Ti racconto un libro:
Alice Ceresa, La morte del padre (con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas)
et. al., pp. 76, euro 10
Laura Fortini
Alice Ceresa, La morte del padre (con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas)
et. al., pp. 76, euro 10
Laura Fortini
Con
la medesima precisione chirurgica de La
figlia prodiga,
1967, e di Bambine,
1990, Alice Ceresa ha affrontato in tempi sorprendentemente lontani
La
morte del padre,
cui ha dedicato nel 1978 un racconto lungo e meravigliosamente
perfetto oggi riproposto per le cure di Patrizia Zappa Mulas, che lo
accompagna con un partecipe ritratto della scrittrice (Alice Ceresa, La morte del padre con Ritratto di Alice di Patrizia Zappa Mulas, et al, 76 pp., € 10), che identifica con precisione il posizionamento di Ceresa: scrivere poco
per scrivere l’essenziale (come la contemporanea, sua e nostra,
Cristina Campo); scrivere come forma di conoscenza, di dissezione
analitica di tessuti costitutivi un corpo, pubblico e privato,
sull’orlo dell’implosione simbolica (di cui le date della
pubblicazione delle tre opere a firma di Ceresa costituiscono spia
significativa, quasi preveggente di quanto accaduto nei decenni
successivi).
Ognuno
dei tre testi, di difficile nominazione (romanzi? saggi in forma di
narrazione?) per la voluta sottrazione ai generi della tradizione,
costituisce infatti l’anticipatrice messa a fuoco di questioni che
diverranno poi nodali nei tempi successivi, e che per molti versi
sono ancora irrisolte. La scrittura di Ceresa le disseziona con una
lama: quella di una scrittura del tutto e volutamente aliena e che
solo in virtù di questo riesce ad affrontare corpi simbolici in
corso di deflagrazione.
Alice
Ceresa ha frequentato la tradizione letteraria europea nel suo
insieme, con rispetto e conoscenza profonda, ma da una posizione
altra: rispetto cui i riferimenti tutti, dai racconti di Kafka fino a
Henry James – evocato da Alfredo Giuliani a proposito di questo
racconto –, risultano inappropriati, non perché infondati ma
perché superati e fatti suoi in modo proprio e originale.
Il
corpo della lingua è altrettanto messo a dura prova dal
plurilinguismo originario di Ceresa: ticinese di nascita (nacque a
Basilea nel 1923), ha studiato prima nelle scuole elementari tedesche
poi in quelle italiane, mentre il francese ha contrassegnato la breve
stagione universitaria. La scelta dell’italiano per la scrittura –
a seguito anche della permanenza a Roma dal 1950 fino alla sua morte,
avvenuta nel 2001 – non reca apparentemente i segni di questo
triplice registro: non vi è mescolanza né il voluto, disorientante
passaggio da una lingua all’altra, come nel caso di Amelia
Rosselli. Al contrario il suo è un monolinguismo apparentemente
algido, innervato in una terza persona che solo in questo modo riesce
a sostenere fieramente il peso della sfida della declinazione
sessuata, rispetto cui «il problema dei personaggi», già a partire
dalla figura della figlia prodiga, è affrontato e dispiegato proprio
nell’essere lei una «persona da una parte unica e dall’altra
esemplare», in virtù del suo essere figlia e figlia di famiglia.
Il
corpo sociale – privato e pubblico – della famiglia esplode così
nella scrittura di Ceresa, come in quella di altre scrittrici e
scrittori del Novecento; ma nella sua scrittura forse più che in
altre si celebra – pura se con pietas
– la fine dell’ordine patriarcale che ne costituisce la nervatura
originaria.
Si tratta di una fine preannunciata in modo sommesso ma fermo:
l’esplosione della famiglia su cui si conclude il racconto La
morte del padre
(«Allora la famiglia infine esploderà») non è oggetto di
narrazione perché è storia già prevista. Ben più interessante
indagarne i prodromi, le motivazioni, le metamorfosi nelle figlie, la
maggiore e la minore, nel figlio, maschio ma non per questo sottratto
allo sgretolamento e alla dissoluzione dell’ordine del padre.
Racconto finissimo e definitivo, La
morte del padre
ci consegna intera la sfida dell’andare oltre, per inventare altre
forme e altri corpi. È la strada sulla quale Alice Ceresa ci
precede.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 29 (maggio 2013) di "Alfabeta2".
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