Poche parole. Un invito a guardare questo mini videodoc pubblicato su corriere.it e a leggere l'articolo che lo accompagna. Racconta il grande sfregio alla civiltà (antica e moderna) del Mali, Paese dell'Africa Occidentale, tra i più pacifici, culla della cultura africana (tutta) in grande parte conservata nella leggendaria Timbuctu, sede del Centro Ahmed Baba, Istituzione nata nel 1973 per la salvaguardia e la collezione dei manoscritti antichi d’inestimabile valore culturale, la maggior parte risalenti al XIV-XV e XVI secolo, Patrimonio dell'Umanità dichiarato dall'Unesco. Il 26 gennaio scorso molti sono stati bruciati dalla furia dei mujahidin del nord del Mali. Tanti abitanti si sono prodigati per soccorrere tale patrimonio, che è parte della loro identità.
giovedì 30 maggio 2013
Ragazzi in fuga (dai libri)
A poche ore dall'avvio della Tribù dei lettori, in programma a Villa Borghese da oggi a domenica 2 giugno (con la partecipazione, quest'anno, di Monteverdelegge), proponiamo un articolo appena uscito sul Bo, il magazine online dell'università di Padova, e dedicato soprattutto alla situazione dell'editoria per l'infanzia. Ma i dati purtroppo non sono confortanti, a dimostrazione dell'importanza di tutte le iniziative che accostino bambini e ragazzi al piacere della lettura.
Cristina Gottardi
Come ogni anno, arriva puntuale da Nielsen l’analisi del mercato del libro in Italia, che fornisce le tendenze in atto nell’editoria italiana. Il contesto non è dei più favorevoli: il Global consumer confidence (che misura la fiducia dei consumatori on line considerando lo stato delle loro finanze personali e la loro propensione di spesa) registra una flessione del 7% in Italia rispetto al quadrimestre precedente, un dato comunque migliore del -9% della Francia e del -11% della Grecia, ma peggiore di altri paesi europei. Un contesto generale in cui il vecchio continente risulta in crisi di fiducia, mentre non sorprende trovare tra i paesi più positivi le economie emergenti di Cina, Brasile, Indonesia, Filippine, India, Malesia.
mercoledì 29 maggio 2013
Alice ritrovata
Giulia
Caminito
Spostando
il pannello bianco un po’ più in alto e il proiettore un po’ più
indietro si ha quasi l’impressione di un’istallazione degna del
Macro. Alice
Ceresa, in una foto datata e in bianco e nero, quando ancora aveva un
volto da fanciulla – dice chi l’ha studiata – appare sul
pannello, proiettata anche tra i libri, tutti donati, della bibliolibreria Plautilla. Appare lì, con la sua vita. Anzi, non solo.
Con il “vuoto di memoria”; il suo essersi ritirata dal mondo e
dalle cose, come quel famoso padre. L’aver fatto avvizzire i
vestiti e i ricordi, ma l’aver toccato le persone.
Sono
proprio le relazioni che vengono proiettate, grazie al documentario
di Rai Educational di Gianna Mazzini e Loredana Rotondo, a due metri da noi. La voce pacata del nipote, le
leggerissime pause commosse e celate della compagna, il tono
squillante di chi l’ha studiata, la nota calda delle amiche e
colleghe, la tenerezza romantica del fratello. Ognuno con un colore
diverso e un accento percepibile a orecchie tese.
Passaggi,
pulviscoli e difficoltà. La tenacia di una ragazza che non ha potuto
studiare Lettere perché osteggiata dal padre; i viaggi, che
all’inizio erano vere e proprie fughe, e poi i ritorni a casa
sempre e comunque; l’aver trovato a Roma, la città dove si può
essere liberi, quei “cigni bianchi” letterari, come lei, pronti
ad accoglierla; nuove case fatte solo di stanze vuote e una macchina
da scrivere.
Ex Press: quando i libri se ne vanno
M. T. C.
Sul "New York Times"" di qualche giorno fa Stanley Fish, docente di "humanities and law" alla Florida International University, editorialista del Nyt, autore di numerosi testi, uno dei quali, How To Write A Sentence, è dedicato all'arte e al piacere di comporre belle frasi, insomma una persona nella cui vita la parola scritta occupa uno spazio enorme, ha raccontato di avere dato via (venduto, per la precisione) la maggior parte dei suoi libri. Sono rimasti quelli che presumibilmente gli serviranno per completare il saggio che sta scrivendo e per avviare il successivo, ma al posto degli altri, quelli che hanno accompagnato la sua vita di uomo e di autore, da Milton a Shakespeare, da Donne a Hobbes, ci sono ora metri e metri di scaffali vuoti. Il motivo, come spesso succede in questi casi, è il trasloco in una casa più piccola, ma Fish non si nasconde che ci può essere altro. E constatando la sua (almeno attuale) assenza di reazione emotiva a questo distacco così significativo, si chiede se non sia il segno di una fine: "I dibattiti a cui ho preso parte per decenni sono andati in un'altra direzione (anzi,in diverse altre direzioni) e io non ho il tempo e, per essere onesti, l'energia intellettuale, per seguirli. Addio. Se la caveranno bene anche senza di me". Eppure il titolo dell'articolo di Fish è Moving On, "Andare avanti". Ma allora? Cosa vuol dire separarsi dai propri libri? E' un tema di cui a Plautilla ci capita di parlare spesso, dato che la nostra bibliolibreria gratuita basa la sua esistenza proprio su questo gesto che di volta in volta può essere doloroso o liberatorio (o le due cose insieme). Ci piacerebbe sapere cosa dicono i nostri donatori, e non solo loro.
lunedì 27 maggio 2013
Alice Ceresa, la lama della scrittura
Ti racconto un libro:
Alice Ceresa, La morte del padre (con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas)
et. al., pp. 76, euro 10
Laura Fortini
Alice Ceresa, La morte del padre (con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas)
et. al., pp. 76, euro 10
Laura Fortini
Con
la medesima precisione chirurgica de La
figlia prodiga,
1967, e di Bambine,
1990, Alice Ceresa ha affrontato in tempi sorprendentemente lontani
La
morte del padre,
cui ha dedicato nel 1978 un racconto lungo e meravigliosamente
perfetto oggi riproposto per le cure di Patrizia Zappa Mulas, che lo
accompagna con un partecipe ritratto della scrittrice (Alice Ceresa, La morte del padre con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas, et al, 76 pp., € 10), che identifica con precisione il posizionamento di Ceresa: scrivere poco
per scrivere l’essenziale (come la contemporanea, sua e nostra,
Cristina Campo); scrivere come forma di conoscenza, di dissezione
analitica di tessuti costitutivi un corpo, pubblico e privato,
sull’orlo dell’implosione simbolica (di cui le date della
pubblicazione delle tre opere a firma di Ceresa costituiscono spia
significativa, quasi preveggente di quanto accaduto nei decenni
successivi).
Ognuno
dei tre testi, di difficile nominazione (romanzi? saggi in forma di
narrazione?) per la voluta sottrazione ai generi della tradizione,
costituisce infatti l’anticipatrice messa a fuoco di questioni che
diverranno poi nodali nei tempi successivi, e che per molti versi
sono ancora irrisolte. La scrittura di Ceresa le disseziona con una
lama: quella di una scrittura del tutto e volutamente aliena e che
solo in virtù di questo riesce ad affrontare corpi simbolici in
corso di deflagrazione.
domenica 26 maggio 2013
Il mondo contemplato dal bordo di una piscina
Caroline
Lunoir, La mancanza di gusto, 66thand2nd, traduzione di Maurizia Balmelli e Elena Malanga, pp. 112, euro 12
Stella Sofri
Come
in un rito che si rinnova nel tempo, quattro generazioni di una
famiglia, i cui privilegi vengono da lontano, si danno appuntamento
in un castello nel sud della Francia per trascorrere insieme il tempo
della vacanza in un sottile equilibrio, una specie di interludio che
ha come tema, ad di là di ogni storia personale, la continuità
della genealogia e la l’appartenenza ad una élite sociale. Una
grande famiglia organizzata in modo gerarchico, dominata dalle
quattro sorelle della nonna della protagonista Mathilde, voce
narrante, e un nonno per il quale la giovane donna mostra
comprensione e simpatia.
La
custodia e la cura della casa è affidata a Rosana, donna energica,
capace di tenere a bada la molteplicità dei personaggi che si
affacciano periodicamente in quel luogo di intermittente letargo.
Rosana ha una sua famiglia, marito e figlio adolescente che compaiono
sullo sfondo della vicenda.
Bookshow: ma nei programmi sui libri, i libri dove sono?
Maria Teresa Carbone
Di
fronte a Bookshow, il nuovo programma in onda su Sky Arte HD, si
prova (a dir poco) imbarazzo. Non siamo forse d'accordo che tutto
quello che si fa per promuovere la lettura è bello e buono? e che
una nuova trasmissione televisiva sui libri è un avvenimento così raro da meritare solo lodi e applausi? Ebbene no, a malincuore, non siamo d'accordo. E come a suo tempo per la campagna
governativa Leggere è il cibo della mente - Passaparola (costata, si dice, due milioni di euro), i ventitré
minuti della prima puntata di Bookshow appaiono un'occasione
sprecata, a dispetto delle risorse evidentemente profuse
nell'impresa.
Due
parole per spiegare come funziona il programma: ogni volta c'è un attore-lettore o una attrice-lettrice (nella prima puntata Carolina Crescentini), che
guida gli spettatori in un percorso tra i suoi libri preferiti; c'è una
città, in questo caso una Roma che ha una pura funzione di décor (ehi, abbiamo l'alta definizione e non la sfruttiamo? via con Trinità dei Monti e Trastevere!); c'è una
serie di intermezzi di tono “leggero”, o addirittura comico; e c'è
infine una voce off maschile, presa di peso dalla pubblicità, che
emette sentenze del tipo: “Pasolini diceva che per diventare poeta
ci vuole una vita. Invece, per diventare lettori, basta un attimo”.
Ora.
al di là del fatto – non irrilevante in questa prima puntata –
che Carolina Crescentini, per dimostrare il proprio amore per la
lettura, emette rochi risolini, sbatte le ciglia e allunga le vocali
in quella che deve essere la sua parola preferita, “speciale”,
anzi “spesciaaale”, tanto che ci si chiede se la sua passione per
Open di Agassi o per i libri di Francesco Piccolo sia sincera,
dal momento che ha bisogno di tutta questa segnaletica facciale e
sonora, il problema sta proprio qui: che il programma sembra fatto
per rassicurare il pubblico che gli italiani anzi “i romani sono grandi lettori
perché metà di loro legge almeno un libro l'anno” (sorprendente
rovesciamento di una statistica spesso citata per mostrare quanto
scarsa sia, nel nostro paese, la pratica della lettura), che leggere è l'attività più facile del mondo e che i libri
non sono quei mattoni che vi hanno fatto studiare a scuola e vi siete
dimenticati (indovinate un po'? si parla dei Promessi sposi!),
ma cose che “si buttano giù come un bicchiere di birra” (la
frase, più o meno testuale, la dice, senza neanche arrossire, un
libraio).
sabato 25 maggio 2013
Rieti, la poesia a tre dimensioni
Da una degli organizzatori di Poesia 13, un resoconto delle tre giornate di incontri che si sono tenute a Rieti dal 17 al 19 maggio.
Francesca
Fiorletta
Rieti,
dal 17 al 19 maggio, s'è animata di poeti, critici e appassionati di
letteratura, che dal venerdì alla domenica hanno praticamente
abitato la sala San Giorgio della Biblioteca delle Officine
Fondazione Varrone, sita proprio nel bel centro storico della città.
Organizzata a cura del comitato ESCArgot, scrivere con lentezza,
Poesia 13, Cantiere aperto di ricerca letteraria è stata una
lunga e ricca occasione di scambio e di confronto tra e con gli
autori invitati a partecipare e i loro testi più recenti, molti dei
quali ancora inediti e quasi del tutto in fieri, a ribadire
ulteriormente la dimensione laboratoriale della manifestazione, che
si proponeva fin dall'inizio di scandagliare i “lavori in corso”
di alcuni fra i poeti più stimati e interessanti del nostro panorama
attuale.
Diciannove
autori, dunque, hanno avuto modo di condividere i loro testi,
proiettati su uno schermo
perché tutti li potessero leggere, e di dialogare ciascuno
inizialmente col proprio critico-”coach di riferimento”, e poi
con gli altri critici e/o spettatori presenti in sala.
venerdì 24 maggio 2013
Saffo, le acrobazie dell'amore totale
Patrizia Vincenzoni
In Fuochi di Marguerite Yourcenar, opera che racchiude una serie di
prose liriche, l'amore è l'elemento che percorre i testi, amore totale,
pervasivo che s'impone quasi fosse una malattia e allo stesso tempo,
una vocazione.
L'amore
non inteso come centro della vita, almeno non in modo continuo, ma
l'abisso o l'apice: questa alternanza di stati nei quali è possibile
percepire che la vita contiene anche una certa inconsistenza,
impalpabile quasi fosse un sogno.
Saffo
o il volo dell'acrobata, ispirato a Fuochi, con Manuela Kustermann,
regia di Massimo Verdastro, una produzione di TSI La Fabbrica
dell'Attore Teatro Vascello, in scena nei giorni scorsi al Vascello,
costituisce un significativo estratto di queste indicazioni
dell'autrice. Laddove le parole sono veicoli verbali caricati di
senso, quasi a concretizzare il sentimento, producendo
quell'espressionismo barocco che è il registro timbrico e sintattico
del testo originale, la scena presenta un'essenzialita e una laterale
trasparenza che aiutano il gioco delle sovrapposizioni temporali nelle
quali il personaggio Saffo si muove e racconta del bisogno di essere
aderente all'illusione dell'amore-idolatria dell'essere amato.
Pirati nel Mediterraneo
Barbarossa, corsaro e ammiraglio |
Ai banditi, antichi e moderni, è dedicata la nona edizione del festival èStoria, in programma a Gorizia da oggi a domenica 26 maggio. Anticipiamo qui uno stralcio dell'intervento dello storico britannico David Abulafia.
David Abulafia
È difficile dare una definizione precisa della pirateria. Spesso i mercanti sono stati accusati sia di comportarsi da pirati, sia di non essere più rispettabili di costoro, il cui coraggio poteva essere opposto alla mancanza di scrupoli degli uomini d’affari. Secondo Karl Marx la storia del commercio mediterraneo dimostrava che era iniziato come pirateria, ma ovviamente egli attribuiva una precisa connotazione morale a tutte le forme di attività economica. Inoltre è molto labile il confine fra la pirateria e la guerra di corsa, autorizzata da monarchi e città-stato che permettevano di compiere azioni piratesche contro i vascelli di nemici ben precisi, garantendo invece la sicurezza di quelli degli alleati. Le vittime potrebbero considerare il sequestro di beni da navi mercantili come vera e propria pirateria, mentre quanti compiono queste azioni potrebbero considerarlo un atto riparatorio, spesso conseguente a precedenti azioni da loro considerate piratesche. Colui che per alcuni è un pirata, per altri è un eroe del mare (si pensi a sir Francis Drake, il corsaro preferito di Elisabetta I, e alla sua straordinaria reputazione nella memoria collettiva britannica).
Si può cominciare con quanto si potrebbe definire una storia morale della pirateria, prendendo spunto proprio dalla regina Elisabetta. L’ammirazione per i pirati risale a molto tempo addietro. Omero li preferiva di gran lunga ai mercanti: disprezzava quelli fenici che ormai dominavano l’Egeo all’epoca in cui i greci stavano iniziando a insediarsi sulle coste ioniche (l’attuale costa della Turchia).
giovedì 23 maggio 2013
mvl Cinema, "Rughe" d'autore
”Questo è il mondo al contrario. Il tempo che c’è tra i pasti è tempo perso. Dormi o vegeti mentre guardi la televisione, e aspetti il prossimo pasto”.
Giulio Olesen
Il fumetto d’autore incontra ancora una volta il cinema con successo. Inaugurato per il grande pubblico da Valzer con Bashir, il connubio prosegue sulla scia di opere recenti come L’illusionista o La bottega dei suicidi, confermando la possibilità di produrre cartoni animati di qualità, capaci di affrontare argomenti intimi e delicati come un equilibrista su un filo tra il dolce e l’amaro. Da oggi in esclusiva al cinema Aquila è in programmazione Rughe (Arrugas), il lungometraggio animato tratto dal pluripremiato graphic novel omonimo del fumettista spagnolo Paco Roca. Il film, diretto da Ignacio Ferreras e animato dallo stesso Paco Roca, tratta in maniera affettuosa ma senza pietismo il tema dell’Alzheimer, con le scelte, la frustrazione, la relazione con il tempo e con gli affetti più cari che la malattia porta con sé. In equilibrio tra la drammaticità della condizione degli anziani e la leggerezza della narrazione, l’autore utilizza la dimensione della vecchiaia come una tela sulla quale dipingere, guidato dall’ironia e dalla metafora, i rapporti di forza umani all’interno di una sintesi della società: la casa di riposo in cui l’anziano protagonista, Emilio, viene lasciato dal figlio.
La capacità espressiva del film è giocata soprattutto su questi rapporti di forza che s’instaurano tra Emilio, con il suo sguardo pieno di frustrazione e rifiuto, e la compagnia con cui si ritrova a convivere, fatta di uomini e donne soli e intrappolati nella loro senilità ma anche tra tutti loro e il mondo esterno, fatto di ricordi e limiti invalicabili. La relazione con la malattia e la morte s’intreccia metaforicamente ai luoghi fisici, come il secondo piano della casa di riposo dove finiscono i malati non autosufficienti, e alla memoria, restituendo la terribile sensazione di non potersi fidare di sé stessi.
Roger Vercel, notti di "Tempesta"
Ti racconto un libro:
Roger Vercel, Tempesta, Nutrimenti, traduzione di Alice Volpi, pp. 240, euro 18
Maria Vayola
Tempesta del francese Roger Vercel è un romanzo del 1935 ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo quest’anno, con la traduzione di Alice Volpi, dalla casa editrice Nutrimenti nella collana Tusitala, curata da Filippo Tuena, interessante scrittore che più che raccontare storie sviscera il contenuto di accadimenti, vite, traendone spunti di riflessioni sulla vita e sulla scrittura in modo egregio e inconsueto. La sua uscita è dovuta proprio alla ricerca di Tuena di testi letterari che avessero come tema principale il mare e che lo ha portato a imbattersi in questo libro che ha una storia particolare legata a un episodio completamente avulso dal suo contenuto e contesto storico letterario.
Maria Vayola
Tempesta del francese Roger Vercel è un romanzo del 1935 ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo quest’anno, con la traduzione di Alice Volpi, dalla casa editrice Nutrimenti nella collana Tusitala, curata da Filippo Tuena, interessante scrittore che più che raccontare storie sviscera il contenuto di accadimenti, vite, traendone spunti di riflessioni sulla vita e sulla scrittura in modo egregio e inconsueto. La sua uscita è dovuta proprio alla ricerca di Tuena di testi letterari che avessero come tema principale il mare e che lo ha portato a imbattersi in questo libro che ha una storia particolare legata a un episodio completamente avulso dal suo contenuto e contesto storico letterario.
E’, infatti, il romanzo che Primo Levi leggerà nell’infermeria
del campo di concentramento di Auschwitz in attesa che arrivi l’Armata Rossa.
Tutti gli altri internati, circa ventimila, saranno fatti evacuare insieme alla
maggior parte dei tedeschi e
affronteranno una marcia nel gelo
dell’inverno che li ucciderà quasi tutti. Pochi rimangono nel lager, alcune SS lasciate a guardia del campo e
qualche deportato in cui alberga la
convinzione che i tedeschi li uccideranno prima dell’arrivo dei russi.
La notte prima
dell’evacuazione un medico del campo “uomo
colto, intelligente egoista e calcolatore” già vestito per la fuga, fa visita a
Levi e gli getta nella cuccetta, un
libro francese dicendo “Tieni, leggi, italiano. Me lo ridarai quando ci
rivedremo”. Un atto particolare, presumibilmente elaborato dal medico, che fa
pensare a un gesto in cui forse convivono, in maniera contraddittoria, pietà,
stima, sarcasmo e disprezzo e che, forse, sottintende la consapevolezza della
propria e dell’altrui morte, come atto finale di una delle vicende più orribili
e terrificanti del secolo scorso e che
Primo Levi, a distanza di anni, commenterà così “Ancora oggi lo odio per questa
sua frase. Sapeva che noi eravamo condannati”.
Ed è proprio da
questo fatto, più che altro, che
scaturisce l’interesse per il libro di Vercel,
Levi ne parla nell’ultimo capitolo di Se questo è un uomo, assurdo terminale episodio di quell’assurdità più vasta che è stato
l’olocausto, e poi, svelandocene titolo
e autore nell’antologia La ricerca delle
radici, affermerà: ” Di Roger Vercel
ignoro tutto, perfino se è vivo o morto, ma sarei contento se fosse vivo
e sano e continuasse a scrivere, perché mi piace il suo scrivere e mi
piacerebbe scrivere come lui, e avere da raccontare le cose che lui racconta”.
Il romanzo, ambientato in Bretagna, narra uno spaccato
significativo della vita del Capitano Renaud , comandante del rimorchiatore da
salvataggio Ciclone che, in una notte di furiosa tempesta, risponde alla
richiesta di soccorso di un cargo greco, l’Alexandros.
Libri senza parole: Destinazione Lampedusa
Della Passarelli
Quando Deborah Soria mi ha parlato del progetto Ibby per far nascere una biblioteca nell’isola di Lampedusa ho accolto con entusiasmo la proposta di parteciparvi. Raccogliere Libri Senza Parole, grazie alle sedi Ibby di tutto il mondo, per costituire la prima Biblioteca per ragazzi a Lampedusa,mi è sembrata un’idea geniale. Sono socia Ibby da diversi anni e sono convinta che il compito di quest’associazione sia essenziale in questo nostro paese, dove esistono zone in cui bambini e ragazzi non hanno accesso a libri e lettura, dove ci sono bambini ai quali è negato il diritto di crescere con sapienza e con immaginazione. È importante che ci siano associazioni come Ibby che si fanno carico di promuovere la lettura, in attesa che la politica colmi una lacuna gravissima: quella di non occuparsi seriamente di libri, di biblioteche scolastiche e pubbliche, ignorando che la cultura contribuisce alla crescita economica di un paese e alla partecipazione attiva e responsabile dei cittadini. Cosi come è stato fondamentale avere trovato nel Palazzo delle Esposizioni, in Paola Vassalli in particolare, un interlocutore prezioso che ha creato un ponte ideale tra Roma e Lampedusa, un ponte fatto di libri, senza parole ma straordinariamente ricchi di storie, di immagini, di contenuto. Libri che saranno a disposizione dei bambini di Lampedusa e di Roma: e di tutti i bambini che per Lampedusa e per Roma passeranno. Con motivazioni diverse, purtroppo. Ma che saranno legati da un comune sentire, che speriamo li faccia diventare adulti capaci di accogliere, di costruire ponti e non barriere. Era inevitabile che quest’anno anche i libri del progetto Sinnos, le Biblioteche di Antonio arrivassero a Lampedusa. Per arricchire la Biblioteca di Via Roma, per dare un segno della pluralità delle bellissime tante voci dell’editoria per ragazzi italiana.
Tutti noi possiamo diventare “azionisti” della Biblioteca di Lampedusa comperando un libro in tutto il circuito delle Librerie Arion di Roma e speriamo che siate numerosi a partecipare alla campagna Amo chi legge… e gli regalo un Libro.
Al Palazzo delle Esposizioni, inoltre, fino al 21 luglio, potrete visitare la mostra: Libri Senza Parole: Destinazione Lampedusa
Cene carbonare
Raethia Corsini
Che cos'è il cibo? Quali sono le dinamiche messe in gioco nella società? Quali sono i suoi significati e i valori simbolici? Il progetto Soul food, nato nel 2008 da un’idea di Don Pasta e realizzato insieme con Terreni Fertili, cerca di trovare risposte nuove partendo, come è scritto sul sito del progetto, "da un modello agro-alimentare sostenibile [...] che significa un’azione che attraversa tutti gli ambiti del vivere: ambiente, società, politica, economia. Un’educazione civica in senso slow, dove la qualità di ciò che si produce e il modo in cui si consuma sono il volano per un futuro equo, solidale e green".
Per perseguire l'obiettivo Soul food mette in atto diversi sistemi. Tra questi ci sono "le cene a tema" unite da un unico fil rouge: si sa chi cucina, ma non si sa chi si siederà a tavola.
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mercoledì 22 maggio 2013
mvl teatro: tre donne per un corpo
Maria Cristina Reggio
Ieri sera al Vascello il corpo magnifico di una donna ne
interpretava tre: Manuela
Kustermann condensava in movimenti da acrobata tre personaggi femminili. Nella
locandina dello spettacolo, per la verità, si accennava a due soli personaggi,
Saffo e unʼ anonima narratrice, eppure come non pensare alla presenza in scena della
bella e possente Marguerite Cleenewerck
de Crayencour, in arte Marguerite Yourcenar, belga di nascita ma francese
dʼadozione, autrice del testo da cui è stata tratta la pièce teatrale? Possente
non solo nelle dimensioni ma nellʼenergia vitale, nella tensione passionale, la
stessa dellʼattrice.
Ciò che più colpisce
di unʼacrobata è il suo corpo, la sua capacità di mantenersi in equilibrio
misurando e dosando la propria forza fisica secondo un complesso sistema di
leve che spingono su un punto che lʼartista conosce bene, per essersi
esercitata in un duro esercizio quotidiano. In uno spazio scenico pressoché
vuoto, costituito da un immenso cuneo formato dal pavimento del palco stesso e da
due pareti, di cui una diventava talvolta semitrasparente per mostrarci solo
delle silhouettes, la Kustermann era proprio questa acrobata che, con il suo
corpo atletico, sa cambiare ruolo restando sempre se stessa.
Lʼattrice si muoveva in uno spazio interessante, accanto
alle sagome specchianti di due figure femminili che ricordavano le opere-specchio
di Pistoletto, pensate da Stefania Battaglia, mentre la regia, piuttosto statica,
era di Massimo Verdastro.
Addio a Roberto Denti, un Giamburrasca in libreria
Roberto Denti e Gianna Vitali |
Denti, però, è molto noto anche per i suoi libri, dal long seller I bambini leggono (Il Castoro) al romanzo Incendio a Cervara (Voland) fino ai ricordi della sua stessa infanzia, Il ragazzo è impegnato a crescere (Topipittori). Ed è da quest'ultimo che proponiamo un breve stralcio in ricordo di una figura che molto ha fatto perché i libri diventassero, per bambini e ragazzi, oggetti amati e familiari.
"A metà delle vacanze in colonia al mare, la mamma prendeva il treno e la domenica veniva a trovarmi, ma io mi sentivo abbandonato. La stessa sensazione che avevo a casa: l’impressione era che la nonna mi trattasse male e che desse sempre ragione a mio fratello che a scuola aveva ottimi voti.
martedì 21 maggio 2013
La salvezza di una farfalla
Raethia Corsini
Si è conclusa da qualche giorno l’iniziativa Festa del Cinema
promossa e sostenuta in tutta Italia dai produttori e distributori dell’ANICA e
dalle associazioni delle sale cinematografiche. L’idea, mutuata dalla Fête du
Cinema che si svolge in Francia da ormai 28 edizioni, è un invito a frequentare il grande
schermo a prezzi ridotti, per vedere anche pellicole destinate a uscire
velocemente dal circuito perché poco commerciali. È una di quelle iniziative
che io cerco di non perdere mai, perché generalmente nel calderone dell’offerta
più di una stupisce per innovazione, idea, talenti.
A me, quest’anno, è capitato con Bellas Mariposas scritto
e diretto da Salvatore Mereu e tratto dal libro omonimo di Sergio Atzeni (Sellerio Editore), da molti ritenuto iniziatore della nouvelle vague letteraria sarda. Attrici non professioniste alle prese per la prima volta con
la telecamera; una mano registica determinata a raccontare, senza veli e ricercatezze estetizzanti, una realtà
drammatica. E lo fa con cura e delicatezza anche quando c'è il
rischio di cadere nella pruderie. Sullo sfondo – determinante - la periferia
più infima di una Sardegna che non siamo abituati a immaginare.
Viola Di Grado, "Cuore cavo" tra la morte e la vita
Viola Di Grado, Cuore cavo, e/o, pp. 166, euro 16
Patrizia Vincenzoni
La storia di un suicidio raccontata da colei che lo ha compiuto: la data, il 23 luglio del 2011, e la città, Catania, invasa da un caldo bruciante. Questo l'incipit del secondo romanzo di Viola Di Grado, pubblicato da e/o. Il corpo di Dorotea, la protagonista del libro, abbandonato dalla vita e riverso dentro la vasca da bagno è l'epicentro della morte e da lì questa inizia ad espandersi toccando luoghi e cose, in una simmetria che inizia e finisce in un "rigor mortis del pianeta Terra" che " è cominciato dal mio cuore".
Da subito l'autrice ribalta le prospettive occidentali riguardo il ciclo iniziale e conclusivo della vita. "Abbatto la barriera tra la vita e la morte....considerandole...non come evento ma come processo".
I suoi interessi per la cultura orientale e per il buddhismo l'aiutano a cercare passaggi e soluzioni narrative nelle quali produce riflessioni sulla fluidità dell'identità . La definizione dell'Io, da cosa è composto, dove inizia e dove finisce, come si perde, sono domande che la incalzano è che sono alla base di Cuore Cavo.
La stanza da bagno e la città sono luoghi di una geografia interiore, la cui mappa è segnata da abbandoni che hanno reso impossibile la comunicazione fra le persone e l'esperienza continuativa di essere visti, amati. Abbandoni e incomunicabilità che attraversano anche la storia familiare della madre di Dorotea, segnata dal suicidio di una sorella adolescente.
La morte al centro della narrazione nel testo diventa per Dorotea allora un'opportunità per osservare e ri-appropriarsi della propria storia, affermando il bisogno di testimonianza dell'essere al mondo paradossalmente attraverso una non presenza.
lunedì 20 maggio 2013
Il "libro della vita"?
Esisterà per ciascuno un “libro della vita”, un libro che la
vita l’ha cambiata, e ha svelato un mondo?
Non ho idea del perché in questi giorni mi sia fatta una
domanda così sciocca, in fondo, se perché sollecitata da qualche cosa letta, se
incuriosita da quesiti (test) che preferibilmente vengono alla luce in estate
sulle cosiddette riviste “femminili”, ma non solo, o da chissà che cosa…
Fatto sta che me lo sono chiesto e non sono riuscita a
rispondermi.
Da bambina, in età prescolare, avevo una sorta di
venerazione per Andersen (proprio lui purtroppo, storie tremende!): avevo
eletta la Sirenetta la mia fiaba
preferita. Ma non mi aveva cambiato la vita, mi aveva solo svelato qualcosa di
me, anche se non lo sapevo.
Allora la Bibbia,
o i Vangeli. No. Guerra e pace, ecco, forse. No, nemmeno Guerra e pace. E allora la Divina
Commedia. No, nemmeno la Divina
Commedia o i Promessi sposi. No,
non c’è una risposta. Neanche l’Odissea,
per quanto l’abbia amata tanto da averne scritto una versione per mio nipote,
che chissà magari a causa mia non leggerà mai l’originale.
Di certo un libro che cambia la vita c’è, il libro di colui
che legge solo quello nella vita. Ce ne sono. So di un bravissimo scalpellino
abruzzese, molto fiero dell’importanza del suo lavoro, di quelli che pensano di
erigere cattedrali e non di spezzare pietre, che aveva letto esclusivamente la Divina Commedia, ma la sapeva tutta a
memoria. Lui non conosceva solo la Divina
Commedia, aveva un’enciclopedia in testa, e certamente in qualche modo era
coltissimo. Tutto il mondo in un libro, e che libro però!
Ma io non ho letto solo un libro, mi dicevo, e non ne so
nessuno a memoria purtroppo, e sarebbe bello, invece. Così, per quanto pensassi
non riuscivo a trovare tra i tanti, classici o meno classici, un titolo che
avesse avuto quell’azione dirompente.
Stavo per rinunciare, ripetendomi che non era possibile
darsi una risposta sensata, quando mi sono imbattuta in un libercolo tutto a
pezzi, tenuto insieme per scommessa in una foderina di plastica perché non si
squinternasse del tutto, portato attraverso tutti i traslochi della mia vita e
conservato a dispetto di qualsiasi ragionevolezza, privilegiato rispetto a
quelli (numerosissimi) regalati, dati via, venduti, prestati e definitivamente dispersi.
domenica 19 maggio 2013
Quei (non) lettori che (non) vanno al Salone del Libro
La coda per entrare al Salone del Libro |
A Torino fa freddo e piove. Se il calendario non dicesse che fra un mese comincia l'estate, potresti pensare che è ottobre o novembre. Gli editori sono felici, con un tempo così, per tutto il fine settimana il Salone del Libro attirerà gente come una calamita. Quanti saranno poi i torinesi che, fatta la fila e pagato il biglietto (10 euro), apriranno di nuovo il portafoglio per comprare almeno un volume, tra le centinaia di migliaia in vendita al Lingotto in questi giorni, resta da vedere. Intanto, però, si festeggia perché "siamo ancora qui, a dispetto della crisi", come dice un piccolo editore, convinto che "il tempo delle illusioni è finito, ma non quello del lavoro ben fatto". Viene voglia di dargli torto, a vedere la gente che si ammassa soprattutto intorno alle facce note, Saviano o De Gregori, John Elkann o il vecchio Fonzie/Harry Winkler (che scrive, o almeno firma, libri per ragazzi, con particolare attenzione al tema della dislessia). Ma non sarebbe giusto. Nel bene e nel male il Salone è una grande scatola nella quale ficchi qualsiasi cosa, lo show-cooking con Benedetta Parodi e la tavola rotonda con cinque drammaturghi provenienti da tutta Europa. Dire che per le case editrici è una vetrina suona banale, ma è la verità, soprattutto per quelle medie e piccole, che qui possono sistemare i libri sui banchi senza paura di essere sommerse dai grandi marchi, come succede in libreria. Ma anche per le sigle più grosse - Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli... - ha un senso esserci, perché attirano un pubblico di lettori sporadici, che in libreria non ci va quasi mai ma al Salone viene a vedere le star, come le chiama la locandina della "Stampa".
E poi ci sono quelli che in una libreria o in una biblioteca non mettono proprio piede, che alla ricerca annuale dell'Istat dicono che non leggono neanche un libro in dodici mesi.
E poi ci sono quelli che in una libreria o in una biblioteca non mettono proprio piede, che alla ricerca annuale dell'Istat dicono che non leggono neanche un libro in dodici mesi.
mvl Teatro: derive senza fine al Vascello
Maria Cristina Reggio
Ieri sera il Vascello era pieno, come spesso succede in questo
spazio del nostro quartiere dedicato da anni alla ricerca teatrale e artistica.
Uno spazio franco, libero, dove i ragazzi di tutte le età,
piuttosto che starsene a casa incollati alla tv o al pc, si incontrano ancora e
raccontano o presentano il loro lavoro, con un entusiasmo e una voglia che
toccano il cuore e la mente degli spettatori, monteverdini e non.
Ieri dunque TSI La
Fabbrica dell'Attore e Dynamis Teatro Indipendente hanno presentato LIGHTBLACK°, il risultato parziale di un work-in-progress per
otto performers, con la drammaturgia di Andrea De Magistris e Giovanna Vicari, che
attraversa da un anno le città italiane e che lascia negli spazi teatrali
alcune "mappe umane" su cui
si vorrebbe che gli spettatori facessero qualche riflessione. Con in mente il metodo della
deriva di débordiana memoria si impegnano
in una singolare decostruzione degli spazi abitati, assumendo come
strumento di indagine quello della maratona, poco débordiano a dire il vero, ma
piuttosto tanto post-moderno e relazionale.
Le "derive" in bianco e nero, amate da Débord,
erano passeggiate lentissime della cinepresa negli spazi urbani che sembravano immensi
deserti disabitati, vuoti, tanto vasti e bui, quanto sublimi. Quelle dei
giovinetti in sgargianti calzamaglia o variopinte tute
da ginnastica, armati di marsupi e cellulari con app. di Skype che, ansanti,
scorazzano e si disperdono per le vie delle città, raccontandocele con le loro voci sempre enfatiche, con gli
stessi toni dei cronisti tv, più che derive, sembrano quello che sono, ovvero autentiche
performance di maratoneti dello show.
Le loro clip in diretta non toccano"perché gli occhi di
chi filma, scippati dal potente occhio unificante dello smarthphone, non hanno
il tempo per vedere nulla che li interessi e che ci possano restituire, mentre
loro stessi non hanno nulla da dire a proposito, nel contesto scenico, che
possa interessare lʼuditorio. Molta teoria di preparazione, ma poco testo
scenico, insomma. La parte più
curiosa è quella iniziale, in cui si ascoltano in diretta audio-video le
conversazioni in diretta via Skype con altri ragazzi che hanno il tempo per dialogare
e raccontare come vivono gli spazi delle loro città, mentre, al centro della
scena, mano a mano i maratoneti, disturbati nei gesti da quella che
sembra essere una sindrome di Tourette, in realtà stanno facendo
riscaldamento per poi partire di corsa alla volta della
metropoli, accompagnati da uno sfondo di Bolero di Ravel (ma perché proprio il
Bolero?).
Alla fine della performance, gli stessi maratoneti hanno
disegnato lo spazio srotolando decine e decine di metri di nastro
adesivo che segnava diverse traiettorie lineari nello spazio stesso del teatro, ma gli
spettatori non capivano cosa dovevano fare e accennavano un timido applauso,
non sapendo se era giunta lʼora di partire anche per loro. Una
deriva senza finale, forse?
sabato 18 maggio 2013
Rudolf Jacobs, il tedesco che si fece partigiano
Il 3 Novembre 1944 il maggiore della Wermacht Klaus Erhardt, compagnia guastatori della 305^ divisione, assieme al proprio sottufficiale Strauss, si presenta alla caserma delle Brigate Nere di Sarzana, presso l’albergo Laurina; in un tedesco scandito e apodittico intima al piantone di metterlo immediatamente in contatto con il Comandante del presidio: formazioni partigiane minacciano il nodo ferroviario della cittadina; si rende necessaria, quindi, una strategia di difesa tempestiva e comunemente concertata. Il milite, forse soggetto alla fascinazione del grado, socchiude il portone; sopraggiunge anche il vice comandante fascista; egli non ama i propri alleati: osserva alternativamente il proprio sottoposto e i due ufficiali germanici in tenuta verde oliva; un nervo dell’occhio, teso da un istinto animale, forse intona involontariamente le fattezze in un’interrogazione di sospetto; è il prodromo di un rifiuto? Il momento, quasi banale nella propria apparente normalità, cambia, però, natura e si anima fulmineo: Erhardt e Strauss, improvvisamente, spazzano l’aria con le raffiche roventi delle machinenpistole e forzano il blocco mentre i fascisti, feriti, urlano al tradimento rovinando nel proprio sangue ...
Il
maggiore, in realtà, è il capitano della marina tedesca Rudolf Jacobs, Strauss
il proprio attendente, l’austriaco Paul; entrambi erano passati nella
formazione partigiana Ugo Muccini esattamente due mesi prima ed ora
capeggiavano un manipolo di forze miste (italiani, tedeschi, russi, polacchi).
Il
colpo di mano fallirà: Rudolf Jacobs troverà la morte, Paul rimarrà ferito (1).
Da
allora la figura del tedesco partigiano subirà una damnatio memoriae di quasi venti anni; egli attrasse l'inevitabile silenzio
dell’una e dell’altra parte poiché partecipava in egual misura all'onta dell’aguzzino
e del traditore (in Germania era repertato come ‘disperso’). Solo nel 1957 la
moglie seppe il modo in cui era morto.
Ora
Rudolf Jacobs è medaglia d’argento al valor militare.
Nel
1985 la RAI girò un documentario, Tradimento
(diretto da Ansano Giannarelli), in cui venivano ripercorse le vicende assieme
al figlio, Rudolf junior; nel 1990 la città natale, Brema, gli dedicherà una
mostra. Sarà però il regista Luigi Faccini (nativo di Lerici) a farne un
personaggio centrale della Resistenza, prima con un libro, L’uomo che nacque morendo (del 2005), poi con il docu-film omonimo (2011), girato con l'ausilio di Marina Piperno.
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Iron Man 3, anche i supereroi hanno paura
Prendete un famoso miliardario, eccentrico, geniale e narcisista, reso supereroe da un'armatura in titanio e in vita grazie a un cuore artificiale, aggiungete uno scienziato malvagio e frustrato con la passione per l'ingegneria genetica, una pupa sexy e super intelligente che assume le redini di una multinazionale che produce armi invincibili, un militare patriota con la coscienza in bilico tra falchi e colombe e infine un bambino, che cerca di ritrovare il padre aggiustando oggetti e studiando la fisica e la meccanica.
Mischiate con cura senza agitare e avrete la ricetta per produrre il terzo episodio dedicato all'uomo di ferro della Marvel.
Ma gli sceneggiatori del film Iron Man 3 non si sono accontentati e a questi ingredienti hanno aggiunto un tocco di follia (nel vero senso della parola): Tony Stark, alias il supereroe più amato e temuto del mondo soffre di intensi attacchi di panico - nella battaglia per salvare il mondo dagli alieni, ingaggiata insieme al mitico gruppo degli Avengers, Iron Man ha rischiato di morire - e nonostante il suo denaro e le sue conoscenze, ambedue smisurati, non sa come affrontarli e salvare se stesso da demoni che non può sconfiggere con le bordate di energia atomica che usa di solito con i suoi avversari.
Il montaggio veloce e mozzafiato e la rutilante serie di effetti speciali, degni della miglior tradizione hollywoodiana, ci aiutano a comporre il quadro finale di questa nuova fatica cinematografica del regista Shane Black, noto ai più per essere lo sceneggiatore di Arma letale.
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Poesia13, un cantiere di versi
Laura Pugno
Tre giorni di letture e discussioni aperte al pubblico, con poeti e critici, a Rieti. È la carta d'identità di Poesia13, Cantiere aperto di ricerca letteraria: laboratorio di confronto tra poeti e poetiche che qualcuno ha già ribattezzato «l'antiSalone di Torino». Non lo è, la coincidenza di date si deve al caso - anche se chi vorrà potrà trovarvi uno o più indizi della tanto discussa marginalità della poesia ormai fuori dal mercato - non alle intenzioni degli organizzatori, il gruppo di poeti e critici ESCargot. Scrivere con lentezza, attivo a Roma dal 2009 - di cui fa parte anche chi scrive -, che ha costruito collettivamente il progetto, nato insieme alla Libreria Moderna di Rieti e alla Fondazione Varrone, di un'«occupazione poetica» del centro reatino ironicamente intesa, all'insegna del rigore.
Da Gian Maria Annovi a Paolo Zublena, passando per Vincenzo Bagnoli, Cecilia Bello Minciacchi, Maria Grazia Calandrone, Alessandra Cava, Fiammetta Cirilli, Andrea Cortellessa, Elisa Davoglio, Paolo Febbraro, Michele Fianco, Francesca Fiorletta, Federico Francucci, Florinda Fusco, Roberto Galaverni, Paolo Giovannetti, Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Antonio Loreto, Massimiliano Manganelli, Giovanna Marmo, Giulio Marzaioli, Renata Morresi, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Giorgio Patrizi, Maria Concetta Petrollo, Gilda Policastro, Laura Pugno, Marilena Renda, Lidia Riviello, Luigi Socci, Sara Ventroni, Michele Zaffarano, Fabio Zinelli: ai più di trenta poeti e critici under 50 invitati a Rieti (con qualche eccezione anagrafica soprattutto fra i critici; e dove le donne non sono, è bene sottolinearlo, una semplice «quota») è stato infatti chiesto programmaticamente qualcosa di più, come tempo e qualità, della presenza distratta e antonomasticamente festivaliera destinata ad accendersi nel solo momento kairotico di un reading: al contrario, come conditio sine qua non dell'invito è stata posta la disponibilità a una partecipazione completa, non confinata ai propri «quindici minuti di notorietà», ma dispiegata su tutto l'arco del fitto calendario di letture e successivi approfondimenti su ogni autore, che costituiscono l'essenza della «tre giorni».
Tre giorni di letture e discussioni aperte al pubblico, con poeti e critici, a Rieti. È la carta d'identità di Poesia13, Cantiere aperto di ricerca letteraria: laboratorio di confronto tra poeti e poetiche che qualcuno ha già ribattezzato «l'antiSalone di Torino». Non lo è, la coincidenza di date si deve al caso - anche se chi vorrà potrà trovarvi uno o più indizi della tanto discussa marginalità della poesia ormai fuori dal mercato - non alle intenzioni degli organizzatori, il gruppo di poeti e critici ESCargot. Scrivere con lentezza, attivo a Roma dal 2009 - di cui fa parte anche chi scrive -, che ha costruito collettivamente il progetto, nato insieme alla Libreria Moderna di Rieti e alla Fondazione Varrone, di un'«occupazione poetica» del centro reatino ironicamente intesa, all'insegna del rigore.
Da Gian Maria Annovi a Paolo Zublena, passando per Vincenzo Bagnoli, Cecilia Bello Minciacchi, Maria Grazia Calandrone, Alessandra Cava, Fiammetta Cirilli, Andrea Cortellessa, Elisa Davoglio, Paolo Febbraro, Michele Fianco, Francesca Fiorletta, Federico Francucci, Florinda Fusco, Roberto Galaverni, Paolo Giovannetti, Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Antonio Loreto, Massimiliano Manganelli, Giovanna Marmo, Giulio Marzaioli, Renata Morresi, Vincenzo Ostuni, Tommaso Ottonieri, Giorgio Patrizi, Maria Concetta Petrollo, Gilda Policastro, Laura Pugno, Marilena Renda, Lidia Riviello, Luigi Socci, Sara Ventroni, Michele Zaffarano, Fabio Zinelli: ai più di trenta poeti e critici under 50 invitati a Rieti (con qualche eccezione anagrafica soprattutto fra i critici; e dove le donne non sono, è bene sottolinearlo, una semplice «quota») è stato infatti chiesto programmaticamente qualcosa di più, come tempo e qualità, della presenza distratta e antonomasticamente festivaliera destinata ad accendersi nel solo momento kairotico di un reading: al contrario, come conditio sine qua non dell'invito è stata posta la disponibilità a una partecipazione completa, non confinata ai propri «quindici minuti di notorietà», ma dispiegata su tutto l'arco del fitto calendario di letture e successivi approfondimenti su ogni autore, che costituiscono l'essenza della «tre giorni».
venerdì 17 maggio 2013
Saffo o il volo dell'acrobata. Al Vascello, 21-23 maggio
In
scena al Teatro Vascello dal 21 al 23 maggio alle ore 21, Manuela Kustermann in Saffo o il volo dell'acrobata, regia di Massimo
Verdastro. Come si legge nel comunicato stampa, si tratta di "una
partitura drammaturgica per attrice solista, ispirata a uno dei racconti che
compongono Fuochi (Bompiani, 2001),
l’opera forse più poetica e visionaria di Marguerite Yourcenar". Una sola attrice per due personaggi: nella
stessa voce e persona della Kustermann si alterneranno e fonderanno infatti la figura
della Narratrice e quella di Saffo, la poetessa greca che nel racconto della Yourcenar viene
"catapultata" nella contemporaneità e assume le sembianze di una
acrobata del circo.
L'italiano perduto (e ritrovato)
Attilio Motta
Città del Vaticano, 11 febbraio 2013, ore 11.46: “…ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. Ha raccontato Giovanna Chirri, la vaticanista dell’Ansa che dalla sala stampa assisteva insieme ad altri giornalisti alla diretta a circuito chiuso del concistoro per i martiri di Otranto, che sono state le parole ingravescente aetate, “età avanzata”, a metterla sull’avviso. E che, incredula e con le gambe tremanti, ha continuato ad ascoltare dicendosi “hai capito male”, fino a quando non ha sentito Benedetto XVI pronunciare addirittura la data dalla quale ci sarebbe stata la sede vacante (“ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet”). Allora ha scritto un tweet, e la notizia delle dimissioni del papa ha fatto il giro del mondo. Un cronista plurilingue ma ignaro del latino non avrebbe capito nulla.
La Chirri ha ricevuto molti complimenti anche oltreoceano, e la circostanza ha suscitato qualche riflessione sul valore spesso sottovalutato della formazione umanistica oggi. Perché, a ben vedere, non è del latino in sé che si sta parlando, ma anche del posto della cultura umanistica nell’assetto dei saperi contemporaneo, e del destino, specialmente nelle scelte sugli impianti formativi, delle lingue che a quella cultura (seppur non esclusivamente a quella) sono storicamente legate: e dunque anche dell’italiano.
Città del Vaticano, 11 febbraio 2013, ore 11.46: “…ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. Ha raccontato Giovanna Chirri, la vaticanista dell’Ansa che dalla sala stampa assisteva insieme ad altri giornalisti alla diretta a circuito chiuso del concistoro per i martiri di Otranto, che sono state le parole ingravescente aetate, “età avanzata”, a metterla sull’avviso. E che, incredula e con le gambe tremanti, ha continuato ad ascoltare dicendosi “hai capito male”, fino a quando non ha sentito Benedetto XVI pronunciare addirittura la data dalla quale ci sarebbe stata la sede vacante (“ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet”). Allora ha scritto un tweet, e la notizia delle dimissioni del papa ha fatto il giro del mondo. Un cronista plurilingue ma ignaro del latino non avrebbe capito nulla.
La Chirri ha ricevuto molti complimenti anche oltreoceano, e la circostanza ha suscitato qualche riflessione sul valore spesso sottovalutato della formazione umanistica oggi. Perché, a ben vedere, non è del latino in sé che si sta parlando, ma anche del posto della cultura umanistica nell’assetto dei saperi contemporaneo, e del destino, specialmente nelle scelte sugli impianti formativi, delle lingue che a quella cultura (seppur non esclusivamente a quella) sono storicamente legate: e dunque anche dell’italiano.
giovedì 16 maggio 2013
Godard innamorato in "Un anno cruciale"
Ti racconto un libro:
Anne Wiazemsky, Un anno cruciale, Edizioni e/o, traduzione di Silvia Manfredo, pp. 204, euro 17,50
Roberto Liberatori
Il libro racconta una storia vera. Quella dell'incontro e l'amore tra la protagonista, Anne Wiazemsky e il cineasta Jean Luc Godard. Sullo sfondo, un'epoca che sta cambiando con i primi movimenti studenteschi che porteranno alla contestazione degli anni successivi. Lei ha solo 19 anni, appartiene ad una famiglia dell'agiata borghesia parigina, lui invece è uno dei cineasti più celebri della Nouvelle Vague, già in quell'"anno cruciale" 1966 famoso e discusso. Il loro è un amore corrisposto e immediato. Nella storia ci sono poche di quelle resistenze che caratterizzano i primi momenti di un rapporto: la paura della perdita della libertà di Anne, un pizzico di possessività di Jean Luc. Gli unici ostacoli sono quelli che frappone la famiglia di lei, soprattutto la mamma Claire, che non vede di buon occhio il rapporto. Anche il nonno di Anne, il premio Nobel François Mauriac, ha delle resistenze, dovute alle chiacchiere del loro ambiente. Gli unici dalla parte di Anne sono il fratello Pierre e lo zio Claude Mauriac, entrambi affascinati dalla figura del cineasta. Ed è proprio il fascino di Godard, che traspare dal racconto di Anne, che sorprende. Chi lo conosce per la sua prolifica attività, per gli scritti sui Cahiers, per le polemiche seguite ai suoi film, rimarrà colpito dalla figura di questo giovane uomo innamorato e devoto. E proverà, ne sono sicuro, il desiderio di approfondire o recuperare la sua filmografia. Nel libro compaiono personaggi celebri del '900, alcuni veri e propri miti: François Truffaut, Jeanne Moreau, il filosofo Francis Jeanson, Robert Bresson...tutti appaiono nel libro della Wiazemsky in punta di piedi. Il merito del libro sta in fatti in una narrazione dei fatti senza enfasi: Anne racconta il suo anno cruciale, quello in cui troverà se stessa e diventerà donna, con la freschezza e lo stupore della diciannovenne di allora.
Anne Wiazemsky, Un anno cruciale, Edizioni e/o, traduzione di Silvia Manfredo, pp. 204, euro 17,50
Roberto Liberatori
Il libro racconta una storia vera. Quella dell'incontro e l'amore tra la protagonista, Anne Wiazemsky e il cineasta Jean Luc Godard. Sullo sfondo, un'epoca che sta cambiando con i primi movimenti studenteschi che porteranno alla contestazione degli anni successivi. Lei ha solo 19 anni, appartiene ad una famiglia dell'agiata borghesia parigina, lui invece è uno dei cineasti più celebri della Nouvelle Vague, già in quell'"anno cruciale" 1966 famoso e discusso. Il loro è un amore corrisposto e immediato. Nella storia ci sono poche di quelle resistenze che caratterizzano i primi momenti di un rapporto: la paura della perdita della libertà di Anne, un pizzico di possessività di Jean Luc. Gli unici ostacoli sono quelli che frappone la famiglia di lei, soprattutto la mamma Claire, che non vede di buon occhio il rapporto. Anche il nonno di Anne, il premio Nobel François Mauriac, ha delle resistenze, dovute alle chiacchiere del loro ambiente. Gli unici dalla parte di Anne sono il fratello Pierre e lo zio Claude Mauriac, entrambi affascinati dalla figura del cineasta. Ed è proprio il fascino di Godard, che traspare dal racconto di Anne, che sorprende. Chi lo conosce per la sua prolifica attività, per gli scritti sui Cahiers, per le polemiche seguite ai suoi film, rimarrà colpito dalla figura di questo giovane uomo innamorato e devoto. E proverà, ne sono sicuro, il desiderio di approfondire o recuperare la sua filmografia. Nel libro compaiono personaggi celebri del '900, alcuni veri e propri miti: François Truffaut, Jeanne Moreau, il filosofo Francis Jeanson, Robert Bresson...tutti appaiono nel libro della Wiazemsky in punta di piedi. Il merito del libro sta in fatti in una narrazione dei fatti senza enfasi: Anne racconta il suo anno cruciale, quello in cui troverà se stessa e diventerà donna, con la freschezza e lo stupore della diciannovenne di allora.
Spark ...spacca
Marta Ancona
Credo sia capitato di rado che nel corso di un incontro su un libro si siano formati, tra i lettori convenuti, due partiti nettamente contrapposti, e con pochissime sfumature di passaggio tra l’uno e l’altro. E’ accaduto esattamente questo per il libro della Spark. Dove si è andati dall’ appassionato sostegno di Maria Teresa, di Roberto, e il mio personale, alla sprezzante condanna senza appello di Silvia, e ai giudizi in buona parte negativi di Giovanni, di Paolo, che ha fatto fatica a terminarlo, e della maggioranza dei lettori.
Credo sia capitato di rado che nel corso di un incontro su un libro si siano formati, tra i lettori convenuti, due partiti nettamente contrapposti, e con pochissime sfumature di passaggio tra l’uno e l’altro. E’ accaduto esattamente questo per il libro della Spark. Dove si è andati dall’ appassionato sostegno di Maria Teresa, di Roberto, e il mio personale, alla sprezzante condanna senza appello di Silvia, e ai giudizi in buona parte negativi di Giovanni, di Paolo, che ha fatto fatica a terminarlo, e della maggioranza dei lettori.
Pertanto si è cominciato dalle voci della minoranza a
sostegno.
Mentre Roberto trova che la scrittura della S. sia sapiente,
la sceneggiatura perfetta nei passaggi imprevisti dei tempi (gli improvvisi e
spiazzanti lampi sul futuro dei personaggi, che offrono una visuale del
presente persino straziante, come l’anticipazione della fine di Mary Mac Gregor),
e il disegno dei personaggi in tratti rapidi, ed efficaci, e Maria Teresa sottolinea
il senso della ripetizione sapiente di alcuni dettagli, Silvia al contrario quasi si indigna per la
banalità di quello che definisce un “teatrino”. Fuori dall’incontro poi Silvia
mi rivela di essere appena uscita dalla lettura di un saggio particolarmente
denso di spiritualità, alto diciamo,
su Chiara e Francesco, un saggio di Chiara Frugoni. Allora forse capisco che
uscire da lì e incontrare la Spark possa fare uno strano effetto. E poi ci sta
che ci si possa anche arrabbiare con un
libro, farci a botte o lasciarlo lì, come ha fatto Giovanni, che se lo voleva
portare in viaggio perché aveva deciso di terminare il suo compito e invece lo
ha dimenticato…
Nessuno, comunque, è rimasto indifferente.
mercoledì 15 maggio 2013
Scimmie nude, e nuotatrici
Maria Teresa Carbone
Nel
1974 Einaudi pubblicò, nella versione di uno dei più attivi
traduttori del tempo, Bruno Oddera, il primo libro di una affermata
autrice televisiva britannica, Elaine
Morgan.
Non si trattava, però, del riadattamento di una serie della BBC da
lei curata o di una delle numerose pièces
al suo attivo, ma di un saggio in cui Morgan si era avventurata in un
campo, la bioantropologia, teoricamente poco consono a una
giornalista culturale ultracinquantenne, laureata sì a Oxford, ma in
letteratura inglese.
L'origine
della donna (The Descent of Woman), questo il titolo del
libro, era uscito due anni prima nel Regno Unito ed era il risultato
di una vicenda abbastanza singolare. Nel 1967 Elaine Morgan aveva
letto con molto interesse una delle opere di divulgazione scientifica
di maggiore successo della seconda metà del Novecento, La scimmia
nuda (The Naked Ape), dell'etologo inglese Desmond Morris.
Ma di fronte alla teoria di Morris, in base alla quale gli ominidi
avrebbero perso il pelo per la necessità di sudare durante le loro
cacce nella savana, Morgan si impuntò: se davvero fosse andata così,
si disse, come spiegare la perdita della peluria cutanea da parte
delle donne le quali, secondo questa ricostruzione, non andavano a
caccia, ma accudivano i piccoli? Ancora una volta la scienza sposava
un punto di vista esclusivamente “maschiocentrico”.
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