Nelle puntate precedenti: Non è solo prodigiosamente uscito dalle pagine del romanzo di cui è protagonista, il Capitano Giona Missing. Si è pure innamorato.
Franca Rovigatti
MIRACOLI
Quando Sommaire si svegliò, anche il Capitano si trovò catapultato fuori dal sogno.
Era colmo d’amore per Sommaire. Tutto. Dalla testa ai piedi.
"Tesoro" rise Sommaire: "ce l'hai ancora su, guarda!"
Il Capitano guardò, e vide che il pene non solo stava, com'era stato giustamente notato, eretto, ma era pure, come posso dirvelo?,
DIVENTATO VERO.
Sommaire non poteva accorgersene, perché fin dall'inizio aveva visto il corpo dell’amato come fosse di carne e sangue. Ma Giona, sì: Giona poteva valutare. In quegli scarsi cinque giorni di vita aveva appreso a distinguere tra il proprio effimero sembiante e la sostanza del corpo degli uomini, che contiene arterie, vene, vasi linfatici, ghiandole, intestini. In quel dentro, a ben guardare, non c'è un buchino d'aria neanche a pagarlo oro.
Sull’aerea immaterialità del Capitano, ora, si appendeva un’appendice di carne, muscoli, nervi e sangue. Eretta.
Ah!, pensò Giona: sono un fantasma trasparente, aria pura, ma il cazzo è materiale, fuori, ben visibile, che galleggia in aria solo soletto a circa un metro e cinque dal suolo...
Comunque (pensò guardandoselo) non è neanche venuto male, è un bell'arnese, ben formato, color ambra... No, davvero, non è brutto...
E se fosse... No, non è possibile: una cosa così non s'è mai vista...
Ma se questo fosse solo l'inizio di una ricostruzione del mai esistito corpo? Prodotta dall'amore? E se i prossimi meravigliosi coiti (il cuore gli si riscalda al solo pensiero) generassero, che so, una mano, un piede, il naso, gli occhi?...
Erano le tredici, e la sveglia di Teo lo strillò a tutti.
Teo cadde dal letto. Si ricordò immediatamente cosa c’era da fare.
"Capitano!" urlò allegro dal bagno mentre si lavava la faccia: "Giona! Sei pronto? Andiamo a scrivere il nostro capolavoro! Sarà ben ora di cominciare, no?”
"Io avrei fame, Teo" disse Sommaire: "Sono ventiquattr'ore che non tocchiamo cibo... Non so voi, voi forse campate d'aria... Scusatemi, ma io ho le mie necessità..."
"Sommaire!" esclamò Teo, uscendo dal bagno bello allegro: "Come sempre hai perfettamente ragione! Sapete che vi dico? Che ce ne andiamo tutti e tre al ristorante! A festeggiare! Per quanto... sì, Sommaire, puoi dirlo, il Capitano campa d'aria!".
Nel così dire, si girò e vide il pene galleggiare solo soletto a circa un metro e cinque dal linoleum della cucina.
"Misericordia!" sbottò: "E questo ora di chi è? Tuo, Giona?..."
Evidentemente... Di Sommaire certo non è... Anche se in qualche modo si potrebbe dire che è suo, tutto e solo suo, per sempre...
E Giona spiegò cose difficili da spiegare, che lui stesso non capiva. Avanzò timidamente l’ipotesi che fosse stato l’amore ad aver dato corpo -letteralmente- all’immaterialità. Che forse, in futuro...
Teo lo ascoltava stupefatto.
"Può essere, Giona." Disse: "Sarà così! Grazie all'amore, potrai essere un uomo vero, in carne e ossa. Ti si formerà il corpo pezzo per pezzo, come un puzzle! E quando sarai tutto intero, potremo firmare i nostri libri insieme! E vivremo nella stessa casa: tu, io e Sommaire... Non temere, tranquillo, la mia storia con lei è finita da tanto... Sono felice che voi due vi amiate! Ehi, Sommaire, che ne dici? Potremmo mettere su casa assieme..."
Sommaire moriva di fame. Disse: "D'accordo, ok, è una magnifica idea. Ma adesso, non potremmo andare a mangiare, come s'era detto?"
Giona mormorò:
Se volete che venga anch'io, sarà il caso che mi copriate in qualche modo l’imbarazzo del cazzo...
"Oddio Giona!" disse Teo: "Hai ragione! Pensa un po' che succede se ce ne andiamo in giro preceduti da un uccello semovente!... Lo puoi staccare?"
Ora provo.
Aaah!... No, direi che è meglio lasciar perdere… Fa un male cane!
"Ma cosa?" chiese Sommaire, che si sforzava di capire: "L’uccello del Capitano? E' semplice, ragazzi, basta incartarlo come un bel pacco dono, e poi io mi ci attacco. Come dire, invece di prendere Giona per mano, lo prendo per il cazzo. Così, se il Capitano è invisibile e solo l’uccello si vede (cosa che mi sembra ridicola… ma se voi proprio ci tenete, posso anche crederci...), sembrerà ch'io porti in mano un qualsiasi pacchetto..."
"Geniale!" esclamò Teo: "Questa donna è un genio!".
Il pene fu avvolto dalle amorose mani di Sommaire in più strati di rossa carta velina con su stampate campanelle d'oro. Fu legato con un nastro iridescente.
Durante l'intera operazione Giona soffrì le pene dell'inferno, temendo che Teo vedesse quello che le dita di Sommaire già sapevano. Il pacco cresceva a vista d’occhio. Ancora una bella erezione. Si sarebbe fatto la sua donna là per là, nell'angolo dell'ingresso...
TEO SCRIVE
Per fortuna, le tovaglie del ristorante Il Lieto Pescatore (che, contrariamente ad ogni aspettativa, non serviva pesce) arrivavano a terra. Così il pacchetto, poggiato dalle mani di Sommaire sulla sedia accanto alla sua, fu coperto dalla tela a quadretti bianchi e rossi.
Teo e Sommaire ordinarono polpette al pomodoro, insalata di riso e due gigantesche fette di anguria. Mentre li osservava, il Capitano sentì, per la prima volta nella sua vita, una sorta di commozione, come un languore. Forse, pensò, è così quando uno ha fame...
Risalirono a casa. Sommaire e il Capitano si buttarono dentro il lettone al quale Teo aveva voluto cambiare le lenzuola. Nuove, inamidate, che crepitavano ad ogni movimento.
Fuori dai confini protettivi del sogno, nella realtà della stanza accaldata, Giona e Sommaire si guardarono a lungo. Eternamente. Senza parlare, senza quasi respirare. Su quel letto, fissandosi negli occhi all'infinito, strinsero il patto di affidarsi per sempre l'uno all'altro, di aiutarsi e perdonarsi. Per sempre, amore, per sempre...
Quando furono diventati puro fuoco, da soli i corpi mossero uno incontro all'altro. L'unica parte non immateriale di Giona entrò nel dischiudersi di Sommaire. La toccò nel profondo, lassù in cima, dove termina la vagina e in segreto s'affaccia il fiore. Flos solitario, che aspetta anni e secoli per schiudersi.
Languendo in ogni immaginaria fibra, Giona era lì, nella punta infuocata del suo arnese: che premeva, bussava. Veniva da lontano, era di carne, chiedeva di nascere. Di generarsi là dentro, forzando il fiore alla parola.
E il fiore immobile, l'assediato, rispose alla pressione, concesse, gradì, di essere svegliato. Si aprì. Era morbido e potente. Bagnato e caldo.
Sommaire vibrava, parlava, cantava. Ogni parola dell’afasica splendeva. Diamante, rubino rosso sangue. Si ammucchiavano sul letto, le parole, si ammonticchiavano brillando a terra
L'orgasmo arrivò potente, lentamente. Così profondo da non poter che generare.
Generò.
Le inesistenti mani di Giona ora possedevano due begli indici. Regolari, sinistro e destro, con i quali accarezzava le membra tremanti dell'amata. Dita di carne, con unghie, nocche, con pori e pelle. E piccoli peli schiariti dal sole dell'oceano.
Intanto Teo si era chiuso nello studio. A testa bassa sul romanzo. Da solo. Perché, ormai gli era chiaro, il Capitano ben altro aveva altro da fare che scrivere con lui. Il Capitano non aveva più bisogno di parole, ora, beato lui!, faceva l’amore. Ed era Teo, Teo da solo, che doveva pensare a se stesso.
Attaccò i capitoli da riscrivere, a cominciare dal quinto. Dove il manoscritto era stato lasciato (solo il giorno prima!, ma sembrano passati secoli, Teo! Tutto è cambiato, la tua anima è un’altra, non lo vedi?!).
Quinto capitolo: che era quello, ricordate?, della Good Luck in partenza per l’estremo sud.
Leggeva, rileggeva le sue paginette, Teo, sbuffava. Impossibile. Come si fa a cavar sangue dalle rape? Rape, nient’altro che rape essendo le parole infilate una dietro l'altra sulla carta. Testa di rapa essendo lui in persona, Teo Marlo!
Rapa zuccherina... Teo succhiava la cannuccia della penna, che gli sembrò dolce. E il docile pennino cominciò a scrivere.
‘Fin dal primo momento, un forte odore di zucchero bruciato accompagnò misterioso la navigazione. Giorno e notte. Un odore che il Capitano non aveva mai sentito, e che dopo, per molti anni ancora, avrebbe associato a quel viaggio, alla Good Luck, Buona Fortuna coraggiosa che rolla su rotte infide spargendo ovunque, a gabbiani e delfini, al salso delle onde, il dolce odore bruciaticcio di un legno infinitamente zuccherino...’
Sì: cominciò così, dalle rape, la riscrittura di Teo.
Da tale dolcissimo inizio lasciandosi portare, ogni tanto (ma appena appena) raddrizzando il timone su una rotta che neanche conosceva, Teo Marlo scrisse in modo totalmente nuovo, in un modo che neppure credeva fosse possibile.
Viaggiava in un mare densamente popolato di parole.
Pelago infestato di mostri, di Meduse: si rischiava la morte per impietramento.
Mare popolato da sirene, voci colme di ingannevole incanto.
Ma c’erano i porti, i nidi, che davano riparo, inducendo alla sosta.
Certe parole erano venti turbinosi, correnti infide, che portavano via, creando vortici, mulinelli, maelstrom...
Teo, scrivendo come un matto, vi passava in mezzo. Incantato, atterrito, stupito. Scrivere, scoprì, era una grande avventura: più grande persino (oddio, ma questa è una bestemmia!) che vivere...
Passavano parole come bauli di vecchio marinaio, stipate di ricordi e di rimpianti. Si affacciavano all'orizzonte parole ingombranti come balene con la pancia piena di viaggiatori.
Parole-delfino, parole-gabbiano, parole-plancton...
E cieche parole-talpa, quiete parole-casa, astute parole-volpe, fedeli parole-cane.
Parole agili come gatti, altrettanto fuggitive, altrettanto indecifrabili...
(Parole inconsuntili. Che da secoli, millenni, contengono l’origine, le radici pronunciate nei lontanissimi tempi, quelli delle migrazioni dai monti del Caucaso, dalle valli del Tigri, giù giù per i fiumi, i mari e le pianure d’India e d’Europa ancora innominate. Parole che, dentro la loro permanenza e mutazione, dentro le filiazioni e strati, contengono tutta la storia che s'è agitata sulla verde, riarsa e nevosa terra di dio da questa parte del mondo...)
Quelle parole, quelle sante e immortali, guidarono Teo. Lo spersero, lo spinsero, trattennero, chiamarono. Il mondo si aprì davvero infinito nell'immensità delle parole scritte dalla sua mano.
Teo era come ebbro. Non sapeva cosa stesse scrivendo. Come. Quanto tempo passava.
Non riusciva a staccare le dita (neppure tentava) dal flusso che la sua penna s'affannava a seguire.
Trascorsero in realtà poco meno di due ore.
Poi squillò il telefono. Teo dapprima neppure se ne accorse. Il telefono insisteva. Teo si scosse. Alzò la cornetta.
"Marlo." Alitò: "Chi parla?"
"Sono Alice Molly Coniglio!" rise la voce: "Si ricorda di me, Teo Marlo?".
(23 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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