G. Luca Chiovelli
Il 5 maggio 1920, attorno alle 22.00, Ferdinando Nicola Sacco, operaio in una fabbrica di calzature, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo, vengono arrestati dalla polizia del Massachussets per la detenzione di un’arma e di alcuni volantini anarchici; successivamente sono accusati, sulla scorta dei ricoscoscimenti di alcuni testimoni, anche della rapina al portavalori della Slater & Morril, a South Braintree, in cui sono stati assassinati il cassiere, Parmenter, e una guardia, Berardelli.
Ne seguiranno tre processi. L’ultimo, nonostante l’assenza di prove a carico, si chiuderà con una sentenza di morte.
La notte fra il 22 e il 23 agosto del 1927, pochi minuti dopo la mezzanotte, l’ora in cui questo post viene pubblicato, i due immigranti italiani verranno giustiziati sulla sedia elettrica presso il penitenziario di Charlestown, nella contea di Norfolk.
Fu un omicidio politico, voluto per scoraggiare la formazione di movimenti d’ispirazione socialista o anarchica, e per ammonire il fronte interno sulla pericolosità di qualsiasi altra linea diversa da quella decisa dal gruppo egemone.
La vicenda scosse ampiamente l’opinione pubblica internazionale: Einstein, Bertrand Russell, Herbert George Wells, John Dos Passos, George Bernard Shaw, furono tra i capifila di una campagna intellettuale, forte di oltre cinquanta milioni di firme, che spingeva per l’istruzione di un nuovo processo basato su una valutazione equa degli eventi e delle testimonianze.
Solo il 23 agosto 1977, a cinquant'anni dall'esecuzione, il governatore del Massachussets, Michael Dukakis, futuro sfidante di Bush senior alle elezioni presidenziali del 1988, potrà dichiarare: “Ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”. Un'ammissione nobile, che non possiede, tuttavia, né la forza giuridica per la riabilitazione piena né la contrizione politica e storica per un atto umanamente aberrante.
Ne seguiranno tre processi. L’ultimo, nonostante l’assenza di prove a carico, si chiuderà con una sentenza di morte.
La notte fra il 22 e il 23 agosto del 1927, pochi minuti dopo la mezzanotte, l’ora in cui questo post viene pubblicato, i due immigranti italiani verranno giustiziati sulla sedia elettrica presso il penitenziario di Charlestown, nella contea di Norfolk.
Fu un omicidio politico, voluto per scoraggiare la formazione di movimenti d’ispirazione socialista o anarchica, e per ammonire il fronte interno sulla pericolosità di qualsiasi altra linea diversa da quella decisa dal gruppo egemone.
La vicenda scosse ampiamente l’opinione pubblica internazionale: Einstein, Bertrand Russell, Herbert George Wells, John Dos Passos, George Bernard Shaw, furono tra i capifila di una campagna intellettuale, forte di oltre cinquanta milioni di firme, che spingeva per l’istruzione di un nuovo processo basato su una valutazione equa degli eventi e delle testimonianze.
Solo il 23 agosto 1977, a cinquant'anni dall'esecuzione, il governatore del Massachussets, Michael Dukakis, futuro sfidante di Bush senior alle elezioni presidenziali del 1988, potrà dichiarare: “Ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”. Un'ammissione nobile, che non possiede, tuttavia, né la forza giuridica per la riabilitazione piena né la contrizione politica e storica per un atto umanamente aberrante.
Negli anni del dopoguerra le figure di “Nick and Bart” verranno scolpite nell’immaginario italiano dal film di Giuliano Montaldo, ricco di interpretazioni definitive (di Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volonté), nonché di due ballate di mirabile fattura, Here's to you e The Ballad of Sacco and Vanzetti, entrambe musicate da Ennio Morricone su testi e voce di Joan Baez.
Oggi, nella freddezza della distanza, possiamo interrogarci sull'essenza inalterabile di tale vicenda. E la risposta arriverà univoca e attualissima: l'assassinio di Sacco e Vanzetti esonda dall’alveo della considerazione nazionalistica e investe il ruolo della disobbedienza civile, in Italia e nel mondo. In altre parole: è concepibile, nel 2013, “un reclamo, dignitoso ma anche inflessibile, di poter decidere della propria esistenza, del vivere e lavorare insieme da persone libere, del diritto ad aver voce sul proprio destino senza diventare sudditi e comparse di decisioni già prese”(1)? E poi: è possibile, in nome di concetti universali, distillati in secoli di pensiero libertario e razionale, la rivolta, il non serviam, la fedeltà alla giustizia naturale contro la massificazione ideologica? Vi è ancora posto per Michael Kohlhaas? Per il Waldgäng di Jünger, l’anarca che si ribella al Leviatano, al mostro poliziesco del nuovo Stato che pretende, in cambio di un progressismo fallace, la totale, capillare obbedienza alle proprie regole? Vi è ancora un uomo disposto a rinunciare a tutto, a spogliarsi della sicurezza dell’esistenza - un uomo d’acciaio, capace di darsi alla macchia e oltrepassare il meridiano zero della civiltà - tutto pur di riguadagnare la libertà di affermare: “No”? A recare il fardello dell’un per cento, del proscritto?
Dai tempi di Sacco e Vanzetti molto è cambiato. I nuovi signori non hanno cappelli a cilindro, non fumano sprezzanti il sigaro come in una rassicurante dicotomia brechtiana disegnata da George Grosz. Anzi, spesso ostentano la suadenza casual di chi conosce scientificamente i propri sudditi. La corazza del Leviatano ricopre il pianeta. A nessuno è permesso forarla. Chi osa l’impossibile è, giuridicamente, un terrorista. E oggi, in un tribunale qualunque dell’Occidente, ormai una regione ideologica più che geografica, i due anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sarebbe probabilmente condannati per terrorismo. Assieme a Julian Assange, Edward Snowden e Bradley Manning o a intere nazioni ancora non asservite al pensiero unico.
Dice Jünger: “Chiamiamo … Ribelle [Waldgäng] chi nel corso degli eventi si è trovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all’annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, anzi di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il ribelle è deciso a opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell’intenzione di contrapporsi all’automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo”.
Non è forse questo il motivo per cui, negli ultimi cinque anni, si è ripetutamente provata l’urgenza di pubblicare i saggi, gli scritti e le lettere dal carcere di due anarchici italiani condannati quasi ottant’anni fa?
Evidentemente qualcuno, con la forza di un istinto ancora non del tutto sopito, si ostina a vigilare.
E quelle degli scritti di Sacco e Vanzetti sono ripubblicazioni meritorie anche per altri motivi; ci rendono partecipi d’una larghezza d’animo e di un'umanità a cui non siamo più abituati, tanto da restarne commossi; e mostrano una qualità di scrittura finora mai considerata, propria di quella grande letteratura che, nel Novecento, ci donarono gli esuli, i fuggiaschi, le vittime e i resistenti di ogni paese.
Ultima lettera di Bartolomeo Vanzetti a Dante, figlio di Nicola Sacco
Mio caro Dante,
Io spero ancora. Noi lotteremo fino all'estremo momento, per rivendicare il nostro diritto alla vita ed alla libertà ma tutte le forze dello Stato, dell'oro e della reazione sono mortalmente contro di noi, perché siamo due libertari, due anarchici …
Ricordati Dante, ricordati sempre di ciò: noi non siamo e non fummo mai dei criminali; essi ci hanno giudicato colpevoli in forza di false testimonianze, essi ci hanno per più volte rifiutato un altro processo, e se noi saremo uccisi, dopo sette anni quattro mesi e diciassette giorni di indescrivibili torture, sarà solo per le ragioni da me già su esposte; perché noi fummo e siamo tuttora dalla parte dei poveri e contro le appropriazioni e l'oppressione dell'uomo sull'uomo.
I documenti del nostro caso, che tu ed altri avrete l'opportunità di raccogliere e di conservare, ti proveranno che tuo padre, tua madre, Ines, la mia famiglia, tu, ed io siamo stati sacrificati da e per una ragione di Stato dalla plutocrazia reazionaria americana.
Il giorno verrà in cui tu comprenderai il senso atroce di queste parole, in tutto il loro ampio significato, ed in quel giorno, Dante, tu ci onorerai.
Un abbraccio affezionato dal tuo
Bartolomeo Vanzetti
Ultima lettera di Nicola Sacco al figlio Dante, 18 Agosto 1927
Mio caro figlio, mio caro compagno
… se nulla succede saremo giustiziati a mezzanotte del 22 agosto.
Non avrei mai pensato che le nostre due vite inseparabili si potessero mai separare. Ma il pensiero di sette anni di dolore mi dice che questo avverrà, benché nulla sia cambiato nel nostro amore inquieto e palpitante.
Ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicità non prendere tutto per te, ma scendi d'un passo e aiuta i deboli che chiamano al soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime, perché sono i tuoi migliori amici, sono loro che combattono e cadono come tuo padre e Bartolo hanno combattuto e son caduti ieri per conquistare la gioia della libertà per tutti e per i poveri lavoratori. In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato …
Dante, oggi possono crocifiggere i nostri corpi, e lo fanno, ma non possono distruggere le nostre idee, che rimarranno per le giovani generazioni future … questa terribile Casa della Morte dovrebbe essere distrutta dai martelli del vero progresso, dovrebbero distruggerla e mettere al suo posto un'officina o una scuola per istruire qualche povero orfanello.
Dante ti ripeto di amare tua madre e di stare molto vicino a lei e ai nostri cari in questi giorni tristi, … ed anche non dimenticare di amarmi un poco, perché io ti amo, ragazzo mio, e penso tanto a te.
Tutti i miei pensieri fraterni ai nostri cari, i miei baci alla piccola Ines e a tua madre. Ti bacio con tutto il cuore.
Tuo padre e tuo compagno
Nicola Sacco
Lettera di Bartolomeo Vanzetti alla signora Glendover Evans, 22 luglio 1921, prigione di Charlestown
Mia cara signora
... la ringrazio dal profondo del cuore per la fiducia che nutre nella mia innocenza. Io sono innocente. In tutta la mia vita, non ho mai versato una goccia di sangue, né rubato un centesimo. Una piccola cognizione del passato, una dolorosa esperienza della vita mi hanno dato delle idee assai differenti da quelle di molte altre creature umane. Ma io desidero convincere i miei simili che solo nella virtù e nell’onestà è possibile per noi trovare un poco di felicità nel mondo. Io lavoravo. Desideravo con tutte le mie facoltà che la ricchezza sociale appartenesse a ogni creatura umana, così come essa è frutto del lavoro di tutti. Ma questo non significa rubare per un’insurrezione.
L’insurrezione, i grandi movimenti dell’anima non hanno bisogno di dollari. Sono necessari amore, luce, spirito di sacrificio, idee, coscienza, istinto.
È necessaria più coscienza, più speranza e più bontà. e tutte queste belle cose possono essere seminate, risvegliate, alimentate nel cuore di un uomo in molti modi, ma senza rapine e omicidi.
Voglio che lei sappia che penso all’Italia, per esempio. Dalla famiglia universale, deviando a quest’umile figlio, le dirò che, quanto ai miei bisogni, ai miei desideri e alle mie aspirazioni, non ho mai sentito la necessità di diventare un bandito. Mi piace l’insegnamento di Tolstoj, di san Francesco, di Dante. Mi piace l’esempio di Cincinnato e di Garibaldi. La gioia epicurea non mi piace. Un piccolo tetto, un campo, qualche libro, un po’ di cibo è tutto ciò di cui ho bisogno. non bado al denaro per piacere o mondane ambizioni. e onestamente, anche in questo mondo di lupi e agnelli, potrei avere queste cose. Mio padre ha campi, case, giardini. Commercia in vino, frutta e granaglie. Mi ha scritto molte volte di tornare a casa e di diventare un uomo d’affari. ebbene, questo presunto assassino gli ha risposto che la sua coscienza non gli permetteva di essere un uomo d’affari, e che avrei preferito guadagnare il mio pane lavorando il suo campo.
E ancora: la chiarezza di mente, la pace della coscienza, la determinazione e la forza di volontà, l’intelligenza, tutto, tutto ciò che fa sentire all’uomo di essere una parte della vita, della forza e dell’intelligenza dell’universo, viene distrutto dal crimine. Io lo so, lo vedo e lo dico a tutti: non violate la legge di natura se non volete diventare un miserabile. Ricordo. era una notte senza luna, ma stellata, sedevo solo nell’oscurità, ero triste, molto triste.
Con il volto tra le mani incominciai a guardare le stelle. Sentivo che la mia anima voleva uscire dal mio corpo e ho dovuto fare uno sforzo per tenerla nel petto. Io sono il figlio della natura e sono così ricco che non ho bisogno di denaro. e per questo essi dicono che io sono un assassino, e mi hanno condannato a morte. Morte? non è niente. L’infamia è crudele.
... Spero di vedervi molto presto ... Scriverò qualche cosa, una meditazione forse e l’intitolerò 'In attesa dell’impiccagione'. Ho perso la fiducia nella giustizia dell’uomo, intendo dire quella che così è chiamata, non certo quel sentimento che giace nel cuore dell’uomo e che nessuna forza infernale sarà forte abbastanza per soffocare. Il vostro sostegno e quello di molti uomini e donne hanno reso molto più leggera la mia croce. non lo dimenticherò.
Vi domando perdono per questa lunga lettera, ma io mi sento così vicino a voi che cento pagine non sarebbero sufficienti per esternare i miei sentimenti. Sono sicuro che mi scuserete. I miei migliori saluti.
Bartolomeo Vanzetti
(1) Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, Claudiana, 2012 (prefazione di Furio Colombo)
Consigli di lettura
- Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, Claudiana, 2012 (prefazione di Furio Colombo)
- Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite, Nova Delphi, 2012 (presentazione di Valerio Evangelisti; con uno scritto di Andrea Camilleri)
- Lorenzo Tibaldo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Claudiana, 2008
- John Dos Passos, Davanti alla sedia elettrica, Spartaco, 2005, 2007
- Ernst Jünger, Trattato del Ribelle, Adelphi, 1990
- Heinrich von Kleist, Michael Kohlhaas, in I racconti, Garzanti, 1984
Oggi, nella freddezza della distanza, possiamo interrogarci sull'essenza inalterabile di tale vicenda. E la risposta arriverà univoca e attualissima: l'assassinio di Sacco e Vanzetti esonda dall’alveo della considerazione nazionalistica e investe il ruolo della disobbedienza civile, in Italia e nel mondo. In altre parole: è concepibile, nel 2013, “un reclamo, dignitoso ma anche inflessibile, di poter decidere della propria esistenza, del vivere e lavorare insieme da persone libere, del diritto ad aver voce sul proprio destino senza diventare sudditi e comparse di decisioni già prese”(1)? E poi: è possibile, in nome di concetti universali, distillati in secoli di pensiero libertario e razionale, la rivolta, il non serviam, la fedeltà alla giustizia naturale contro la massificazione ideologica? Vi è ancora posto per Michael Kohlhaas? Per il Waldgäng di Jünger, l’anarca che si ribella al Leviatano, al mostro poliziesco del nuovo Stato che pretende, in cambio di un progressismo fallace, la totale, capillare obbedienza alle proprie regole? Vi è ancora un uomo disposto a rinunciare a tutto, a spogliarsi della sicurezza dell’esistenza - un uomo d’acciaio, capace di darsi alla macchia e oltrepassare il meridiano zero della civiltà - tutto pur di riguadagnare la libertà di affermare: “No”? A recare il fardello dell’un per cento, del proscritto?
Dai tempi di Sacco e Vanzetti molto è cambiato. I nuovi signori non hanno cappelli a cilindro, non fumano sprezzanti il sigaro come in una rassicurante dicotomia brechtiana disegnata da George Grosz. Anzi, spesso ostentano la suadenza casual di chi conosce scientificamente i propri sudditi. La corazza del Leviatano ricopre il pianeta. A nessuno è permesso forarla. Chi osa l’impossibile è, giuridicamente, un terrorista. E oggi, in un tribunale qualunque dell’Occidente, ormai una regione ideologica più che geografica, i due anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sarebbe probabilmente condannati per terrorismo. Assieme a Julian Assange, Edward Snowden e Bradley Manning o a intere nazioni ancora non asservite al pensiero unico.
Dice Jünger: “Chiamiamo … Ribelle [Waldgäng] chi nel corso degli eventi si è trovato isolato, senza patria, per vedersi infine consegnato all’annientamento. Ma questo potrebbe essere il destino di molti, anzi di tutti – perciò dobbiamo aggiungere qualcosa alla definizione: il ribelle è deciso a opporre resistenza, il suo intento è dare battaglia, sia pure disperata. Ribelle è dunque colui che ha un profondo, nativo rapporto con la libertà, il che si esprime oggi nell’intenzione di contrapporsi all’automatismo e nel rifiuto di trarne la conseguenza etica, che è il fatalismo”.
Non è forse questo il motivo per cui, negli ultimi cinque anni, si è ripetutamente provata l’urgenza di pubblicare i saggi, gli scritti e le lettere dal carcere di due anarchici italiani condannati quasi ottant’anni fa?
Evidentemente qualcuno, con la forza di un istinto ancora non del tutto sopito, si ostina a vigilare.
E quelle degli scritti di Sacco e Vanzetti sono ripubblicazioni meritorie anche per altri motivi; ci rendono partecipi d’una larghezza d’animo e di un'umanità a cui non siamo più abituati, tanto da restarne commossi; e mostrano una qualità di scrittura finora mai considerata, propria di quella grande letteratura che, nel Novecento, ci donarono gli esuli, i fuggiaschi, le vittime e i resistenti di ogni paese.
Ultima lettera di Bartolomeo Vanzetti a Dante, figlio di Nicola Sacco
Mio caro Dante,
Io spero ancora. Noi lotteremo fino all'estremo momento, per rivendicare il nostro diritto alla vita ed alla libertà ma tutte le forze dello Stato, dell'oro e della reazione sono mortalmente contro di noi, perché siamo due libertari, due anarchici …
Ricordati Dante, ricordati sempre di ciò: noi non siamo e non fummo mai dei criminali; essi ci hanno giudicato colpevoli in forza di false testimonianze, essi ci hanno per più volte rifiutato un altro processo, e se noi saremo uccisi, dopo sette anni quattro mesi e diciassette giorni di indescrivibili torture, sarà solo per le ragioni da me già su esposte; perché noi fummo e siamo tuttora dalla parte dei poveri e contro le appropriazioni e l'oppressione dell'uomo sull'uomo.
I documenti del nostro caso, che tu ed altri avrete l'opportunità di raccogliere e di conservare, ti proveranno che tuo padre, tua madre, Ines, la mia famiglia, tu, ed io siamo stati sacrificati da e per una ragione di Stato dalla plutocrazia reazionaria americana.
Il giorno verrà in cui tu comprenderai il senso atroce di queste parole, in tutto il loro ampio significato, ed in quel giorno, Dante, tu ci onorerai.
Un abbraccio affezionato dal tuo
Bartolomeo Vanzetti
Ultima lettera di Nicola Sacco al figlio Dante, 18 Agosto 1927
Mio caro figlio, mio caro compagno
… se nulla succede saremo giustiziati a mezzanotte del 22 agosto.
Non avrei mai pensato che le nostre due vite inseparabili si potessero mai separare. Ma il pensiero di sette anni di dolore mi dice che questo avverrà, benché nulla sia cambiato nel nostro amore inquieto e palpitante.
Ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicità non prendere tutto per te, ma scendi d'un passo e aiuta i deboli che chiamano al soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime, perché sono i tuoi migliori amici, sono loro che combattono e cadono come tuo padre e Bartolo hanno combattuto e son caduti ieri per conquistare la gioia della libertà per tutti e per i poveri lavoratori. In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato …
Dante, oggi possono crocifiggere i nostri corpi, e lo fanno, ma non possono distruggere le nostre idee, che rimarranno per le giovani generazioni future … questa terribile Casa della Morte dovrebbe essere distrutta dai martelli del vero progresso, dovrebbero distruggerla e mettere al suo posto un'officina o una scuola per istruire qualche povero orfanello.
Dante ti ripeto di amare tua madre e di stare molto vicino a lei e ai nostri cari in questi giorni tristi, … ed anche non dimenticare di amarmi un poco, perché io ti amo, ragazzo mio, e penso tanto a te.
Tutti i miei pensieri fraterni ai nostri cari, i miei baci alla piccola Ines e a tua madre. Ti bacio con tutto il cuore.
Tuo padre e tuo compagno
Nicola Sacco
Lettera di Bartolomeo Vanzetti alla signora Glendover Evans, 22 luglio 1921, prigione di Charlestown
Mia cara signora
... la ringrazio dal profondo del cuore per la fiducia che nutre nella mia innocenza. Io sono innocente. In tutta la mia vita, non ho mai versato una goccia di sangue, né rubato un centesimo. Una piccola cognizione del passato, una dolorosa esperienza della vita mi hanno dato delle idee assai differenti da quelle di molte altre creature umane. Ma io desidero convincere i miei simili che solo nella virtù e nell’onestà è possibile per noi trovare un poco di felicità nel mondo. Io lavoravo. Desideravo con tutte le mie facoltà che la ricchezza sociale appartenesse a ogni creatura umana, così come essa è frutto del lavoro di tutti. Ma questo non significa rubare per un’insurrezione.
L’insurrezione, i grandi movimenti dell’anima non hanno bisogno di dollari. Sono necessari amore, luce, spirito di sacrificio, idee, coscienza, istinto.
È necessaria più coscienza, più speranza e più bontà. e tutte queste belle cose possono essere seminate, risvegliate, alimentate nel cuore di un uomo in molti modi, ma senza rapine e omicidi.
Voglio che lei sappia che penso all’Italia, per esempio. Dalla famiglia universale, deviando a quest’umile figlio, le dirò che, quanto ai miei bisogni, ai miei desideri e alle mie aspirazioni, non ho mai sentito la necessità di diventare un bandito. Mi piace l’insegnamento di Tolstoj, di san Francesco, di Dante. Mi piace l’esempio di Cincinnato e di Garibaldi. La gioia epicurea non mi piace. Un piccolo tetto, un campo, qualche libro, un po’ di cibo è tutto ciò di cui ho bisogno. non bado al denaro per piacere o mondane ambizioni. e onestamente, anche in questo mondo di lupi e agnelli, potrei avere queste cose. Mio padre ha campi, case, giardini. Commercia in vino, frutta e granaglie. Mi ha scritto molte volte di tornare a casa e di diventare un uomo d’affari. ebbene, questo presunto assassino gli ha risposto che la sua coscienza non gli permetteva di essere un uomo d’affari, e che avrei preferito guadagnare il mio pane lavorando il suo campo.
E ancora: la chiarezza di mente, la pace della coscienza, la determinazione e la forza di volontà, l’intelligenza, tutto, tutto ciò che fa sentire all’uomo di essere una parte della vita, della forza e dell’intelligenza dell’universo, viene distrutto dal crimine. Io lo so, lo vedo e lo dico a tutti: non violate la legge di natura se non volete diventare un miserabile. Ricordo. era una notte senza luna, ma stellata, sedevo solo nell’oscurità, ero triste, molto triste.
Con il volto tra le mani incominciai a guardare le stelle. Sentivo che la mia anima voleva uscire dal mio corpo e ho dovuto fare uno sforzo per tenerla nel petto. Io sono il figlio della natura e sono così ricco che non ho bisogno di denaro. e per questo essi dicono che io sono un assassino, e mi hanno condannato a morte. Morte? non è niente. L’infamia è crudele.
... Spero di vedervi molto presto ... Scriverò qualche cosa, una meditazione forse e l’intitolerò 'In attesa dell’impiccagione'. Ho perso la fiducia nella giustizia dell’uomo, intendo dire quella che così è chiamata, non certo quel sentimento che giace nel cuore dell’uomo e che nessuna forza infernale sarà forte abbastanza per soffocare. Il vostro sostegno e quello di molti uomini e donne hanno reso molto più leggera la mia croce. non lo dimenticherò.
Vi domando perdono per questa lunga lettera, ma io mi sento così vicino a voi che cento pagine non sarebbero sufficienti per esternare i miei sentimenti. Sono sicuro che mi scuserete. I miei migliori saluti.
Bartolomeo Vanzetti
Consigli di lettura
- Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, Claudiana, 2012 (prefazione di Furio Colombo)
- Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite, Nova Delphi, 2012 (presentazione di Valerio Evangelisti; con uno scritto di Andrea Camilleri)
- Lorenzo Tibaldo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Claudiana, 2008
- John Dos Passos, Davanti alla sedia elettrica, Spartaco, 2005, 2007
- Ernst Jünger, Trattato del Ribelle, Adelphi, 1990
- Heinrich von Kleist, Michael Kohlhaas, in I racconti, Garzanti, 1984
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