M. T. C.
Sul "New York Times"" di qualche giorno fa Stanley Fish, docente di "humanities and law" alla Florida International University, editorialista del Nyt, autore di numerosi testi, uno dei quali, How To Write A Sentence, è dedicato all'arte e al piacere di comporre belle frasi, insomma una persona nella cui vita la parola scritta occupa uno spazio enorme, ha raccontato di avere dato via (venduto, per la precisione) la maggior parte dei suoi libri. Sono rimasti quelli che presumibilmente gli serviranno per completare il saggio che sta scrivendo e per avviare il successivo, ma al posto degli altri, quelli che hanno accompagnato la sua vita di uomo e di autore, da Milton a Shakespeare, da Donne a Hobbes, ci sono ora metri e metri di scaffali vuoti. Il motivo, come spesso succede in questi casi, è il trasloco in una casa più piccola, ma Fish non si nasconde che ci può essere altro. E constatando la sua (almeno attuale) assenza di reazione emotiva a questo distacco così significativo, si chiede se non sia il segno di una fine: "I dibattiti a cui ho preso parte per decenni sono andati in un'altra direzione (anzi,in diverse altre direzioni) e io non ho il tempo e, per essere onesti, l'energia intellettuale, per seguirli. Addio. Se la caveranno bene anche senza di me". Eppure il titolo dell'articolo di Fish è Moving On, "Andare avanti". Ma allora? Cosa vuol dire separarsi dai propri libri? E' un tema di cui a Plautilla ci capita di parlare spesso, dato che la nostra bibliolibreria gratuita basa la sua esistenza proprio su questo gesto che di volta in volta può essere doloroso o liberatorio (o le due cose insieme). Ci piacerebbe sapere cosa dicono i nostri donatori, e non solo loro.
Quando mi sono "liberata" della maggior parte dei miei libri soprattutto per ragioni di spazio, non tutti però, mi sono chiesta: quali libri trattengo? quelli ai quali sono più legata, anche se non li rileggerò mai, i grandi classici, o...Alla fine ho fatto una scelta la più incongrua (per me): ho trattenuto tutto quello che avevo di poesia (poca roba, non sono una lettrice di poesia, non me ne sento all'altezza) qualche classico, Mann, Tolstoj, testi di amici scrittori, e alcuni lasciti di mio padre, insomma una selezione che più casuale di così non si può. Ma ogni tanto mi capita di cercare un testo che so di avere avuto e non trovarlo mi provoca una piccola fitta: vabbè, lo ricompro, mi dico, e poi non lo faccio.
RispondiEliminaDevo dire che adesso sono molto "sportiva", compro i libri e dopo averli letti li regalo. TRANNE...tranne quando qualcuno mi cattura per motivi i più svariati, e in particolare se mi coinvolge a livello emotivo, e dicendo ciò mi rendo conto di non dire niente, perché ognuno viene sedotto da emozioni diverse. Chi dall'intelligenza che emerge, chi dalle situazioni psichiche, affettive, chi dalle capacità immaginative, o dalla possibilità di identificarsi in situazioni o personaggi, o entrambe. Fatto sta che sono costretta a constatare che il gesto di regalare un libro appena letto in taluni casi mi fa fatica, tanto da rinunciarvi. Ma è una rinuncia un po' sottintesa, non apertamente espressa, nascosta a me per prima, come un atto mancato, come se fosse il frutto di una distrazione...