Nelle puntate precedenti: per un caso fortuito e fortunato, il Capitano Giona Missing, eroe suo malgrado dei romanzi di Teo Marlo, scrittore di infima categoria, sfugge alle pagine dove è stato rinchiuso finora.
Franca Rovigatti
UNA NOTTE SPECIALE
Voglio morire... Ah, sì! Morire! Che vergogna! Meglio non essere mai nati, che avere una vita simile!... Meglio, mille volte meglio, non sapere nulla, essere come la Signorina Leyla, di coccio... Di cera e coccio!
Così si disperava l'onesto Capitano, torceva le immateriali mani, si strappava i capelli.
Schiavo di un padrone idiota! Che dico: creatura di un dio cretino!
Se solo sapessi come sopprimermi... Ma, nella mia condizione, è impossibile… Figurarsi, non riesco neppure a muovermi...
A meno che... Ma sì, sì!... Si potrebbe provare...
(A Giona era venuta un'idea formidabile, degna di un cervello avventuroso, ancorché neonato.)
Intanto il suo autore dorme e russa. I sogni, come sempre, sono sontuosi. Teo sogna d'essere insieme se stesso e il Capitano: che entra nel castello. Una voce fuori campo dice: "Questa è da sempre casa tua, Teo. Perché, Giona, ti sei allontanato?". Il cuore del sognante si allarga: luogo benedetto, casa finalmente! Di quelle stanze gli pare di riconoscere ogni angolo, ogni suppellettile e oggetto, ogni gradino. A un tratto si ricorda che, oltre quella porta, ci sono altri spazi. La apre. Ed ecco spalancarsi la loggia, il magico giardino, pieno di querce centenarie, lecci, cipressi, rose e mirto. Tra i tronchi si accucciano linde casette, abitate da gattini e cuccioli di cane.
Ecco! Sì! Questo è il Posto! Fermati, Attimo, sei Bello!
Il sogno è così dolce che Teo col cavolo che si sveglia. Fuori, la sera soffoca il rombo dell’afa, la luna si gonfia sopra Mongo, sale sul Basso, il quartiere periferico in cui, stretto tra gli altri, sta il casermone popolare dove, al quarto piano, dorme Marlo: dove continua a sognare, vagando per il giardino, fino a tarda mattina.
Ma questa notte, stiamo attenti, è ancora più speciale per il Capitano: 1) perché è la sua prima notte di vita nel mondo reale (è la prima volta, per esempio, che vede la luna, e non un fondale con su dipinta la luna); e soprattutto 2) perché può lavorare sull’idea che gli è venuta mentre si torturava sulla propria impossibilità di movimento. Muoversi no, aveva pensato, ma cancellare, quello sì che lo sapeva fare! lo aveva fatto! (era bastato fissare con concentrazione omicida la mano di Leyla, e le parole che gliel’avevano messa lì erano sbiadite fino a svanire...)
Bene, ha pensato: per uccidermi posso cancellarmi del tutto!
Ma allora, ha pensato il secondo dopo, se posso cancellarmi, forse posso anche correggermi...
Non era più strettamente necessario suicidarsi! Poteva riscrivere se stesso! Essere se stesso! Scriversi secondo ragione e verità! Cancellare l’oltraggio!
Detto fatto, attaccò dall'inizio, dai bassifondi di New York. Eliminò qua e là le frasi fatte che tanto piacevano al suo autore, le iperboli, gli avverbi.
Via via che ripuliva, nel cuore gli cresceva la speranza.
Presto, tuttavia, si trovò di fronte ad un ostacolo serio. C’erano punti dove non bastava cancellare, bisognava correggere. Riscrivere.
Quello sì che era un problema. Come si fa? Con le mani e con la penna, escluso… Del resto, prima mica aveva cancellato con la gomma...
Si mise sotto. Pensò i luoghi, le situazioni. Le immaginò viste da ogni angolo, a 360 gradi. Ci si infilò dentro, respirò quell’aria... E le nuove parole, scritte in inchiostro verde con la scrittura ordinata di Teo Marlo, comparvero sul foglio.
Diavolo!! Benone! Si va col vento in poppa!
Giona rilesse quanto aveva scritto.
Sì, oh sì!, quello era proprio lui! Si riconosceva. Tremava.
La notte era al colmo. La città tirava il fiato. Nessun rumore osava alzarsi. Nel silenzio, il ritmico educato russare di Teo Marlo saturava l'aria della cucina.
Il Capitano si rimise al lavoro come in un meraviglioso sogno. Viveva le storie, le scriveva, quello sulle pagine era proprio lui. Questa era, davvero poteva essere, la sua storia, la sua vita!
Completò il primo capitolo, si inoltrò nel secondo, lo finì.
L'aurora, Giona l’aveva vista alla finestra, s'era illividita per lasciare posto allo splendore bianco del mattino. Il sole riempiva ancora il mondo. Erano le nove. Poi, subito, le dieci. Tendendo l’orecchio, il Capitano si accorse che Teo Marlo quasi non russava più. Tra poco si sarebbe svegliato, tra poco la sua ebete scrittura lo avrebbe messo ancora nei pasticci. Ok, pensò, non è un problema.
Ora il Capitano era in possesso di strategie adeguate.
(4 - continua)
(4 - continua)
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.
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