Roger Vercel, Tempesta, Nutrimenti, traduzione di Alice Volpi, pp. 240, euro 18
Maria Vayola
Tempesta del francese Roger Vercel è un romanzo del 1935 ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo quest’anno, con la traduzione di Alice Volpi, dalla casa editrice Nutrimenti nella collana Tusitala, curata da Filippo Tuena, interessante scrittore che più che raccontare storie sviscera il contenuto di accadimenti, vite, traendone spunti di riflessioni sulla vita e sulla scrittura in modo egregio e inconsueto. La sua uscita è dovuta proprio alla ricerca di Tuena di testi letterari che avessero come tema principale il mare e che lo ha portato a imbattersi in questo libro che ha una storia particolare legata a un episodio completamente avulso dal suo contenuto e contesto storico letterario.
Maria Vayola
Tempesta del francese Roger Vercel è un romanzo del 1935 ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia solo quest’anno, con la traduzione di Alice Volpi, dalla casa editrice Nutrimenti nella collana Tusitala, curata da Filippo Tuena, interessante scrittore che più che raccontare storie sviscera il contenuto di accadimenti, vite, traendone spunti di riflessioni sulla vita e sulla scrittura in modo egregio e inconsueto. La sua uscita è dovuta proprio alla ricerca di Tuena di testi letterari che avessero come tema principale il mare e che lo ha portato a imbattersi in questo libro che ha una storia particolare legata a un episodio completamente avulso dal suo contenuto e contesto storico letterario.
E’, infatti, il romanzo che Primo Levi leggerà nell’infermeria
del campo di concentramento di Auschwitz in attesa che arrivi l’Armata Rossa.
Tutti gli altri internati, circa ventimila, saranno fatti evacuare insieme alla
maggior parte dei tedeschi e
affronteranno una marcia nel gelo
dell’inverno che li ucciderà quasi tutti. Pochi rimangono nel lager, alcune SS lasciate a guardia del campo e
qualche deportato in cui alberga la
convinzione che i tedeschi li uccideranno prima dell’arrivo dei russi.
La notte prima
dell’evacuazione un medico del campo “uomo
colto, intelligente egoista e calcolatore” già vestito per la fuga, fa visita a
Levi e gli getta nella cuccetta, un
libro francese dicendo “Tieni, leggi, italiano. Me lo ridarai quando ci
rivedremo”. Un atto particolare, presumibilmente elaborato dal medico, che fa
pensare a un gesto in cui forse convivono, in maniera contraddittoria, pietà,
stima, sarcasmo e disprezzo e che, forse, sottintende la consapevolezza della
propria e dell’altrui morte, come atto finale di una delle vicende più orribili
e terrificanti del secolo scorso e che
Primo Levi, a distanza di anni, commenterà così “Ancora oggi lo odio per questa
sua frase. Sapeva che noi eravamo condannati”.
Ed è proprio da
questo fatto, più che altro, che
scaturisce l’interesse per il libro di Vercel,
Levi ne parla nell’ultimo capitolo di Se questo è un uomo, assurdo terminale episodio di quell’assurdità più vasta che è stato
l’olocausto, e poi, svelandocene titolo
e autore nell’antologia La ricerca delle
radici, affermerà: ” Di Roger Vercel
ignoro tutto, perfino se è vivo o morto, ma sarei contento se fosse vivo
e sano e continuasse a scrivere, perché mi piace il suo scrivere e mi
piacerebbe scrivere come lui, e avere da raccontare le cose che lui racconta”.
Il romanzo, ambientato in Bretagna, narra uno spaccato
significativo della vita del Capitano Renaud , comandante del rimorchiatore da
salvataggio Ciclone che, in una notte di furiosa tempesta, risponde alla
richiesta di soccorso di un cargo greco, l’Alexandros.
E’ il suo lavoro: ogni salvataggio, infatti, purché la nave sia rimorchiata fino in porto,
gli procura un guadagno economico, ma è anche una nobile attività in cui, a
disprezzo della propria vita, si possono salvare altre vite umane.
Affinché questo avvenga le regole di disciplina vigenti tra
i marinai del rimorchiatore sono tali da rasentare la segregazione degli stessi
all’interno della nave, perché ogni minuto dal ricevimento dell’SOS è
importante per l’esito positivo del salvataggio e tutti devono essere presenti,
lo stesso capitano, che ne chiede il rispetto assoluto, è sempre reperibile.
L’operazione di soccorso presenterà notevoli difficoltà e
pericoli, sia per le avverse condizioni atmosferiche che si manifestano in una
tempesta violenta e distruttiva, sia per l’inettitudine dell’equipaggio del
cargo greco che non collabora alle
operazioni di rimorchio, sopraffatto dalla paura e comandato da un personaggio
inetto e pavido. Quest’ultimo si rivelerà anche opportunista e disonesto
quando, poco prima dell’arrivo in porto, strapperà il
cavo di rimorchio del Ciclone e riuscirà a governare il qualche modo la nave
rifiutando ulteriormente l’aiuto del rimorchiatore per l’ultimo tratto,
rendendo così economicamente vano l’operato del Ciclone.
Per Renaud e il suo equipaggio questo si presenterà non solo
come un danno ma anche come una beffa, avendo rischiato, tutti,
nell’operazione, durata alcuni giorni, la propria incolumità e la stessa vita.
Altre vicende si alternano all’interno del libro: un altro
salvataggio vanificato dall’incendio della nave rimorchiata; i conflitti di
Reanud con la propria moglie malata; la presenza di un'altra donna, la moglie
dell’infido capitano del cargo greco salvata quasi in extremis, che
rappresenterà per Renaud stesso sia una tentazione di carattere sessuale a cui
quasi cede, sia un modo di far valere le proprie ragioni economiche sullo
sfortunato epilogo del salvataggio dell’Alexandros.
I piani del romanzo presentano molti aspetti dualistici,
primo fra tutti quello tra il Capitano Renaud, il suo equipaggio e il mare,
presente nel libro come personaggio non solo in quanto tale, ma anche come
simbolo di una primordiale e imperitura presenza della natura nella vita
dell’uomo che si manifesta, a volte, come pura potenza distruttiva
completamente indifferente all’aspetto umano che pure in essa alberga. Non ci
sono mediazioni possibili tra l’uomo e il manifestarsi violento degli eventi
naturali, ma solo uno scontro diretto. E’ in questo scontro che gli uomini si
spogliamo delle loro sovrastrutture mentali e diventano pura materialità di
azione, fermano il loro tempo alle
esigenze del presente e compiono atti senza pensare alle conseguenze che
potrebbero avere, diventano potenza
fisica finalizzata all’istinto di sopravvivenza immediato, sia proprio che degli altri.
Altra dicotomia è nella differenziazione che Vercel fa tra
la vita in mare e la vita a terra, tanto che fa dire , a un certo punto, a
Renaud: ” Ma per Dio cosa vi fanno a terra?” Perché è lì, a terra, che quegli
stessi uomini dimostratesi eccezionalmente coraggiosi ed essenziali in mare,
perdono il controllo di loro stessi, cedono all’alcool, scambiano la loro
dignità per un po’ di affetto, perdono l’immediatezza del pragmatismo con cui
operano in navigazione.
Renaud stesso trova nel governare la sua nave e i suoi
uomini la piena soddisfazione, quando la moglie Yvonne, che lo ha sempre
seguito in mare con amorevole dedizione, si ammala il rientro a casa gli è più
gravoso che mai, non è avvezzo a preparare tisane, misurare medicine, fare
commissioni. Quando si tratta di affrontare la malattia , di curare quel corpo
consumato che manifesta i segni dell’invecchiamento precoce e della debolezza,
perde il suo coraggio, la sua determinazione ad affrontare gli eventi, lo
paragona a un naufragio senza salvezza.
E’ Yvonne stessa nell’unico momento di ribellione, che il
marito capirà solo quando sarà troppo tardi , a dire:
“ Ti ho sempre visto
amare solo quello che è forte, che ti dava prestigio, e questo nei tuoi uomini,
nelle tue navi, in tutto! Ciò che è consumato, sciupato, quando ti appartiene
ne hai vergogna!”
Nonostante Renaud, provi rimorsi, autentico dolore per le
sofferenze della moglie, senso di colpa per quello che lui non è riuscito a
darle, per non aver compreso il suo disagio di fronte a quella vita che comprendeva
solo la sua personale soddisfazione e mai quella di lei, quando verrà chiamato
per un SOS, mentre è al capezzale della moglie morente, fuggirà dal quella
morte verso il vigore del mare.
Tempesta è un romanzo inconsapevolmente “maschile”, dove la
donna trova la sua ragione di essere solo in funzione dell’uomo,
nell’assisterlo e amarlo, ogni altra aspettativa e rivendicazione non è
tollerata.
Lo stile dell’autore, definito realismo epico, quasi
puntiglioso nella descrizione dei congegni meccanici e strutturali della nave,
ha anche, però, momenti visionari e quasi stranianti, come quello della nave
alla deriva senza personale di bordo, con un incendio che gli cova nella pancia
e un carico di casse di bambole.
La sua capacità evocativa è potente quanto la tempesta che
descrive; il suo flusso narrativo non ha momenti di stasi, crea suspence e si
modula sapientemente all’intensità degli eventi narrati, Vercel sa come usare
le parole e trarne il massimo dal punto di vista narrativo.
Di Vercel, non si hanno molte notizie, nato a Le Mans nel
1894, vinse il premio Goncourt per il suo romanzo di guerra Capitaine Conan;
partecipò alla prima guerra mondiale e fu professore di lettere, si ritirò dai
ruoli nel 1945, non si sa se volontariamente o perché rimosso per articoli
antisemiti, trascorse il resto della sua vita tranquillamente fino al 1957, anno della sua morte.
La recensione mi fa venire voglia di leggere questo libro, che ha una storia interessante anche al di fuori delle sue pagine.
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