mercoledì 8 maggio 2013

Sorrisi amari al Café de l'Univers


Ti racconto un libro
Fouad Laroui, L'esteta radicale, Del Vecchio, traduzione di Cristina Vezzaro, pp.156, euro 13

Fabio Cenciarelli
La scelta di un libro è sempre stata per me come una piccola caccia al tesoro. Imbattermi ne L'esteta radicale di Fouad Laroui lo ritengo sicuramente un colpo di fortuna.
Fouad Laroui, nato a Oujda nel 1958, ma originario di El Jadida (vicino Casablanca), è uno scrittore marocchino che vive da vent'anni in Europa. In un divertente aneddoto racconta come la sua scelta di voler proseguire gli studi universitari in Francia con indirizzo letterario sia stata poi arbitrariamente direzionata dal fatidico professor Pizzagalli, un nome che certamente Laroui non ha dimenticato, verso gli studi di Matematica superiore. Così Laroui, dopo una laurea in ingegneria in Francia, arriverà a insegnare economia, scienze ambientali, poi epistemologia e finalmente letteratura francese ad Amsterdam dove si trasferirà.
Non è un azzardo osservare che questa sua poliedricità risalti in modo piuttosto evidente, anche se sotto una forma più esplicitamente letteraria, nella raccolta di racconti brevi che compongono L'esteta radicale. Una serie di storie che traggono il pretesto dalle conversazioni di un gruppo di amici riuniti a un tavolo del Cafè de l'Univers, a Casablanca. Se alcune storie partono direttamente dalle voci di Hamid, Rachid, Ali o Nagib, altre invece sono narrazioni in qualche modo indirette, non si servono cioè dell'introduzione di nessuno dei giovani marocchini che ingannano il loro tempo seduti a questo bar dal nome così evocativo.
Il titolo originale del libro (Le Jour où Malika ne s'est pas mariée) è quello del primo degli otto racconti e per quanto la scelta del titolo per l'edizione italiana possa apparire fuorviante, la ritengo invece azzeccata quanto accattivante. Proprio L'esteta radicale (il sesto degli otto racconti complessivi) è infatti quello che più ha toccato le mie corde – confermandomi, ma questa è una considerazione del tutto personale, come nella complessiva riuscita di un libro giochi il suo ruolo anche un buon confezionamento.
Riguardo al racconto in questione, se da una parte è a dir poco esilarante la disquisizione del commissario Dubonnet e del suo subalterno Larcher intorno al luogo di un tragico incidente, è altrettanto curioso scoprire il motivo di un titolo così altisonante. L'equivoco intorno a un risibile problema di estetica del protagonista diventa il pretesto per mettere in evidenza i più diffusi luoghi comuni sulla cultura araba. Ad ogni modo lo stile ironico e sottilmente amaro di Laroui, la sua sensibilità cristallina e l'originalità delle sue trovate che, attingendo a banali stereotipi, danno poi il là a considerazioni di più ampia portata, fanno delle storie di Laroui un mosaico di spaccati da non perdere. I racconti dell'autore marocchino diventano così un'occasione ulteriore per riflettere su quello che ancora oggi risulta essere un gap significativo (e ancora tutto da colmare) tra due mondi, quello arabo e quello occidentale, che sembrano avere come unico filtro comune quel vecchio televisore stilizzato che appare sulla copertina. Un filtro che quasi inevitabilmente distorce le due realtà, facendo trasparire esclusivamente gli aspetti più grossolani e forse anche superficiali di due culture, distanti sì ma non per questo impossibili da conciliare.

Due link interessanti: 

Nota: Il Prix Goncourt de la nouvelle 2013 è stato assegnato a Fouad Laroui per la sua ultima raccolta di racconti, L'étrange affaire du pantalon de Dassoukine (Juilliard)

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