lunedì 19 agosto 2013

Parola di Capitano / 19


Nelle puntate precedenti: Ma dove è andato a finire il manoscritto dell'ultimo romanzo di Teo Marlo, composto - udite udite - con l'aiuto del suo eroe, il Capitano Giona Missing? E soprattutto, dove è finito il Capitano?

Franca Rovigatti
CASE DI LADRI. 2
Scesero rumorosamente. Tutto il chiasso, beninteso, lo faceva von Z. Teo era la sua silenziosa ombra. Presero la vecchia berlina nera di Zeitmerde. Dopo pochi minuti parcheggiavano nella piazzetta .
"Hai ancora la chiave del portone?" sussurrò l'editore.
"Se non l'hanno cambiata" sospirò Teo: "Guardi, è questa. Provi lei stesso."
Il portone si aprì. L'ascensore funzionava. Giunsero al sesto piano. L'editore si appoggiò al campanello con tutto il suo peso: il campanello se ne risentì, strillando a perdifiato nel silenzio del pianerottolo.
"CHI CAZZ'E' A QUEST'ORA, MERDA!" sbraitò la gentile padrona di casa, sovrastando ogni suono.
"Aprite: Polizia!" rispose von Z., che s'era preparato.
"SUBITO! VENGO! VENGO SUBITO!" strillò Giudecca.
Da dentro casa fu tutto un ciabattare.
Infine, la porta s'aprì: ed era lei. Nella fioca luce del pianerottolo risplendeva come un Luna Park. La vestaglia di raso a quadri rossi e neri, le pantofole di struzzo verde, i bigodini fluorescenti, il trucco spalmato di furia su quello del giorno prima... Il profumo (Orgasme si chiamava, ricordò Teo) era violento. Respingeva.
Nonostante tutto, Zeitmerde entrò.
"Signora cara" brontolò dal fondo della pancia l'editore: "dove lo ha messo il libro, qui, del nostro amico?"

Giudecca ci mise un po' a raccapezzarsi.
(Dovete sapere che lei adorava la polizia. Il suo sogno segreto era di avere una storia, che so, con un tenente, o ispettore, o anche solo con un agente. Purché fosse nerboruto, di buona stazza, puzzasse virilmente e dicesse volgarità. Quella notte, quando aveva sentito la voce declinare le agognate generalità, le era parso di svenire: giacché anche gli armadi, anche i materassi, hanno le loro emozioni. S'era acconciata, risplendeva. Trepidante aveva aperto. E chi c’era, invece? Nessun agognato agente, nessun ispettore. Il culo floscio di Marlo con quel pervertito del suo editore...)
La delusione le ottenebrò la mente. Sicché, come dicevo, ci mise un po' a raccapezzarsi.
"CHE VOLETE DA ME?!" strepitò infine: "UNA POVERA DONNA INDIFESA!!! NEL PIENO DELLA NOTTE!!! AH!, LA CHIAMO IO, LA POLIZIA!"
"Non credo, cara signora, che le convenga!" disse von Z. tranquillissimo: "Tiri fuori il libro, e noi ce ne andiamo. Non la denunciamo neppure, guardi, non se ne parla più!"
"CHE LIBRO?! CHE CAZZO DITE?!"
"Giudecca," mormorò Teo, che aveva tristi presentimenti: "l'hai preso tu il libro che sto scrivendo? Mi rovini, così! E ti inguai anche tu! Non ti potrò più passare una lira!"
"IDIOTA! FIGURARSI COSA MI FREGA, A ME, DEI TUOI LIBRI! HO ALTRO DA PENSARE, IO!"
"Non ce l’hai, allora?" chiese mestissimo Teo.
"NO! COME TE LO DEVO DIRE? NOOO! ANDATEVENE A FARVI FOTTERE! FUORI! FUORIII!"
Teo, purtroppo, le credeva. Von Z., invece, avendo ancora qualche dubbio, sbatté la cicciona contro il muro, le tappò la bocca, e le cominciò a torcere con metodo le dita piene di artigli.
"Cara signora Troni" le sussurrava: "se non mi dice subito, e senza urlare, dove ha ficcato il manoscritto di Teo, può dire addio a queste belle manine: ci può giurare! Io mantengo sempre le mie promesse!"
"Aah! Non ce l'ho! Ahi! Ahiahiahi! I miei gioielli" ansimò la donna: "sono nel terzo cassetto del comò, nella scatola a forma di mucca. Prendete quelli! Non ho altro da darvi!"
"Basta, von Z. Basta. E' inutile." disse Teo: "Non ce l'ha lei. Ce l'avrebbe dato. Non si separerebbe mai dai suoi ori, se potesse darci qualcos'altro..."
Von Zeitmerde, che si stava divertendo, le diede un'ultima strizzatina e smise a malincuore.
Giudecca si sgonfiò. Dal vuoto degli occhi lacrime di nero rimmel scesero a rigare il rosso delle guance.
I due scesero lenti.
"Sospetti di qualcun altro?" chiese accigliato Woodroow che non voleva lasciare intentato nulla.
"No. Insomma..."
"E parla, no? Dài, che lo troviamo... Parla!"
"Samuel Potto."
"L'avvocato della tua prima moglie? E perché?”
"Ieri l'ho cacciato in malo modo" mormorò Teo (gli pareva di spiegare cose senza senso). "Ora Sommaire è a casa mia. Potto potrebbe volersi vendicare. Quello è malvagio..."
"Sì, lo conosco." brontolò l'editore: "E lui mi teme. Andiamo a casa sua. Che aspettiamo?!"
"Ok" annuì mesto Teo.

CASE DI LADRI. 3
A Teo venne la nausea, mentre von Z. guidava a scatti, frenando di continuo sulle buche e deviando di botto in stretti vicoli ("scorciatoie", annunciava tra i denti). Dovettero fermarsi. Teo si vomitò l'anima dentro una fontana secca al centro di una piazza.
"Eccoci, siamo arrivati!" annunciò Zeitmerde: "Abita qui, il nostro azzeccagarbugli!"
'Qui' era un dignitoso palazzetto dell'Ottocento tra i platani di un quartiere residenziale confinante con Animula. Ben tenuto, portone di quercia, probabilmente un ossequioso portiere.
Il citofono di ottone restituì ai nostri, nella distorsione del riflesso, i volti di due fantasmi. Che suonarono all'interno 4, piano secondo, dov’era scritto: "Dott. Avv. Samuel Potto".
Silenzio. Von Z. suonò ancora.
"Sìììì?!" rispose prudente la vocetta fessa: "Sìììì?!"
"Sono von Zeitmerde, Potto. Scusa l'ora, carissimo!" modulò il ciccione: "Ho per le mani un affare molto interessante, di cui non potevo parlarti per telefono. Mi fai salire, caro? E' cosa urgente!"
"Ma certo! Certo! Ricordi, Woodroow?, quinto piano..."
Lo scatto dell'apriporta, preciso, fu preceduto da un ben modulato ronzio. Macchinario perfetto, ben oliato, si trovò a pensare Teo. Non come quel poveraccio del mio citofonino di plastica, che si scassa sempre... Con i miei soldi, questa casa (pensò ancora Teo), con i soldi che dovevano servire a far star bene la povera Sommaire...
Passarono tra i marmi verdi e rosa dell'androne, salirono nell'ascensore odoroso di cera, con specchio molato (con i miei soldi, disgraziato!).
La porta dell'appartamento era socchiusa. Von Z. sogghignò, spalancando il battente, introducendo il pallido e risentito Teo.
"Entra, amico mio! Accomodati!" la vocina astuta squittiva da qualche stanza più in là, sulla destra. L’appartamento, a vederlo anche solo dall'atrio, dava l’impressione d'essere grande e lussuoso: "Arrivo subito, sto mettendo su il caffé!"
"Tre tazze, allora" rombò pacifica la voce di von Z.: "Ho portato un amico."
"Bene bene, accomodatevi...": rivestito di una svolazzante vestaglia di seta bordò a disegnetti cachemire, poco dopo Potto li raggiunse portando il vassoio del caffé.
Appena vide Marlo, si arrestò: come se un invalicabile ostacolo si frapponesse all'improvviso tra lui e il passo che si accingeva a fare. Impallidì, grigio, e soffiò fuori dai denti: "Che scherzo è questo, von Zeitmerde?".
"Nessuno scherzo, Potto. Dove hai messo il manoscritto di Teo Marlo?"
Teo scrutava l'avvocato, e il suo cuore tremava. Se non è stato lui, pensò, ora dove lo vado a cercare il Capitano? E come faccio, ormai, senza di lui? Lasciato alla mia miseria e inettitudine, solo… No… Oh, mia ultima possibilità, pensò, esaudiscimi! Sii tu, Potto, non negare...
"Era questo l’affare urgente, Woodroow? Era il libraccio di Marlo?" chiese furibondo Potto.
"Poche storie!” ruggì von Z.: “Sputa il rospo, sennò vedrai che te ne penti! Dove l’hai ficcato?"
"Guardi, avvocato" sussurrò Teo: "che il dottor Serafino Orofino è in carcere, che la polizia sta smantellando Neurotica, e che io ho scoperto tutti i suoi imbrogli! Guardi che la rovino, signor Potto! Dove ha messo il manoscritto?"
"Ah, va bene, per quel che importa, ve lo dico. Ok" scoppiettò tra i denti l'avvocato: mollando giù, sul marmo veronese, il vassoio (si frantumarono le tazzine di Baviera, si sparse lo zucchero, il profumo del caffè bollente andò a freddarsi sul pavimento): "Ok. L'ho preso io. Trafugato. E poi l’ho buttato giù in fondo all'Animula. Perduto per sempre il capolavoro del secolo! Ah ah ah! Idiota, non dovevi metterti contro di me... Ma come?! Per vent’anni non controlli niente, ti basta che te la tenga fuori dalle scatole, la tua mogliettina pazza, e poi, all’improvviso, tutta questa solerzia… A male parole mi ha preso, Zeitmerde, mi ha dato del mascalzone, mi ha cacciato di casa a calci … Non si fa così, signor Marlo! Non si toccano gli affari di Potto! Non lo si ingiuria impunemente... Alla fine, ok, io non avrò la rendita relativa a Sommaire: ma tu, Marlo, non vedrai più la tua merdaccia di libro! Mai più. Non ti pare giusto?!?!"
Come una sola anima mossa da corruccio e sdegno, da destra e da sinistra Woodroow e Teo furono addosso a Potto. Che fu pestato, tortonato, corcato, malmenato.
Che fu, sia pure con ribrezzo, morso, graffiato, preso a calci e pugni.
Che fu lasciato riverso nel piscio del caffé, che non profumava più.
Marlo, scendendo, piangeva. Le lacrime gli scorrevano inarrestabili dagli occhi. Perduto. Morto e sepolto, il Capitano. La più straordinaria avventura della mia vita, il mio riscatto… Tutto finito. Amen e così sia.
Tutto per la mia sciocca imprudenza, pensava Teo. Sono stato io a volerlo rispedire dentro il manoscritto... Io, con queste mani, l’ho spinto nel baratro... Lui aveva paura, perché non l'ho ascoltato? Oddio, l'Animula! Per quello non può tornare... Chissà che orrori...
"Allora?" von Z. aspettava impaziente alla macchina: "Vogliamo andare? Sbrigati Marlo! Fra poco ci sarà troppa gente in giro. Forse facciamo ancora in tempo."
"In tempo a fare cosa?" biascicò Teo, che non riusciva a staccarsi dai rimorsi: "Andare dove?"
"Ma all'Animula, naturalmente!".

(19 - continua)
 
Poeta, artista visiva, organizzatrice culturale, Franca Rovigatti ha fondato nel 1997 il festival RomaPoesia e nello stesso anno ha pubblicato per Sottotraccia il "romanzo di viaggio immaginario" Afàsia.

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