Nelle puntate precedenti: Teo Marlo, scrittore di infima categoria, dorme, e non sa che il Capitano Giona Missing, protagonista dei suoi romanzi dozzinali, gli sta cambiando le carte in tavola.
Franca Rovigatti
LA CONFERENZA
Fu allora che trillò il citofono.
Era una voce mite che Teo non riconobbe:
"Ehm... Il signor Marlo in persona?" chiese imbarazzata.
Pregata di declinare le generalità, la
vocetta sembrò rassicurarsi (come se il suo possessore pensasse: ok, questo lo
so), e recitò d'un fiato: "Si ricorda, signor Marlo, sono Leo Personne, ci
siamo conosciuti alla sede della Oral Edizioni... Ehm, ero venuto a prenderla
per la conferenza del famoso Olo Spino, si ricorda? Se l'era segnato... E'
stasera, all'Associazione Letteratura Viva. Anzi, ehm, saremmo anche un po' in
ritardo..."
Tutto vero. Due settimane prima, mentre
usciva dall'ennesimo colloquio con von Z., Teo, che procedeva a testa bassa
pensando alle sue magagne, s'era scontrato frontalmente con un tizio dall'aria
ancora più depressa di lui. Un disastro! Erano caduti a terra i rispettivi
manoscritti, disseminando l'atrio di fogli gialli e rosa. Mentre ognuno
recuperava i propri, si presentarono, scambiando poche frasi, da cui risultò
chiaro che ambedue erano vittime del medesimo carnefice.
Leo, in realtà un poeta, veniva
utilizzato da von Z. come estensore di biografie di grandi uomini. Aveva già
scritto la vita di Napoleone, Cesare, Attila, Hitler e Carlo Magno. Ora, dio
mio, Zeitmerde s'era incaponito su Tutankamen. A niente era valso dirgli che le
fonti erano frammentarie e incerte, che non era possibile ricostruire la vita
di un faraone della diciottesima dinastia... Non c'era stato verso. Così ora
Leo stava inventandosi qualcosa di plausibile e non troppo ridicolo.
Mentre si separavano, il biografo aveva
proposto: "Non mi accompagnerebbe, signor Marlo, alla conferenza del
famoso Olo Spino? Potrei rimediare gli inviti...".
Teo aveva accettato con entusiasmo. Lui,
che non andava mai da nessuna parte, che nessuno invitava mai, figurarsi!,
avere la possibilità di vedere da vicino Spino, il romanziere più acclamato del
paese!
Nei giorni successivi, più volte aveva
pregustato la serata, perdendo intere mezz'ore a fantasticare di ipotetici
colloqui tra lui e il Famoso, di cordiali pacche sulle spalle ("Diamoci
del tu, caro Teo, e vediamoci presto!"), eccetra.
Gli eccezionali eventi delle ultime ore,
tuttavia, avevano cancellato ogni altro pensiero: così quella sera Leo Personne
giungeva quasi puntuale ma del tutto inaspettato.
"Ah, Signor Personne, certo che mi
ricordo! Sono pronto!" mentì Teo: "Mi può aspettare solo due
minuti?... Scendo subito!”
Pattinò in bagno, si sciacquò il muso,
lavò i denti, indossò un pantalone e una maglia nera, chiuse a chiave il
manoscritto nel cassetto (ma una pagina, che il vento di Manhattan aveva fatto
volare, se la ficcò frettolosamente in tasca: il che bastò a Giona per
seguirlo).
Leo Personne aspettava fuori il portone,
appoggiato ad un vecchissimo scooter. Teo ansimò: "Andiamo?".
L'Associazione Letteratura Viva era stata
fondata trent'anni prima da un ricco signore che aveva passato la sua vita a
leggere (era un uomo grassissimo,
obeso, gli costruivano le poltrone su misura, e collezionò una biblioteca di
16.873 volumi). Scopo statutario dell’associazione era: promuovere la rinascita
delle belle lettere a Mongo. Il fondatore aveva dotato l'associazione di una
sede (il Villino Katia, costruzione inizio Novecento di stile gotico-moresco), e
di una rendita che permettesse una ragionevole attività.
Alla morte del mecenate,
dell'Associazione si era impossessata Marja Kurwa, una sedicente poetessa che
millantava relazioni in ambienti governativi, lassù alla capitale. Le sue
solenni liriche trattavano inevitabilmente di lacrime di bimbi, di tramonti
vermigli, di fiori, gatti e amori infelici.
Quella sera il villino splendeva di luci,
festeggiando un momento di gloria "a livello nazionale" (come, volitando da un gruppetto
all'altro, Marja Kurwa, velata in chiffon azzurro cielo, badava a sottolineare:
in modo che tutti, tutti, avessero ben chiaro a quale grande evento stavano
assistendo!).
Era infatti a Mongo Olo Spino, il grande
romanziere cui si devono titoli quali L'Ubbriacatura di Re Citrullo, I
Diciannove Miracoli di Abele, L'Onda
del Lago Salso, Il Pesce che parlava poco il Sabbato, L'Unghia
Nera di Banco. L'ultimo uscito, I
Gufi Neri e i Nani, era una
cupissima storia gotica, una disperata riflessione sull'incombere della morte.
Spino, difatti, non attraversava un buon momento. Gli sembrava ingiusto di
dover morire presto: ma come, già era passato il tempo? Non che fosse tanto
vecchio, ma portava male i suoi anni, gli pesavano addosso come un dolore. Non
foss'altro, per quegli odiosi calcoli al rene che quando, ulceranti uncini,
uscivano dal corpo si presentavano nell'inquietante forma di lettere
dell'alfabeto. Fin'allora aveva pisciato, nell'ordine: una E, una M,
una R e una D. Il sospetto che il prossimo calcolo sarebbe stato
una A, in modo da completare
correttamente la più nobile tra le parole sfinteriche, non lo faceva dormire la
notte.
Così, in quell'afoso inizio d'estate, il
famoso Spino se n'era sceso a Mongo, nella cui facoltà di medicina insegnava il
più bravo urologo della nazione. Così era stato acchiappato dalle manine di
Marja Kurwa: che aveva per lui (ma soprattutto per sé) concertato la Serata di
Gloria.
Leo, Teo e l’ombra del Capitano entrarono
nel Villino Katia. Teo non conosceva nessuno, ma Leo circolava tra i gruppetti
come fosse di casa.
E fu subito agguantato dalla cielovestita
chiffon, che gorgheggiò rapita (parlando, com'era sua abitudine, con grande
dispendio di maiuscole): "Bravo, Leo! Sei Venuto! Che Gran Serata! E Chi è
il Tuo Giovane Amico?"
(Giovane Amico, poi!, pensò Teo. Che
donna sgradevole...)
"Signora, sono Teo Marlo" disse
coraggiosamente.
"Aaah... Così Esistenzialista Questa
Sua Maglia Nera... Carino... Bene, Miei Cari, Ci Vediamo Poi.."
Si allontanò svolazzando, perché aveva
visto entrare un critico.
Leo presentò Marlo a diversi poeti. Quasi
nessuno aveva ancora pubblicato, ma si vedevano ogni mercoledì per leggersi
l'un l'altro le proprie cose. Simpatici, pensò Teo. Bisogna che ci vada anch'io
qualche volta. Ah, pensò, infine la mia vita sociale si allarga nella giusta
direzione...
Finalmente, i gruppi si zittirono, gli
sguardi fissi all'ingresso. L'intera sala acquisì l'immobilità dei grandi
eventi. Solo la volitante si produceva in sgangherate mosse a metà tra
l'inchino e il deliquio nell'accogliere sulla soglia il grande Olo, che saliva
con visibile affanno i tre gradini.
Olo Spino era un orso. Camminava col
passo goffo di chi usa le gambe solo per rannicchiarle sotto lo scrittoio, al
più per stenderle su di un poggiapiedi. Ronfava, grugniva distintamente, mentre
spediva una coscia avanti all'altra. Sembrava corrucciato, mentre biascicava un
distante "buonasera signora" agli sdilinquimenti commossi della
Kurwa.
Curva la vasta schiena, senza guardarsi
attorno, raggiunse il tavolo della conferenza, mentre i presenti applaudivano
raggianti.
Prese posto tra il signor Perel, il
vicesindaco, giovanotto calvo, giallo e frusto, e il professore di Letteratura
Moderna e Contemporanea dell'Università cittadina (tale Mel Yog, uomo sempre
sospeso, come la stessa sostanza tronca del nome connota, sull'orlo di grandi
sintesi filologiche, sul bordo di matrimoni o separazioni, sul filo di una
presa di coscienza definitiva...). Nell'ultima sedia di sinistra si accomodò
l'abito di chiffon cielo, gualcendosi e agitandosi.
Toccava a lei presentare la serata, alla
Kurwa, che non riuscì ad esimersi dal leggere un suo poema dedicato al Maestro.
Ve lo risparmio. La lettura durò
infatti, nella costernazione generale, ventitre minuti, che non sono pochi.
Teo, che s’era appoggiato alla parete di
fondo, vicino all'amico Personne, era esterrefatto. Durante l'eterna lettura,
aveva guardato ogni tanto di sbieco il suo compagno per capire come doveva
regolarsi (in quel fiume di endecasillabi si sperdeva, gli pareva robaccia, ma
non si sa mai...). Aveva visto la faccia di Leo incupirsi, infuriarsi.
"Ma, insomma, basta!" sentiva
sussurrare intorno dagli aspiranti poeti, dalle eleganti signore cui non era
stato presentato.
"Mi vergogno per lei..."
"E' imbarazzante..."
"Guarda: il grande Olo
dorme..."
In effetti, al tavolo (mentre Yog si
teneva la testa tra le mani e il vicesindaco non osava neppure alzare gli
occhi), Olo Spino ronfava, reclinata di sbieco la possanza.
Guardandosi attorno, Teo intercettò lo
sguardo di una donna bionda seduta su di una sedia d'angolo. Occhi verdi, non
ambra. Eppure... tutto gli ricordava il suo bel frutto notturno, la Bella
Addormentata nel bosco dei suoi sogni. Si sentì imbarazzato: quella lì non era
onirica, era una signora vera...
Ah, la voleva conoscere! Ora, subito,
questa sera stessa!
Dalla tasca protendendosi, anche Giona
l’aveva riconosciuta..
Al tavolo di proscenio, intanto, la
giuliva Kurwa dava la parola al signor Perel, che, a testa bassa, con voce
stridula, utilizzando il minimo indispensabile di fonemi, diede il benvenuto
ufficiale della città al grande scrittore.
Toccava poi al professor Yog, che si era
preparato una disquisizione sull'ultimo romanzo dell'ospite andando a scomodare
Chomsky, Foucault, Walter Benjamin e il saggio sull'afasia di Jakobson,
istituendo una non sorprendente serie di accostamenti analogici con la
Melancholia düreriana. Ma siccome il grande Olo continuava a dormire e il
pubblico seguiva solo il suo russare ursino, il professor Yog vinse
l’indecisione, rinunciò a leggere il contributo, e si diede da fare con Spino.
Gli scosse le spalle, gli schiaffeggiò le mani, gli sibilò segreti
nell'orecchio.
"La miseria, porca Eva!"
rantolò il grande tornando alla coscienza: "Che fottutissimo caldo!".
E si svegliò.
Sbirciò cisposo, gli occhi socchiusi alle
luminarie, il materiale umano che si trovava di fronte: i volti scimuniti, gli
occhi basiti, i visi appesi, tutti stupidi del medesimo stupor. Tutti, in
quell'attimo perfetto, identicamente idioti.
"Ah! Sì, bene bene bene. La conferenza
nell’inclita città di Mongo..." tuonò schiarendosi la voce: "Potremmo
tenere, eh, professore?, un'utile lezioncina sulla necessità del sonno: dei
sogni, dico, per lo scrittore affermato..."
Lo sbigottito silenzio non si allentò di
un filo.
Nel vuoto dal fondo della sala giunse il
suono di una risata divertita.
(Teo guardò, ma già lo sapeva: era la sua
Signora! La voce aveva lo stesso timbro dello sguardo.)
"Infine!" gorgogliò l'Olo
Magno: "Infine! Allora, in questo nobile consesso, almeno una persona
sveglia c'è! Una bella signora, vedo... Era una battuta, cari miei, potete
rilassarvi, solo una battutina!".
Bastò questo, e l'ilarità si diffuse per
la sala. Marja Kurwa scompisciossi sul tavolo, il vicesindaco sorrise pallido.
Persino il vescovo, in prima fila, tirò fuori una cupa risata da basso.
"Ok, cari signori e gentili signore!
Può bastare!" comandò Spino, che stava assumendo l'aria del domatore:
"Avete dato sufficiente prova delle vostre facoltà! Esimio Professore, mi
può fare un riassuntino del suo contributo? Come avrà visto, ah ah, ero
impegnato altrove..."
Obbediente, Mel Yog tirò fuori i fogli, e
si affannò a fare un'infelice sintesi di quanto non aveva detto.
Ma dopo tre frasi Spino era già crollato
nel sogno della propria assenza. E il pubblico, sempre servo, solo il ritmo dei
suoi ronfi seguiva, ignorando le acrobazie comparative del professor Yog.
Teo, stufo della manfrina, cercò
l'incontro con Quegli Occhi. Ma la sedia nell'angolo era vuota.
Oddio, se n'è andata!
D'improvviso, si sentì svuotato, gli
parve che il fiato gli si fosse fermato in gola e lo soffocasse.
Senza salutare Leo, strisciò verso la
porta, mentre Giona spingeva.
(10 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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