data l’ora. Marlo ne fu insieme eccitato e deluso. Von Z. non c'è, pensò. Tanto meglio.
Tentò la porta dell'ufficio. Chiusa, com'era prevedibile. Anche la porta di casa mia era chiusa, pensò Teo, e ruppe il vetro. La mano si ferì, ma lui neanche se ne accorse. Lo schiocco del vetro che spaccava, dei pezzi, scaglie, frantumi che cadevano parve a Teo un fragore. Infilò la mano nel buco, girò il chiavistello, entrò.
Quando accese la luce, la stanzetta, priva del suo proprietario, apparve squallida, sghemba.
Setacciò il tavolo, spulciò cartelle, bozze, appunti, fogli sparsi. Niente. Aprì i cassetti, gli sportelli. Niente. Ispezionò il minuscolo cesso. Niente.
Insomma, cercò ovunque. Vi risparmio l'elenco dei luoghi, ma vi assicuro che la perquisizione fu fatta a regola d'arte. Vi risparmio la conta delle delusioni. Perché insomma Teo non trovò quello che cercava.
La notte era fonda, le canzoni dei televisori s'erano zittite, Mongo dormiva e Marlo si arrese.
Il manoscritto, definitivamente, non c'era. Non era stato von Z.

A meno che...
Ma certo! Altrove!
Perché portarsi il bottino in ufficio: che, caso mai, era il primo posto in cui lui, Marlo, sarebbe andato a cercarlo? A casa sua invece, a casa di von Z. Dove Teo non era mai stato, manco sapeva l’indirizzo...
Cercando tra vecchie buste (bollette, conti, ricevute) trovò una cartellina arancione: dentro, regolari come un orologio, le fatture mensili di oltre vent'anni intestate


Pensione Ristorante
EDELWEISS
Discesa Buia 3, 45H3 Mongo
Ah, stava in albergo! Discesa Buia. Mai sentita.
Prese lo stradario. La miseria! Nel bel mezzo dell'Animula. In una di quelle viuzze che lui doveva aver percorso mille volte.

Cinque minuti dopo scendeva balzelloni la strada che portava all'Animula: rasentava gli angoli, sfiorava i muri senza farsi male. In tempo record giunse all'Edelweiss, che, malamente intonacato in giallo bile, incombeva sulla brevità della strada. Forse il più brutto edificio di Animula, pensò Teo. Tanto meglio.
Il portoncino era chiuso, del resto erano le due di notte. Teo suonò a lungo, senza intimidirsi.
"Vengo, vengooo!" la voce dall'interno era stridula, assonnata,: "La smetta di suonare, sto arrivando! Mi sveglia tutti gli ospiti!"
Il portiere di notte aprì. Faccia livida e, sotto gli occhi, delle borse bluastre enormi: ci si sarebbero potute mettere tranquillamente delle grosse noci.
"Che vuole?" Chiese villano, guardando e non vedendo: "Spero che abbia delle buonissime ragioni per svegliarmi a quest'ora!"
Teo entrò. L'atrio era un bugigattolo fiocamente illuminato. Le pareti, di un bianco stanco morto d'essere bianco, scivolavano giù fino a cadere dentro la sdrucita guida rossa del pavimento, tutta patacche. In fondo s'acquattava il banco del portiere. Le chiavi erano quasi tutte appese alla parete. Non stava facendo grandi affari, l'Edelweiss.
"Devo conferire immediatamente col dottor von Zeitmerde." Disse Teo: "E' Questione di Vita o di Morte!"
"Dorme, credo": disse il portiere, intimidito (le borse, ora, sembravano piangere da secoli).
Salirono una stretta scala. La stanza era la numero otto. Il portiere bussò.
"Aaah?..." fece von Z., che stava sognando di masticare cartilagini.
"Può aprire, Signore? E' cosa urgente..."
"Von Z.! Sono Marlo! Apra subito!" ingiunse Teo.
"Ah!" disse Woodroow. E aprì.
Sottratto al sonno, in completo da notte, von Zeitmerde non faceva il solito effetto. Il grasso gli ricadeva addosso sfatto. L'occhio era annacquato. Il suo aspetto rivelava cose che, di solito, l’editore stava ben attento a nascondere: il segreto della miseria celato dietro l'avidità, la debolezza mascherata da violenza, la morte che si acquattava sotto la voracità. La nera bile, depressione.
Con malinconico mignolo tolse dai denti qualche frammento di cartilagine del sogno interrotto, e chiese: "Che vuoi?".
Mentre il portiere scivolava via, Teo entrò nella camera con bagno che, da oltre vent'anni, faceva da casa al suo editore.
Che era una Stanza degli Orrori.
Da ogni angolo, da sopra l'armadio, dalle sedie e dalla poltrona, dai ripiani dello scaffale, fitte fitte, a centinaia, forse a migliaia, le teste convergevano i loro sguardi sul letto. Teste di bambole, burattini, manichini, statue, marionette. Di ogni dimensione: grandezza naturale, giganti, miniaturizzate. Sorridenti, truci, gonfie, dementi.
"La mia piccola collezione." Soffiò von Z.: "Allora, che c'è, Marlo?"
"Perché ha preso il manoscritto? Dove lo ha ficcato?" Chiese Teo, andando subito a bomba.
"Come hai detto? Quale manoscritto?" fece Woodroow.
"Il libro che sto scrivendo, lo sa benissimo!" Teo era furioso, si stava perdendo tempo: "Lo tiri fuori subito, o le faccio ingoiare a pezzi quel suo vomitevole pancione!"
L'idea poteva essere anche affascinante. Per un attimo il pensiero di von Z. si soffermò su quella prospettiva... Ma che stava dicendo del libro? Perso? Biascicò: "Merda dell'onnipotente, cazzo! Te l'hanno rubato, scemo! E adesso?!... Bisogna trovarlo subito, Teo. Era copia unica, come sempre?"
Teo capì di colpo che il ladro non era stato von Z. Tutta l'adrenalina che fin'allora lo aveva sorretto fu risucchiata via dalle sue vene, andò a nutrire di silenzio altri lobi ed emisferi.
Teo cadde disordinatamente a terra, davanti ai vitrei occhi delle bambole: che non avevano mai visto un vero svenimento.
"Porca troia, maledizione!". Von Z. caracollò nel bagno. Tornò con una bacinella d'acqua gelida, la rovesciò addosso a Teo, che rinvenne pulcino bagnato.
"Capitano, sei tu, amico mio? Vedi, c'è l'uragano! Perché piangi?"
"Teo Marlo, sveglia!" von Z. lo scuoteva forte, fino a fargli battere tutti i denti: "Sono Zeitmerde, non è un incubo. Sveglia! Ricordi? Ci hanno rubato il tuo libro. Bisogna muoversi, trovarlo subito!"
La mente di Teo ritornò al suo posto. Ma dal cuore gli spirava vento saturnino, convincendolo che tutto era perduto, per sempre. Mugolò senza significato, sembrava che piangesse.
Tanto l'editore non gli badava. Ficcava la ciccia del ventre nelle stecche del busto, allacciava l'elastico viola alle bretelle, ravviava l'unto disordinato dei capelli. Vestito di tutto punto. Come se dovesse andare alla presentazione di un libro.
Intanto scatarrava, malediceva il cielo. Accanendosi sui malvagi lacci delle duilio bianche e nere, sbottò: "Insomma, Teo, credevi davvero che l'avessi preso io?"
"Sì" disse Teo con la voce che non voleva uscirgli dalla gola.
"No, idiota, come puoi pensarlo? Non sarebbe davvero mio interesse... Ma chi può essere il ladro? La vogliamo fare qualche ipotesi?"
"Giudecca Troni. Con le gemelle" sfiatò Teo. Che ormai non credeva più neanche a questo.
"Potrebbe essere, sì, Teo, potrebbe essere... Allora, che aspettiamo? Che faccia giorno? Muoviti, andiamo dalla tua orribile signora!"
"Ex" mormorò Teo. Solo per essere preciso.

(18 - continua)

Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.


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