Nelle puntate precedenti: Uno scrittore di infima categoria (Teo Marlo), il protagonista dei suoi romanzi (il Capitano Giona Missing), una donna innamorata (l'esangue Sommaire) alle prese con un Orco.
Franca Rovigatti
I SEGRETI DI OROFINO
Orofino era zoppo: la
gamba sinistra, arcuata, era assai più corta della destra, e montava
uno stivaletto con vertiginosa zeppa. Traballava. Ad ogni passo
sembrava sull'orlo di una caduta.
Prima di varcare l'uscio,
il dottore si voltò e, fissando Giulietto, disse: "Quanto a te,
vergogna della tua specie, Punizione Numero Sei!".
"Oh, Padrone,
pietà!" Tremolò quello: "Giuro, Eccellenzia, sarò
vigile, non farò entrare più nessuno... Ma la Sei, no! Favorite il
vostro servo!".
"Preferisci la
Numero Quattro?" Disse soave il primario: "Se vuoi, ti
prescrivo la Quattro. Basta dirlo."
"No, Padrone, no."
Rispose il servo: "Va bene come avete detto Voi: la Sei. Va bene
la Sei".
"Noi invece, mio
caro," sibilò l'Orco levando gli occhi su Teo: "ora ce ne
andiamo in giro per le classi. Questa è una Scuola, non lo se lo
scordi! E vedrà che Scuola!...".
Lo prese sottobraccio, un
po’ appoggiandosi, un po' tirando (nella mente di Teo stornellò
allarmato il vecchio detto "chi va con lo zoppo...”).
Giunti davanti a una
porticina nera, Orofino estrasse dalla tasca una chiave e aprì. Una
violenta luce accecava.
E quello era l’inferno.
Un lungo corridoio, dietro le sbarre decine di minuscole celle su
più livelli, o piani, come i loculi multipiano dei cimiteri
cittadini. Non celle, buchi. Dove gemevano le povere anime dei matti.
Gemito corale, quello che
aveva sentito prima ancora d’entrare Teo, anime galline. Ma qui era
mille volte peggio. Nel nastro di voce sempre uguale a se stessa
risuonava un dolore insostenibile. Il suono di ogni sconfitta, di
ogni diritto calpestato, di ogni corpo martoriato, di ogni pensiero
assassinato. Non ce la faccio, pensò Teo, impazzisco anch’io.
Da quel suono saliva un
puzzo, che giungeva a folate, denso, quasi solido. Odore putrido,
sfatto, in cui al sentore della morte si mescolava il lezzo di cibo
rancido, il ristagno d'orina e delle feci.
Teo non sapeva se turarsi
il naso o tapparsi le orecchie, annaspava con le inutili mani
nell’aria densa e abbacinante.
"Ah ah ah,"
ghignò Barbablù: "la sua anima bella è un poco scossa?...
Questa, amico mio, è la Classe Deliri. I più bastardi, testardi tra
i miei pazienti. I più, ah ah, impazienti! Quelli che non rinunciano
alle loro fantasie... Qui, caro Marlo, o imparano a comportarsi come
si deve: a obbedire, a essere gentili, ordinati, per bene, o ci
lasciano le penne, garantito!... E gli tocca una buona razione
giornaliera di scudiscio, me ne occupo io personalmente. Così
controllo anche se migliorano... Ah ah ah...".
Il dottore procedeva
lungo il corridoio.
"Questo qua,"
disse indicando con una pertica una larvuzza d'uomo (che trasalì,
incassò ancora di più la testa tra le scheletriche spalle,
socchiuse gli occhi: era solo più ossa e pelle, tremito, bocca
bavosa e lacrime): "questo è uno schizo-paranoide. Ululava i
suoi deliri per le vie e le piazze. Farneticava di fine del mondo,
contatti estatici con popoli di altre galassie, diceva d'essere
illuminato dalla luce di dio... Prometteva le fiamme dell'inferno ai
bravi commercianti e albergatori della sua città. 'Peccatori
dannati', li chiamava... Ora vede, Marlo, come è calmo? Niente più
deliri. Sta nella sua bella celletta, buono buono, da più di tre
anni. Se non muore prima, ho intenzione di mandarlo a catturare le
mosche e pulire i cessi, con i catatonici."
"Dove li tiene i
catatonici? Qui?” chiese Teo con un filo di voce.
"No, caro, i
catatonici hanno altri problemi… Sono accidiosi, quelli,
fannulloni. Se ne starebbero a pancia all’aria tutto il giorno! Ci
andremo poi... Ma ora non si perda questa donna, la ventiquattro.
Tutta la vita casa e chiesa, una zitella timorata. Poi, una notte ha
perso, come direbbe lei, i venerdì. Si è messa nuda sul Corso.
Esibiva le mammelle cadenti, il pelo grigio della vulva, si dimenava
eccitata. Ululava oscenità. Una vergogna. La vede, ora? Tiene ben
chiusa la divisa. Da anni non dice una parola... Si può ben dire che
sia guarita."
La vecchia stava
immobile, stretta alle sbarre come se quel ferro fosse corpo del suo
morto corpo: pieno di lividure e tagli.
"E questi sono gli
irriducibili. Con loro, non ci sono punizioni che tengano. Delirio
duro, non si arrendono..."
Nelle celle corpi ebeti
urtavano alle pareti, alle inferriate. Mossi da puro dolore, senza
alcun calcolo, sbatacchiavano qua e là. Si ferivano, crollavano giù,
rialzavano.
"Vogliamo,"
disse Teo, radunando le forze (prima che la voce, l’anima, gli
venisse meno) "vogliamo ora, dottore, visitare le altre classi?
Qui ho visto tutto. E sono davvero colpito, mi creda, dai mirabolanti
risultati..."
"Si è stancata,
l'anima bella? Non regge più? Troppo sensibile!": Orofino
ridacchiava. "Va bene, fifone, andiamo al Padiglione dei
Paranoici. Ne vedrà delle belle, caro mio! Per loro ho escogitato
una terapia davvero innovativa, che dà risultati straordinari!"
Mentre L'Orco richiudeva
a chiave la porta dell’inferno, mentre entravano in ascensore e
scendevano nei sotterranei, tra sé e sé Teo si malediceva. Chi
caspita me l'ha fatto fare di entrare in questa trappola? Ma cosa
pensavo di ottenere? Notizie? E a che pro? Ammesso poi che Serafino,
qui, mi lasci uscire... Figuriamoci, dopo che mi ha svelato i suoi
segreti! Questo pazzo mi interna, garantito... Ah, mio dio, proprio
adesso che stavo imparando a vivere, ora che potevo finalmente
scrivere dei capolavori con il mio Capitano… Ci fosse almeno lui,
qui con me...
Mi hai chiamato,
Padrone amatissimo?
Benedetto! (pensò Teo
rivolgendosi alla sua creatura) Amico mio! Sei qui! Ma... e Sommaire?
L'hai lasciata sola? Non dovevi farle compagnia?
No, io sono anche qui
con lei! Sommaire adesso, stesa qui sul muretto, sta sognando di
viaggiare con me su una goletta lungo le coste della Turchia...
Teo, hai capito?!
Ubiquità!! Un attimo fa ero soltanto con lei, poi ti ho sentito che
pensavi: “Ci fosse almeno lui, qui con me...", e ZAC!, in men
che non si dica, chiamato dal tuo desiderio, mi sono trovato anche
qui, nell'ascensore. Sono insieme di qua e di là... Ubiquo!
Ma perché mi hai
chiamato, Teo? C'è qualche problema con questo zoppo?
Questo zoppo (gli rispose
la mente di Teo) è il diavolo in persona. Pratica l'assassinio, la
tortura... Questo luogo è l'inferno. Temo che non voglia farmi più
uscire... Capitano, devi aiutarmi, dobbiamo trovare il modo di
fuggire...
"Che mugina e
rimugina lo scrittore?" chiese l’Orco.
"Niente, ah, niente,
dottore. Stavo pensando ai miei capitoli. A come sistemare le scene,
i personaggi..."
"Non si preoccupi!
Vedrà che ne avrà, di tempo, ah ah ah… Ne avrà fin troppo..."
Lui mi sente, Teo.
Certo non sente la mia voce, per fortuna, ma credo che percepisca la
mia presenza. Lo disturbo. E' un tipo pericoloso...
"Allora, signor
Marlo, sto parlando con lei, mi ascolta? L’ascensore è al piano!
Mi vuole dare il braccio, vogliamo andare? Questo è il Padiglione
dei Paranoici: prego!"
Il padiglione era una
grande stanza circolare, il pavimento inclinato in discesa verso il
centro. Lungo i bordi stavano, una accanto all’altra, forse cento
cabine di vetro. Dentro ognuna, ben visibile da qualsiasi parte si
guardasse, un paziente. I paranoici parlavano tutti insieme, si
sbracciavano. Si udiva un coro afono e irabondo, un bisbigliare
furioso, impotente.
"Vede che pensata
geniale?! Lo sa, vero, che i paranoici si sentono sempre osservati?
Ebbene, io li ficco in strutture trasparenti, in cui sono comunque
ben visibili! Rendo reale la paranoia! Insomma, Marlo, qui, da noi,
la realtà collima. I paranoici non hanno deliri. Qui è tutto vero,
tutto quanto verissimo!"
"E questa"
sbottò Teo: "lei me la chiama guarigione?"
"Ma chi le ha detto,
sciocco," la voce del dottore suonò indicibilmente malvagia:
"chi glielo ha detto che io perseguo la guarigione? Questo è
terreno di sperimentazione, piuttosto. Di ricerca scientifica. Qui ci
interessa verificare cosa accade se i deliri vengono accolti e
confermati. Ci rifletta un po': cosa fa uno psichiatra comune, un
bravo medico animato da buoni sentimenti, se un malato gli confida
che tutti ce l’hanno con lui? Il dottore si sforza, fa appello a
buonsenso e ragione per convincere il paziente che sono solo
fantasie. Che, anzi, la gente gli vuole tanto bene (il che, tra
parentesi, è falso: nessuno ama i paranoici, i loro meccanismi
psichici sono davvero troppo faticosi. Anzi, un paranoico è sfuggito
come la peste, e lui lo sa bene!). Se il paziente, come quasi sempre
accade, non si fa convincere (e magari pensa che anche il dottore
faccia parte dell'universale complotto), lo psichiatra gli propina
dei calmanti: che annacquano i deliri, ma tolgono ogni sapore alla
vita... Bene, noi qui facciamo esattamente il contrario. Non solo
confermo al malato che le sue fantasie persecutorie sono sacrosante,
ma gliene suggerisco di nuove. Gliele confeziono e propino, come un
farmaco. Che so, gli dico che il paranoico della cabina vicino lo
guarda male, che quello di fronte lo detesta, lo prende in giro, lo
vuole uccidere. Tocco geniale è farli vivere tutti insieme in questo
che talvolta chiamo il Circolo Vizioso. Dove ognuno è chiamato ad
essere giudice e reo, in cui tutti controllano tutti. Durante il
giorno se ne stanno chiusi a chiave nei loro alloggetti di vetro, e
solo di notte, quando hanno accumulato ogni possibile sospetto,
quando sono carichi come polveriere, faccio spalancare le porte.
Allora, mi creda, è davvero un bello spettacolo! La furia straripa,
la paura, la rabbia esplodono. Si massacrano. Abbiamo avuto anche
sessantuno morti, tre mesi fa! Così liberiamo i parenti (che
piangono, ma in realtà sono assai sollevati) e alleggeriamo il
sociale di vite che, tutto sommato, altro non sono che un ingombro.
Inoltre, i malati vivono la degenza qui da noi come una liberazione
del loro immaginario. Come fosco tempo di gloria e di vendetta..."
"E ai parenti glielo
dice" boccheggiò Teo: "che li lascia dilaniarsi come galli
da combattimento? Sono assai sollevati anche di questo?"
"Ma no, sciocco. I
paranoici muoiono per arresto cardiaco... La verità... Tutti al
mondo si muore perché il cuore smette di battere, no? Arresto
cardiaco... Questa è la versione ufficiale. Di volta in volta la
condiamo con un po’ di insufficienza coronarica, un aneurisma, un
cancro galoppante... Perché e come il cuore abbia smesso di battere,
ai parenti mica glielo diciamo. L'esperimento è segretissimo, mio
caro!"
(15 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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