Di Vittorio Imbriani, narratore e critico napoletano dell'Ottocento, grandissimo conoscitore e maneggiatore della lingua italiana, prima garibaldino e poi utopistico reazionario, precursore (secondo Gianfranco Contini) di Carlo Emilio Gadda, in Italia si parla oggi poco, a dispetto dei suoi molti meriti. Qualcuno, però, si ricorda di lui: pochi giorni fa, infatti, lo scrittore nigeriano-statunitense Teju Cole, storico dell'arte e autore dell'interessante non-romanzo Città aperta (Einaudi 2013), in un post intitolato Google's Macchia, dà a Imbriani quello che è di Imbriani e cita il suo pamphlet La quinta Promotrice, dove viene esposta una teoria del fare artistico che vede nella "macchia" la "prima manifestazione di un'impressione potente". Teoria di cui lo stesso Cole si serve per decodificare i meccanismi che in noi agiscono quando scattiamo fotografie o le cerchiamo su Google. Nella speranza che la notorietà del giovane scrittore nigeriano porti a nuove riletture di Imbriani, monteverdelegge cerca di fare la sua parte e inaugura questa piccola rubrica domenicale con l'incipit di uno dei testi più famosi dello scrittore napoletano. (mtc)
Vittorio Imbriani
C'era una volta un Re di Scaricabarili, vedovo e padre di figliuola unigenita, bella quanto il sole. E, dicendo bella quanto il sole, par che si dica quel più che può dirsi. La Rosmunda, ereda presunta del trono scaricabarilese, portava due grandi occhi bruni in fronte, che innamoravano; ed in capo una chioma lunga e folta tanto, che avrebbe potuto vestirsene. La voce di lei sembrava una musica, ammaliava. Sebbene andasse appena pe' sedici anni, le sue movenze eran tutta grazia e disinvoltura, non aveva il solito fare impacciato delle giovanette. Nè poteva rinvergarsi od immaginarsi la più colta ed assennata principessina in tutto l'universo mondo. E buona e caritatevole era: dovunque accadesse una sventura, si era sicuri di vederla giungere, recando consolazioni, distribuendo elemosine e sussidii e quelle parole di conforto, spesso più giovevoli di maggiori ajuti materiali, le quali sole hanno virtù di rasciugar le lacrime, di rasserenar gli animi. Figuriamoci come il popolo intero dovevano tener cara questa donna Rosmunda! Non si sarebbe trovato nel Regno uno, che le volesse male! I sudditi travedevano per lei. Ed ella, conscia di tanto amore, era tuttogiorno in giro senza compagnia, senza scorta, senza corteggio, senza seccature, certa di non incontrare se non reverenza ed ossequii.
Frattanto il padre s'apparecchiava a darle marito. - «Io mi son vecchio;» pensava Maestà. - «Più che vecchi non si campa: oggi o domani mi toccherà a tirar l'aiuolo. Una volta ch'io sia andato a rincalzar cavoli, che ne accadrà di questa ragazzaccia? Posso lasciare senza scrupolo il Regno ad una fanciulla inesperta? Quando regnan le donne, i sediziosi si accrescono degl'innamorati. La Rosmunda è savia: pur che la duri!...
E' possibile leggere e scaricare gratuitamente il seguito di Mastr'Impicca dal sito LiberLiber.
Nessun commento:
Posta un commento