Nelle puntate precedenti: Finalmente alleati, il coraggioso Capitano Giona Missing e il suo creatore, lo scribacchino Teo Marlo, sono pronti a ricostruire la loro esistenza. Ma dove è finito il Capitano?
Franca Rovigatti
CASE DI LADRI. 1
Oddio, oddio mio. Teo non
riusciva neanche più a pensare, dallo sgomento.
Aveva chiamato più volte
il Capitano. In segreto e ad alta voce. Niente. Persi tutti i
contatti. Nessuna ubiquità.
Lui mi starà cercando,
pensò Teo. Si affannerà per ritrovarmi, per tornare. Povero amico
mio! Chissà in quali mani!
Nelle manacce di von Z.!
Certo! Il candidato più probabile al mestiere di ladro di
manoscritti...
Ci vado subito, pensò.
Vado a salvare il mio Capitano... Alza le chiappe, Teo.
Piazzò sul divano
Sommaire, le cui membra non davano segno di vita. Le sussurrò che
sarebbe tornato con Giona.
Si buttò fuori alla
cieca.
Mentre rotolava giù per
le scale, sentì la suoneria del telefono insistere a lungo. Il
Capitano! pensò. Poi, dandosi del cretino (ti pare che mi telefona,
adesso?), continuò a precipitare.
La notte era buia, e il
cuore di Teo così freddo che la brezza estiva gli sembrò gelo. Le
strada era deserta, i fiochi lampioni spandevano, uno sì tre no, la
loro zoppa luce sulle buche del bitume. Tutti i televisori del
quartiere strepitavano la stessa canzone. Dalle finestre usciva
lugubre l'identico lucore bluastro.
Teo galoppò fino al
posteggio dei taxi, salì nella scassata vettura che, sola,
presidiava la solitudine della piazza.
Il taxi fece del suo
meglio. Dieci minuti dopo, Teo entrava nel noto portone dopo essersi
fatto aprire dalla Pensione Truffarelli, II piano (è comprensibile,
non voleva annunciarsi). Mentre l'ascensore saliva, tutta l'atrabile,
tutta la malinconia di Teo si trasformò in adrenalina.
Il corridoio sul quale
affacciavano le porte degli uffici era buio, il che era anche
normale, data l’ora. Marlo ne fu insieme eccitato e deluso. Von Z.
non c'è, pensò. Tanto meglio.
Tentò la porta
dell'ufficio. Chiusa, com'era prevedibile. Anche la porta di casa mia
era chiusa, pensò Teo, e ruppe il vetro. La mano si ferì, ma lui
neanche se ne accorse. Lo schiocco del vetro che spaccava, dei pezzi,
scaglie, frantumi che cadevano parve a Teo un fragore. Infilò la
mano nel buco, girò il chiavistello, entrò.
Quando accese la luce, la
stanzetta, priva del suo proprietario, apparve squallida, sghemba.
Setacciò il tavolo,
spulciò cartelle, bozze, appunti, fogli sparsi. Niente. Aprì i
cassetti, gli sportelli. Niente. Ispezionò il minuscolo cesso.
Niente.
Insomma, cercò ovunque.
Vi risparmio l'elenco dei luoghi, ma vi assicuro che la perquisizione
fu fatta a regola d'arte. Vi risparmio la conta delle delusioni.
Perché insomma Teo non trovò quello che cercava.
La notte era fonda, le
canzoni dei televisori s'erano zittite, Mongo dormiva e Marlo si
arrese.
Il manoscritto,
definitivamente, non c'era. Non era stato von Z.
A meno che...
Ma certo! Altrove!
Perché portarsi il
bottino in ufficio: che, caso mai, era il primo posto in cui lui,
Marlo, sarebbe andato a cercarlo? A casa sua invece, a casa di von Z.
Dove Teo non era mai stato, manco sapeva l’indirizzo...
Cercando tra vecchie
buste (bollette, conti, ricevute) trovò una cartellina arancione:
dentro, regolari come un orologio, le fatture mensili di oltre
vent'anni intestate
Pensione Ristorante
EDELWEISS
Discesa Buia 3, 45H3
Mongo
Ah, stava in albergo!
Discesa Buia. Mai sentita.
Prese lo stradario. La
miseria! Nel bel mezzo dell'Animula. In una di quelle viuzze che lui
doveva aver percorso mille volte.
Cinque minuti dopo
scendeva balzelloni la strada che portava all'Animula: rasentava gli
angoli, sfiorava i muri senza farsi male. In tempo record giunse
all'Edelweiss, che, malamente intonacato in giallo bile, incombeva
sulla brevità della strada. Forse il più brutto edificio di
Animula, pensò Teo. Tanto meglio.
Il portoncino era chiuso,
del resto erano le due di notte. Teo suonò a lungo, senza
intimidirsi.
"Vengo, vengooo!"
la voce dall'interno era stridula, assonnata,: "La smetta di
suonare, sto arrivando! Mi sveglia tutti gli ospiti!"
Il portiere di notte
aprì. Faccia livida e, sotto gli occhi, delle borse bluastre enormi:
ci si sarebbero potute mettere tranquillamente delle grosse noci.
"Che vuole?"
Chiese villano, guardando e non vedendo: "Spero che abbia delle
buonissime ragioni per svegliarmi a quest'ora!"
Teo entrò. L'atrio era
un bugigattolo fiocamente illuminato. Le pareti, di un bianco stanco
morto d'essere bianco, scivolavano giù fino a cadere dentro la
sdrucita guida rossa del pavimento, tutta patacche. In fondo
s'acquattava il banco del portiere. Le chiavi erano quasi tutte
appese alla parete. Non stava facendo grandi affari, l'Edelweiss.
"Devo conferire
immediatamente col dottor von Zeitmerde." Disse Teo: "E'
Questione di Vita o di Morte!"
"Dorme, credo":
disse il portiere, intimidito (le borse, ora, sembravano piangere da
secoli).
Salirono una stretta
scala. La stanza era la numero otto. Il portiere bussò.
"Aaah?..." fece
von Z., che stava sognando di masticare cartilagini.
"Può aprire,
Signore? E' cosa urgente..."
"Von Z.! Sono Marlo!
Apra subito!" ingiunse Teo.
"Ah!" disse
Woodroow. E aprì.
Sottratto al sonno, in
completo da notte, von Zeitmerde non faceva il solito effetto. Il
grasso gli ricadeva addosso sfatto. L'occhio era annacquato. Il suo
aspetto rivelava cose che, di solito, l’editore stava ben attento a
nascondere: il segreto della miseria celato dietro l'avidità, la
debolezza mascherata da violenza, la morte che si acquattava sotto la
voracità. La nera bile, depressione.
Con malinconico mignolo
tolse dai denti qualche frammento di cartilagine del sogno
interrotto, e chiese: "Che vuoi?".
Mentre il portiere
scivolava via, Teo entrò nella camera con bagno che, da oltre
vent'anni, faceva da casa al suo editore.
Che era una Stanza degli
Orrori.
Da ogni angolo, da sopra
l'armadio, dalle sedie e dalla poltrona, dai ripiani dello scaffale,
fitte fitte, a centinaia, forse a migliaia, le teste convergevano i
loro sguardi sul letto. Teste di bambole, burattini, manichini,
statue, marionette. Di ogni dimensione: grandezza naturale, giganti,
miniaturizzate. Sorridenti, truci, gonfie, dementi.
"La mia piccola
collezione." Soffiò von Z.: "Allora, che c'è, Marlo?"
"Perché ha preso il
manoscritto? Dove lo ha ficcato?" Chiese Teo, andando subito a
bomba.
"Come hai detto?
Quale manoscritto?" fece Woodroow.
"Il libro che sto
scrivendo, lo sa benissimo!" Teo era furioso, si stava perdendo
tempo: "Lo tiri fuori subito, o le faccio ingoiare a pezzi quel
suo vomitevole pancione!"
L'idea poteva essere
anche affascinante. Per un attimo il pensiero di von Z. si soffermò
su quella prospettiva... Ma che stava dicendo del libro? Perso?
Biascicò: "Merda dell'onnipotente, cazzo! Te l'hanno rubato,
scemo! E adesso?!... Bisogna trovarlo subito, Teo. Era copia unica,
come sempre?"
Teo capì di colpo che il
ladro non era stato von Z. Tutta l'adrenalina che fin'allora lo aveva
sorretto fu risucchiata via dalle sue vene, andò a nutrire di
silenzio altri lobi ed emisferi.
Teo cadde
disordinatamente a terra, davanti ai vitrei occhi delle bambole: che
non avevano mai visto un vero svenimento.
"Porca troia,
maledizione!". Von Z. caracollò nel bagno. Tornò con una
bacinella d'acqua gelida, la rovesciò addosso a Teo, che rinvenne
pulcino bagnato.
"Capitano, sei tu,
amico mio? Vedi, c'è l'uragano! Perché piangi?"
"Teo Marlo,
sveglia!" von Z. lo scuoteva forte, fino a fargli battere tutti
i denti: "Sono Zeitmerde, non è un incubo. Sveglia! Ricordi? Ci
hanno rubato il tuo libro. Bisogna muoversi, trovarlo subito!"
La mente di Teo ritornò
al suo posto. Ma dal cuore gli spirava vento saturnino, convincendolo
che tutto era perduto, per sempre. Mugolò senza significato,
sembrava che piangesse.
Tanto l'editore non gli
badava. Ficcava la ciccia del ventre nelle stecche del busto,
allacciava l'elastico viola alle bretelle, ravviava l'unto
disordinato dei capelli. Vestito di tutto punto. Come se dovesse
andare alla presentazione di un libro.
Intanto scatarrava,
malediceva il cielo. Accanendosi sui malvagi lacci delle duilio
bianche e nere, sbottò: "Insomma, Teo, credevi davvero che
l'avessi preso io?"
"Sì" disse Teo
con la voce che non voleva uscirgli dalla gola.
"No, idiota, come
puoi pensarlo? Non sarebbe davvero mio interesse... Ma chi può
essere il ladro? La vogliamo fare qualche ipotesi?"
"Giudecca Troni. Con
le gemelle" sfiatò Teo. Che ormai non credeva più neanche a
questo.
"Potrebbe essere,
sì, Teo, potrebbe essere... Allora, che aspettiamo? Che faccia
giorno? Muoviti, andiamo dalla tua orribile signora!"
"Ex" mormorò
Teo. Solo per essere preciso.
(18 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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