Patrizia Vincenzoni
In Fuochi di Marguerite Yourcenar, opera che racchiude una serie di
prose liriche, l'amore è l'elemento che percorre i testi, amore totale,
pervasivo che s'impone quasi fosse una malattia e allo stesso tempo,
una vocazione.
L'amore
non inteso come centro della vita, almeno non in modo continuo, ma
l'abisso o l'apice: questa alternanza di stati nei quali è possibile
percepire che la vita contiene anche una certa inconsistenza,
impalpabile quasi fosse un sogno.
Saffo
o il volo dell'acrobata, ispirato a Fuochi, con Manuela Kustermann,
regia di Massimo Verdastro, una produzione di TSI La Fabbrica
dell'Attore Teatro Vascello, in scena nei giorni scorsi al Vascello,
costituisce un significativo estratto di queste indicazioni
dell'autrice. Laddove le parole sono veicoli verbali caricati di
senso, quasi a concretizzare il sentimento, producendo
quell'espressionismo barocco che è il registro timbrico e sintattico
del testo originale, la scena presenta un'essenzialita e una laterale
trasparenza che aiutano il gioco delle sovrapposizioni temporali nelle
quali il personaggio Saffo si muove e racconta del bisogno di essere
aderente all'illusione dell'amore-idolatria dell'essere amato.
Vediamo inizialmente Saffo in uno spazio scenico nel quale vive la
dimensione propria di un acrobata di circo, quale è: dentro un cerchio
il suo corpo esprime la possibilità di essere sospesa fra cielo e
terra, sospensione che si fa indefinitezza come l'ombra del cerchio
vuoto di lei proiettato sullo sfondo.
Il
monologo in terza persona la interroga verso il suo errare fra i
personaggi che assume: l'atleta che sfida il pericolo e la donna, anche se, drappeggiata in lunghe vestaglie che
le restituiscono le ali, si può pensare che si tratti di un travestimento.
In Fuochi una sovraimpressione tematica modernizza i miti del
passato e ritroviamo nella Saffo interpretata dalla Kustermann
quell'aggirarsi dolente ed esausto fra le acrobazie dell'amore totale e
la passione, il patire, direttrici attuali attraverso le quali si
snodano i suoi ricordi, riflessioni, ossessioni, la sua adorazione amara
e rassegnata nelle compagne e in Attide per quello che non è stata.
Il
monologo nelle fasi conclusive sembra fare posto a una presenza
femminile che, spogliatasi anche in senso letterale, delle vesti del
personaggio che è stato sino ad allora, si ri-veste di abiti che la
precipitano nei panni di una donna contemporanea, abbigliata "da" un
tailleur pantalone, distaccata nel prendere la parola e nel concludere il
racconto dell'"inutile suicida" che, non avendo realizzato la propria
vita, corre anche il rischio di fallire il suicidio. Questa donna che
appare sicura di sé e quasi infastidita e distaccata nel dire
dell'aspirazione, fallita, ad esistere di Saffo, sembra sostituire
l'andare illusorio verso la ricerca dell'amore totalizzante con un
modello di donna contemporanea, dove la femminilità appare
ancora una volta relegata in codici culturali che ne sacrificano le
possibilità di espressione e di affermazione più ampie e creative di
sé.
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