Maria Cristina Reggio
Ieri sera il Vascello era pieno, come spesso succede in questo
spazio del nostro quartiere dedicato da anni alla ricerca teatrale e artistica.
Uno spazio franco, libero, dove i ragazzi di tutte le età,
piuttosto che starsene a casa incollati alla tv o al pc, si incontrano ancora e
raccontano o presentano il loro lavoro, con un entusiasmo e una voglia che
toccano il cuore e la mente degli spettatori, monteverdini e non.
Ieri dunque TSI La
Fabbrica dell'Attore e Dynamis Teatro Indipendente hanno presentato LIGHTBLACK°, il risultato parziale di un work-in-progress per
otto performers, con la drammaturgia di Andrea De Magistris e Giovanna Vicari, che
attraversa da un anno le città italiane e che lascia negli spazi teatrali
alcune "mappe umane" su cui
si vorrebbe che gli spettatori facessero qualche riflessione. Con in mente il metodo della
deriva di débordiana memoria si impegnano
in una singolare decostruzione degli spazi abitati, assumendo come
strumento di indagine quello della maratona, poco débordiano a dire il vero, ma
piuttosto tanto post-moderno e relazionale.
Le "derive" in bianco e nero, amate da Débord,
erano passeggiate lentissime della cinepresa negli spazi urbani che sembravano immensi
deserti disabitati, vuoti, tanto vasti e bui, quanto sublimi. Quelle dei
giovinetti in sgargianti calzamaglia o variopinte tute
da ginnastica, armati di marsupi e cellulari con app. di Skype che, ansanti,
scorazzano e si disperdono per le vie delle città, raccontandocele con le loro voci sempre enfatiche, con gli
stessi toni dei cronisti tv, più che derive, sembrano quello che sono, ovvero autentiche
performance di maratoneti dello show.
Le loro clip in diretta non toccano"perché gli occhi di
chi filma, scippati dal potente occhio unificante dello smarthphone, non hanno
il tempo per vedere nulla che li interessi e che ci possano restituire, mentre
loro stessi non hanno nulla da dire a proposito, nel contesto scenico, che
possa interessare lʼuditorio. Molta teoria di preparazione, ma poco testo
scenico, insomma. La parte più
curiosa è quella iniziale, in cui si ascoltano in diretta audio-video le
conversazioni in diretta via Skype con altri ragazzi che hanno il tempo per dialogare
e raccontare come vivono gli spazi delle loro città, mentre, al centro della
scena, mano a mano i maratoneti, disturbati nei gesti da quella che
sembra essere una sindrome di Tourette, in realtà stanno facendo
riscaldamento per poi partire di corsa alla volta della
metropoli, accompagnati da uno sfondo di Bolero di Ravel (ma perché proprio il
Bolero?).
Alla fine della performance, gli stessi maratoneti hanno
disegnato lo spazio srotolando decine e decine di metri di nastro
adesivo che segnava diverse traiettorie lineari nello spazio stesso del teatro, ma gli
spettatori non capivano cosa dovevano fare e accennavano un timido applauso,
non sapendo se era giunta lʼora di partire anche per loro. Una
deriva senza finale, forse?
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