giovedì 23 maggio 2013

Roger Vercel, notti di "Tempesta"

Ti racconto un libro:
Roger Vercel, Tempesta, Nutrimenti, traduzione di Alice Volpi, pp. 240, euro 18 

Maria Vayola
Tempesta del francese Roger Vercel  è un romanzo del 1935 ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo quest’anno, con la traduzione di Alice Volpi, dalla casa editrice Nutrimenti nella collana Tusitala, curata da Filippo Tuena, interessante scrittore che più che raccontare storie sviscera il contenuto di accadimenti, vite, traendone spunti di riflessioni sulla vita e sulla scrittura in modo egregio e inconsueto. La sua uscita è dovuta proprio alla ricerca di Tuena di testi letterari che avessero come tema principale il mare e che lo ha portato a imbattersi in questo libro che ha una storia particolare legata a un episodio completamente avulso dal suo contenuto e contesto storico letterario.
E’, infatti,  il romanzo che Primo Levi leggerà nell’infermeria del campo di concentramento di Auschwitz in attesa che arrivi l’Armata Rossa. Tutti gli altri internati, circa ventimila, saranno fatti evacuare insieme alla maggior parte dei tedeschi  e affronteranno  una marcia nel gelo dell’inverno che li ucciderà quasi tutti. Pochi rimangono nel lager,  alcune SS lasciate a guardia del campo e qualche deportato  in cui alberga la convinzione che i tedeschi li uccideranno prima dell’arrivo dei russi.
 La notte prima dell’evacuazione un medico  del campo “uomo colto, intelligente egoista e calcolatore” già vestito per la fuga, fa visita a Levi e gli getta nella cuccetta,  un libro francese dicendo “Tieni, leggi, italiano. Me lo ridarai quando ci rivedremo”. Un atto particolare, presumibilmente elaborato dal medico, che fa pensare a un gesto in cui forse convivono, in maniera contraddittoria, pietà, stima, sarcasmo e disprezzo e che, forse, sottintende la consapevolezza della propria e dell’altrui morte, come atto finale di una delle vicende più orribili e terrificanti del secolo scorso  e che Primo Levi, a distanza di anni, commenterà così “Ancora oggi lo odio per questa sua frase. Sapeva che noi eravamo condannati”.
Ed è proprio da  questo fatto, più che altro,  che scaturisce l’interesse per il libro di Vercel,  Levi ne parla nell’ultimo capitolo di Se questo è un uomo, assurdo terminale episodio  di quell’assurdità più vasta che è stato l’olocausto,  e poi, svelandocene titolo e autore nell’antologia La ricerca delle radici, affermerà: ” Di Roger Vercel  ignoro tutto, perfino se è vivo o morto, ma sarei contento se fosse vivo e sano e continuasse a scrivere, perché mi piace il suo scrivere e mi piacerebbe scrivere come lui, e avere da raccontare le cose che lui racconta”.
Il romanzo, ambientato in Bretagna, narra uno spaccato significativo della vita del Capitano Renaud , comandante del rimorchiatore da salvataggio Ciclone che, in una notte di furiosa tempesta, risponde alla richiesta di soccorso di un cargo greco, l’Alexandros. 
E’ il suo lavoro: ogni salvataggio, infatti,  purché la nave sia rimorchiata fino in porto, gli procura un guadagno economico, ma è anche una nobile attività in cui, a disprezzo della propria vita, si possono salvare altre vite umane.
Affinché questo avvenga le regole di disciplina vigenti tra i marinai del rimorchiatore sono tali da rasentare la segregazione degli stessi all’interno della nave, perché ogni minuto dal ricevimento dell’SOS è importante per l’esito positivo del salvataggio e tutti devono essere presenti, lo stesso capitano, che ne chiede il rispetto assoluto, è sempre reperibile.
L’operazione di soccorso presenterà notevoli difficoltà e pericoli, sia per le avverse condizioni atmosferiche che si manifestano in una tempesta violenta e distruttiva, sia per l’inettitudine dell’equipaggio del cargo greco  che non collabora alle operazioni di rimorchio, sopraffatto dalla paura e comandato da un personaggio inetto e pavido. Quest’ultimo si rivelerà anche opportunista e disonesto quando, poco prima dell’arrivo in porto,  strapperà il cavo di rimorchio del Ciclone e riuscirà a governare il qualche modo la nave rifiutando ulteriormente l’aiuto del rimorchiatore per l’ultimo tratto, rendendo così economicamente vano l’operato del Ciclone.
Per Renaud e il suo equipaggio questo si presenterà non solo come un danno ma anche come una beffa, avendo rischiato, tutti, nell’operazione, durata alcuni giorni, la propria incolumità e la stessa vita.
Altre vicende si alternano all’interno del libro: un altro salvataggio vanificato dall’incendio della nave rimorchiata; i conflitti di Reanud con la propria moglie malata; la presenza di un'altra donna, la moglie dell’infido capitano del cargo greco salvata quasi in extremis, che rappresenterà per Renaud stesso sia una tentazione di carattere sessuale a cui quasi cede, sia un modo di far valere le proprie ragioni economiche sullo sfortunato epilogo del salvataggio dell’Alexandros.
I piani del romanzo presentano molti aspetti dualistici, primo fra tutti quello tra il Capitano Renaud, il suo equipaggio e il mare, presente nel libro come personaggio non solo in quanto tale, ma anche come simbolo di una primordiale e imperitura presenza della natura nella vita dell’uomo che si manifesta, a volte, come pura potenza distruttiva completamente indifferente all’aspetto umano che pure in essa alberga. Non ci sono mediazioni possibili tra l’uomo e il manifestarsi violento degli eventi naturali, ma solo uno scontro diretto. E’ in questo scontro che gli uomini si spogliamo delle loro sovrastrutture mentali e diventano pura materialità di azione,  fermano il loro tempo alle esigenze del presente e compiono atti senza pensare alle conseguenze che potrebbero avere,  diventano potenza fisica finalizzata all’istinto di sopravvivenza immediato, sia  proprio che degli altri.
Altra dicotomia è nella differenziazione che Vercel fa tra la vita in mare e la vita a terra, tanto che fa dire , a un certo punto, a Renaud: ” Ma per Dio cosa vi fanno a terra?” Perché è lì, a terra, che quegli stessi uomini dimostratesi eccezionalmente coraggiosi ed essenziali in mare, perdono il controllo di loro stessi, cedono all’alcool, scambiano la loro dignità per un po’ di affetto, perdono l’immediatezza del pragmatismo con cui operano in navigazione.
Renaud stesso trova nel governare la sua nave e i suoi uomini la piena soddisfazione, quando la moglie Yvonne, che lo ha sempre seguito in mare con amorevole dedizione, si ammala il rientro a casa gli è più gravoso che mai, non è avvezzo a preparare tisane, misurare medicine, fare commissioni. Quando si tratta di affrontare la malattia , di curare quel corpo consumato che manifesta i segni dell’invecchiamento precoce e della debolezza, perde il suo coraggio, la sua determinazione ad affrontare gli eventi, lo paragona a un naufragio senza salvezza.
E’ Yvonne stessa nell’unico momento di ribellione, che il marito capirà solo quando sarà troppo tardi , a dire:
 “ Ti ho sempre visto amare solo quello che è forte, che ti dava prestigio, e questo nei tuoi uomini, nelle tue navi, in tutto! Ciò che è consumato, sciupato, quando ti appartiene ne hai vergogna!”
Nonostante Renaud, provi rimorsi, autentico dolore per le sofferenze della moglie, senso di colpa per quello che lui non è riuscito a darle, per non aver compreso il suo disagio di fronte a quella vita che comprendeva solo la sua personale soddisfazione e mai quella di lei, quando verrà chiamato per un SOS, mentre è al capezzale della moglie morente, fuggirà dal quella morte verso il vigore del mare.
Tempesta è un romanzo inconsapevolmente “maschile”, dove la donna trova la sua ragione di essere solo in funzione dell’uomo, nell’assisterlo e amarlo, ogni altra aspettativa e rivendicazione non è tollerata.
Lo stile dell’autore, definito realismo epico, quasi puntiglioso nella descrizione dei congegni meccanici e strutturali della nave, ha anche, però, momenti visionari e quasi stranianti, come quello della nave alla deriva senza personale di bordo, con un incendio che gli cova nella pancia e un carico di casse di bambole.
La sua capacità evocativa è potente quanto la tempesta che descrive; il suo flusso narrativo non ha momenti di stasi, crea suspence e si modula sapientemente all’intensità degli eventi narrati, Vercel sa come usare le parole e trarne il massimo dal punto di vista narrativo.
Di Vercel, non si hanno molte notizie, nato a Le Mans nel 1894, vinse il premio Goncourt per il suo romanzo di guerra Capitaine Conan; partecipò alla prima guerra mondiale e fu professore di lettere, si ritirò dai ruoli nel 1945, non si sa se volontariamente o perché rimosso per articoli antisemiti, trascorse il resto della sua vita tranquillamente fino al 1957, anno della sua morte.


1 commento:

  1. La recensione mi fa venire voglia di leggere questo libro, che ha una storia interessante anche al di fuori delle sue pagine.

    Milvia

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