Franca Rovigatti
LA NASCITA
(qui e d'ora in poi, in corsivo,
la Voce del Capitano)
Diavolo! Dove sono?... Dove mi ha cacciato stavolta!? Merda!! Sembra un aeroporto in rovina, una lurida cucina... E fa un caldo fottuto!... Strano… Ma non era freddo, un freddo boia, da morire? Sì, sì: si gelava! Vediamo un po' se mi riesce di muovermi...
(Visto che è successo? E’ uscito fuori! Comunque, perché non ci siano fraintendimenti, sappiate fin d’ora che non fu una nascita visibile. Il Capitano venne al mondo solo come coscienza. Non aveva ombra di tutti gli altri ammennicoli tipo: faccia con occhi e bocca, tronco, braccia, gambe, capelli, peli, orecchie. Non poteva avere fame, né sonno, né altri bisogni. Era invisibile. Immateriale. Anche se lui intravvedeva il suo sembiante come fosse vero corpo. Anche se udiva i suoi pensieri come fossero pronunciati.)
Si concentrò, il Capitano. Spremette il neonato cervello tentando di concepire un possibile altrove. Cercò con tutte le forze di spedirsi fuori dalla cucina. Ma non si spostava di un solo centimetro.
Merda!! Non ci riesco!... Sono incatenato! Forse perché il coglione (Teo, si chiama) non c’è... La miseria, allora è così, solo lui può spostarmi... Ma ora dov’è andato? Magari è morto, s'è ammalato...
Oooh...! Guarda chi c'è qui! Una gran bella Signorina! Mademoiselle?!
Non risponde, forse non sente... Immobile... Ciglia finte, labbra siliconate, mascherata da esploratrice...
Porca miseria! Anch'io ho il casco, la sahariana, i calzettoni...
Giona armeggia, non saprei come altro dirlo, sull'immagine di sé. Agitando le braccia, attacca la sahariana...
Aaah! Questa giacchetta non si stacca! Aderisce a me... Anzi è me! Non c'è ombra di pelle, sotto! Dio, che schifo!
E adesso, che succede? Cosa sono questi tonfi che avanzano? La miseria, si avvicinano!
I suoni che tanto allarmano il Capitano sono i passi di Teo Marlo. Il quale, piena la testa di nuove pericolose idee, sale le scale. Ansioso di rimettersi al lavoro.
Nulla sembrava mutato, nella cucina. Non c’era nessun segno della straordinaria nascita. La coscienza di Giona Missing, ormai presente accanto al manoscritto, non si vedeva, non si sentiva, non emanava alcun odore. Ma c'era: stava lì, altroché!
Tutta rintanata in se stessa per la paura.
Teo aveva mangiato un panino con salsiccia. Nell’aprire la porta, ruttava. Al bar, la cassiera sciroccata non c'era, né lui aveva osato chiederne notizie al cupo cameriere che faceva cassa.
Crollò sulla sedia di cucina sudando e compiangendosi con tutto il cuore.
(Teo Marlo tante ragioni per essere allegro, siamo onesti, non ne aveva. Si avvicinava ai cinquanta, ma manteneva nell’animo strutture infantili, alimentava nell’ignaro corpo malattie prossime alla maturazione. Era triste e solo, ma da ogni angolo le conseguenze delle sue cazzate lo accerchiavano. Ex mogli, avvocati, figlie venute su grosse e maligne, editori crudeli. E Teo, poveraccio, non era certo una grande anima. Fin dall’infanzia oppresso da infiniti sensi di colpa, gli altri, con lui, ci andavano a nozze. Di fronte ai rimproveri, alle accuse, alle richieste, Teo si barcamenava, cedendo quando non era il caso, irrigidendosi nei momenti sbagliati, e soprattutto dimenticando. Viveva così in una sorta di nebulosità attraversata a tratti da fantasmi che subito, grazie a dio, svanivano. Ma il dopopranzo, forse a causa di un non ottimo stato del suo fegato, era sempre un momento critico. Tutta la malinconia di cui il suo sensorio disponeva si dispiegava e spingeva alla grande. Dolore e colpa si mettevano in cerchio attorno al suo cuore e facevano festa nominandogli uno per uno i suoi fallimenti…)
Quatta quatta, la coscienza del Capitano tirò su una palpebra. Fissò Teo. Lo riconobbe, capì che il suo padrone non era morto. Anzi, vedi, se si sforzava poteva persino udire i suoi pensieri. Piano piano, come sussurrati. Bastò mezz’ora, e già il Capitano s'era commosso. Una sincera simpatia per i casini del suo autore gli inondò il - per così dire - cuore.
Teo si riscosse. L'unica ricetta per uscire dall’infelicità era quella di mettersi, come diceva lui, a creare. Ruttò ancora una volta, liberando l'afrore di cipolla di cui il suo stomaco s'era saturato, agguantò la risma di carta rosa e cominciò a scrivere:
‘La giungla lussureggiante, brulicante di orchidee e di tigri, inizia sontuosa e feroce subito fuori il cadente aeroporto. I cuori di Giona e Leyla fremono, palpitano all'unisono nel vederne gli accesi contrasti, nell’aspirarne gli inebrianti profumi... La bianca e sottile mano di Leyla, fatalmente, quasi indipendentemente dalla sua volontà, si appoggia sulla patta del pantalone della sahariana avana di Giona, e avverte la durezza d’acciaio che il suo cuore bramava...’.
A questo punto (il sesso, diciamolo pure, lo imbarazzava sempre un po’), Teo si interruppe, mordicchiando il cappuccio della stilografica.
Ma intanto il Capitano era stato scaraventato dentro l'oscena scena, con la mano di cera a pesargli sul cazzo. Invaso da un desiderio freddo e automatico, da cui vivamente si dissociava, e che tuttavia risaliva dalle sia pur inesistenti parti basse...
No! Diavolo!
Teo, levami di dosso questa mano! Che schifo! Ma che ti viene in mente?
Marlo cominciò a sentire uno strano prurito che partiva dall'orecchio per irradiare il cranio... Il purito cresceva, sembrava localizzarsi al centro del cervello... Poi parve a Teo di sentir gridare, da luoghi lontanissimi, il suo nome. Si alzò, andò alla finestra. Nulla si muoveva nella fissità dell’afa pomeridiana.
Scuotendo la testa, Teo si mise di nuovo a tavolino. Dunque, dov’eravamo? Scorse le ultime due righe:
‘...fremono, palpitano all'unisono nel vederne gli accesi contrasti, nell’aspirarne gli inebrianti profumi...’ E stop.
STOP?!? Ma come: lui, ne era certo, aveva scritto che Leyla gli metteva la mano lì, al Capitano. Ci poteva giurare! Eppure, l'evidenza del nulla era di fronte a lui. Nessun giuramento poteva far comparire quelle scarse tre righe sul foglio...
Dio, oddio!, pensò Teo, sto diventando matto... Forse ci ho solo pensato, forse non l'ho scritto davvero…
Riprese la penna e vergò la seguente variante:
‘Come muovendosi in sogno, senza che quasi lei stessa ne avesse coscienza, fatalmente, la bianca, sottile, mano di Leyla si appoggia sulla patta dei pantaloni della sahariana avana di Giona. La durezza d’acciaio che la accoglie riempie il suo cuore di gioia...’
(Ecco fatto!)
Non aveva finito di scrivere, che il dolore gli esplose in testa come un mortaretto. Sentiva, lontano, uno strepito.
TEO!!! Idiota!
Ma come? Ho faticato tanto per rimettere le cose a posto... M'ero appena liberato... Ecco che arriva lui, e, sgnàcchete, me la risbatte addosso, la mano morta... Ma allora non mi senti, idiota?
Teo!!! TEOOOO!!!
L'emicrania cresceva. Intollerabile. Il poveretto incespicò giù dalla sedia e corse a buttarsi sul letto, lamentandosi.
(2. continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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