lunedì 31 marzo 2014

mvl teatro: La vita non è quella di un fiore di carta


Maria Cristina Reggio
Nella Sala Studio del teatro Vascello, fino al 13 aprile, si dà una breve pièce, Due passi, di Carullo - Minasi,  prodotta da Franco Parenti, che ha già meritato tre premi, e che racconta lʼincanto di un piccolo mondo vissuto con minimi gesti, cose  e parole, in una stanza delimitata da un pavimento a scacchi di pochi metri quadri: un mondo chiuso da cui si può uscire, per fare, appunto due passi decisivi.  I due personaggi che lo abitano, scritti e interpretati da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, si rivolgono lʼun lʼaltro chiamandosi con i nomi contratti, Pè per Giuseppe e Cri per Cristiana,  in un dialogo che dura quarantacinque minuti, fatto di tante frasi interrotte e parole che si frammentano creando nuovi significati: tutto, in scena, è minimale, imperfetto o fuori scala, dalle conversazioni tra i due, alla posizione delle sedie, una di schiena allʼaltra, ai corpi e agli abiti dei due attori.
Lui ha  "le gambe molli" e lei è vestita con colori sgargianti, come una bambina leggermente fuori scala, alta proprio come un fiore di carta che cresce, per finta, nel suo vaso di plastica: per loro, fuori dai limiti imposti dai confini di una casa che sembra proteggerli e contenerli, ma anche chiuderli nellʼincapacità di vivere e di agire, si apre per un istante uno spiraglio di vita, la scena di un matrimonio possibile, con lʼabito di tulle per lei e il papillon per lui.  Ed ecco che la loro piccola gioia si propaga nella platea, diventando una festa densa di poesia, che riesce a toccare lʼimmaginazione e i sogni di tante piccole gioie desiderate, anche per gli spettatori più disincantati: anche per questi ultimi, la speranza di uscire dai propri limiti e provare a vivere una, seppur minima, felicità.

domenica 30 marzo 2014

Le note di Leo/ Musica alla corte del Re Sole

Un appuntamento con la musica, per traghettarci dalla domenica al lunedì.

Leonardo Castellucci*

Alla corte del Re Sole si anima una ricchissima vita culturale e soprattutto musicale. In un'ala dell'immenso palazzo, sognato dall'illuminato sovrano per la gloria sua e della Francia, una vera e propria nuova generazione di musicisti è solita ritrovarsi per discettare su nuovi stilemi musicali. Questa intenso scambio contribuirà a dar vita alla felice stagione del secondo barocco francese. Il loro maestro di riferimento è J.B. Lulli, musicista di corte riconosciuto e ammirato, che ha avuto i natali a Firenze, prima di approdare in Francia ancora giovanissimo. Uno fra i suoi allievi più talentuosi, che ne prenderà il posto, è quel Marin Marais virtuoso assoluto della viola da gamba, strumento oggi fortunatamente rilanciato grazie alla sensibilità di molti musicisti filologi.
Il giovane Marais aveva avuto come suo primo maestro un certo Monsieur De Sainte Colombe, oscuro e grandissimo compositore e gambista (suonatore di viola da gamba) la cui personalità è tornata alla luce solo nell'ultimo ventennio grazie al ritrovamento di alcuni documenti che ne testimoniano l'esistenza e l'importanza esercitata su alcuni musicisti di corte di Luigi XIV.

L'incipit della domenica - Poggio Bracciolini, Facezie (Liber facetiarum)

Rivedere con gioia alcune pellicole del passato: un documentario in tre puntate di Roberto Rossellini, ad esempio: L’età di Cosimo de’ Medici. La cura di Rossellini nel ricreare l’epoca descritta, il tono didascalico (a vantaggio del fruitore) eppure alto del discorso, la precisione storiografica. Un vero piacere già questo. E poi, come spesso accade, la commozione nel ritrovare brandelli di Italia forse già spariti: eccezionali scorci di castelli, boschetti, merlature, intonaci, colonne. E lo stupore nel constatare come, in pochi decenni, in una provincia d’Italia ben definita, Firenze, si potessero assommare tanti genî: Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio, Donatello, Lorenzo Ghiberti, Niccolò Cusano, Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Bernardo Rossellino, Leonardo da Pistoia, Francesco Filelfo, Benozzo Gozzoli, Beato Angelico, Vincenzo Foppa, Marsilio Ficino, Filippo Lippi, Paolo Uccello e l’incredibile emulo di Marco Polo: Niccolò da Conti; e, non ultimo, Poggio Bracciolini.
Cicerone, Quintiliano, Stazio, Lucrezio, Plauto, Vitruvio furono alcuni degli autori che Poggio Bracciolini, instancabile cacciatore di manoscritti, riportò alla piena luce, contribuendo in modo decisivo alla nascita dell’Umanesimo italiano. Fu, tra le altre cose, traduttore e calligrafo. Anche lui un genio, insomma.
Talmente geniale (come i fiorentini che vennero subito dopo: Francesco Guicciardini e Niccolò Machiavelli) da dedicarsi, nei ritagli di tempo, all’ingaglioffimento: ovvero a quegli svaghi, popolareschi e volgari, atti a ritemprare l’animo in vista di dotti e profittevoli studi.
L’ingaglioffimento di Bracciolini fu la silloge delle Facezie (Liber facetiarum). Ecco come Poggio ci descrive il libro: “Prima di chiudere il fermaglio di questa lunga collana di storielle, mi sembra opportuno rivelare il luogo in cui ho raccolto ciascuna di esse. Esso è il nostro Bugiale, una sorta di officina di menzogne, istituito un tempo per i segretari di Sua Santità perché si svagassero un po’ … Qui si poteva dire tutto quello che ci passava per la testa, si poteva scagliare frecciate pesanti a tutti quelli che non ci andavano a genio … Ora il nostro Bugiale non esiste più … si è persa la sana abitudine di stroncare con il riso tutto ciò che non va …
Gran lettura le Facezie (che sono duecentosettantadue). L’ultima è una della mie preferite: ne consiglio l’accorta considerazione.

Poggio Bracciolini
DI UN POVERO NOCCHIERO DA GAETA
Quelli del popolo di Gaeta vivono quasi tutti sul mare: uno di costoro, il più povero nocchiero del mondo, dopo avere errato per molti luoghi per guadagnare, tornò dopo cinque anni a casa, dove aveva lasciata povera masserizia e la moglie giovane. Appena mise piede a terra, corse a veder la sua donna (che disperando intanto che il marito tornasse, con altro uomo viveva). Entrato in casa e vedendo questa tutta instaurata e ingrandita e abbellita, chiese a sua moglie, come mai quella stamberga, prima tanto brutta, si fosse così mutata. Rispose tosto la moglie, che la era stata la grazia di Dio che dà a tutti gli uomini la ricchezza. “Benediciamo dunque il Signore”, disse l'uomo, “che ci ha fatto così gran beneficio”. Poi, di sopra, vide la stanza da dormire, con un letto più bello e con tutta la mobilia più elegante di quello che la condizione di sua moglie permettesse; e quando chiese di dove anche tutto questo fosse venuto, ella gli rispose che anche ciò si doveva alla misericordia di Dio; e ringraziò di nuovo il Signore che così generoso verso di lui si era mostrato. Nello stesso modo, quando vide nella casa tutte le altre novità, che sua moglie diceva provenienti dalla munificenza di Dio, e mentre egli restava ammirato di tanta profusione di grazie, sopravenne un fanciullo di più di tre anni, che corse, come fanno i bambini, ad accarezzare la mamma; allora il marito chiese di chi fosse il marmocchio, e la donna gli rispose essere suo. Meravigliato, l'uomo, che fosse venuto fuori un fanciullo, se egli non c'era entrato, la donna rispose sempre che esso proveniva dalla grazia di Dio. Allora non poté contenere lo sdegno per questa sovrabbondanza di grazia celeste, che veniva fino a regalargli dei figli. “Ah, sì”, disse, “che lo devo ringraziar molto, il Signore, che si è preso tanto pensiero delle mie faccende!”. Gli pareva, povero uomo, che Dio avesse pensato troppo, se gli faceva nascere dei fanciulli mentre egli era lontano.

DI UN MEDICO CHE CURAVA I MATTI
Eravamo in molti a discorrere di quella vanità, per non chiamarla stoltezza, che certuni hanno di mantenere cani e falchi per la caccia. Allora saltò su Paolo fiorentino a dire: “Aveva proprio ragione di ridere di loro quel matto di Milano”. E poiché noi lo pregammo di raccontarci la storia: “Fuvvi, una volta”, egli disse, “un cittadino milanese che faceva il dottore a' dementi ed a' pazzi e che prendeva a guarire in un certo tempo coloro che erano affidati alla sua cura. Ed ecco in qual modo egli la faceva: aveva in sua casa una corte dove era uno stagno di acqua sporca e fetente, nel quale, legati ad un palo, egli immergeva i matti che gli conducevano; e alcuni fino a' ginocchi, alcuni altri fino alle anche, qualcun altro anche più profondamente, secondo la gravezza del male, e li teneva a macerare nell'acqua e nell'inedia fino a che paressergli risanati. Gli fu tra gli altri una volta condotto un tale, che egli mise in quel bagno fino alle cosce, e che dopo quindici giorni ritornò alla ragione e pregava il medico di toglierlo da quel pantano; e questi lo tolse dal supplizio a patto però che non uscisse dalla corte; e quando ebbe per qualche giorno obbedito, lo lasciò passeggiare per tutta la casa, a condizione che non uscisse dalla porta sulla via: intanto i colleghi del matto erano sempre nell'acqua, e il matto osservò diligentemente gli ordini del medico.
Una volta che egli stava sulla porta, né per timore della fossa osava di passarla, vide venire un giovine cavaliere col falco sul pugno, e due di que' cani che servono per la caccia; e poiché non aveva memoria delle cose avvenute o viste prima della follia, gli parve cosa nuova, e lo chiamò a sé; e il giovine venne: “Ohé tu”, gli disse, “ascoltami un poco e rispondimi se ti piace: Che è la cosa su cui stai, e per che uso ti serve? “È un cavallo”, rispose, “e l'ho per la caccia”. “E l'altra cosa che hai sul pugno come si chiama essa e a che è buona? “È un falco educato alla caccia delle arzavole e delle pernici”. E il matto: “E quelli che ti accompagnano chi sono e a che ti giovano? “Sono cani”, disse, “ammaestrati a snidare la selvaggina”. “Sta bene, ma codesta selvaggina per la quale hai pronte tante cose, che prezzo ha quando tu ne abbia cacciato per un anno intero? “Poco ne so”, rispose, “ma non credo più di sei ducati”. “E quanto spendi tu nei cani, nel falco e nel cavallo?” “Cinquanta ducati”. Allora meravigliato della pazzia del giovane cavaliere: “Oh, oh!” disse, “va' lontano di qui tosto prima che il medico torni a casa; perché se ti trova qui, come se fossi tu il più stolto fra i viventi, ti getterà nella fossa per curarti cogli altri matti, e come non fa cogli altri ti metterà nell'acqua sino alla gola”. Mostrò così che la passione per la caccia è stoltezza se non è de' ricchi e per esercizio del corpo.

sabato 29 marzo 2014

Non rassegnamoci né vergognamoci, ma, anzi, impegnamoci tutti

Tommaso Cicolini

Due fra i tanti:

Lodovico Griffa:

“Nei verbi in -gnare scriveremo sempre con la ‘i’ le prime persone plurali (noi ci indigniamo, ci vergogniamo, ci impegniamo), così come la seconda plurale del congiuntivo (indigniate, vergogniate, impegniate), senza 'i' la seconda plurale dell'indicativo (voi vi indignate, vi vergognate, vi impegnate) …”

Amerigo Iannacone:

“Chiariamoci meglio le idee. Per formare le varie voci di un qualsiasi verbo regolare, ci si regola come segue: si omette la desinenza dell’infinito presente e si aggiungono al tema le desinenze del tempo e del modo desiderato.
Per esempio da ‘amare’, omettendo la desinenza ‘-are’ e aggiungendo al tema ‘am-’ le desinenze ‘-o’, ‘-i’, ‘-a’, ‘-iamo’, ‘-ate’, ‘-ano’, si forma il presente indicativo ‘amo, ami, ama, amiamo, amate, amano’.
È ovvio che se il tema termina in ‘gn’ il discorso non cambia.
Perciò dal tema ‘sogn-’ di ‘sognare’, con le desinenze del presente indicativo si formano le voci verbali ‘sogno, sogni, sogna, sogniamo, sognate, sognano’. Allo stesso modo con quelle del presente congiuntivo si formano ‘sogni, sogni, sogni, sogniamo, sogniate, sognino’.
Dal che risulta evidente che le forme ‘sogniamo’, ‘sognate’ (pres. ind.) e ‘sogniate’ (pres. cong.) sono tutte corrette. Mentre sono errate forme come ‘sognamo’, ‘segnamo’, ‘agognamo’, ‘impegnamo’, ‘vergognamoci’: non c’è ragione alcuna per omettere una ‘i’ che è parte delle desinenza. Perciò, se vogliamo vergognarci, vergogniamoci pure, ma con la ‘i’. Non aggiungiamo l’errore alla vergogna.

Molto chiaro e, come diceva Panurge, ben ca-cantato. Tuttavia ...

Emilio Salgari 

“Rassegnamoci, Yanez, e non pensiamo più al passato”

Carlo Goldoni 

“Ah! Moderiamo la collera, rassegnamoci al destino”

Edmondo De Amicis

“Il capitano aspettò che tutti tacessero e disse freddamente: ‘Rassegnamoci …’ ”

Ippolito Nievo 

“Rassegnamoci e la troveremo lassù”

Riccardo Bacchelli

“Speriamo in bene, e se sarà in male, rassegnamoci fin d’ora”

Emilio De Marchi

“E allora rassegnamoci fino a domattina”

Lodovico Antonio Muratori

“Rassegnamoci dunque alla volontà del cielo”

Antonio Tabucchi

"Per dirla più brevemente, rassegnamoci, perché l'homme est méchant"

Carteggio Giuseppe De Luca/Prezzolini

“Rassegnamoci, ma tant'è …”

Francesco De Sanctis

“Rassegnamoci e non facciamo con la nostra collera ridere i birbanti”

Leon Battista Alberti

“Vergognamoci di così brutta servitù …”

Carlo Goldoni

“Si determini anch' ella a sposare il signor Lelio, e vergognamoci tutti e due …” 

Niccolò Tommaseo

“E vergognamoci noi della nostra fiacchezza … “

Cornelio Musso

“Deh, vergognamoci hormai di far mercatie di denari …”

Francesco Petrarca (è una traduzione: ma quando sbaglia Francesco? Mai …)

“Non vergognamoci dunque di intraprendere almeno ora ciò che sarebbe stato assai meglio aver fatto prima; vergognamoci piuttosto di non intraprenderlo …”

Giosué Carducci

“Smettiamo, per amor dell'Italia, e vergognamoci”

Girolamo Mautini

“Vergognamoci di tralignar dalla stirpe di Dio”

Anton Francesco Grazzini

“Vergognamoci poi che ci lasciamo …”

Aldo Moro

“E impegnamoci seriamente”

Gaetano Filangeri

“Impegnamoci a corrispondere”

Luciano De Crescenzo

“Impegnamoci oggi perché i figli …”

Lidia Ravera

“Impegnamoci in un esercizio di comunismo ...” (come no … bonanotte)

Pier Giorgio Odifreddi

“Guadagnamo un milione e mille euro, mentre se non ce l'ha messo, ne guadagnamo almeno mille”

Umberto Eco

“E noi guadagnamo anche dieci minuti”

Franco Sacchetti

“E ciò che noi guadagnamo sia a comune”

Penso che basti. Taccio delle centinaia di traduzioni con dovizia di vergognamoci et similia.
Personalmente quella ‘i’ non l’ho mai digerita e mai la userò.
Così come amo ‘spegnere’ sul nascere ogni tentativo di ‘spengere’.
“Spengi la luce, caro …”. No, guarda, ne accendo un’altra … per sfregio …
Per il resto: potete affinare la ricerca; limare errori, trovarne altri più grandiosi. Questa la lista dei verbi in –gnare … Impegnamoci tutti … per il bene dell’Italia.

abbisognare
accompagnare
agognare
allignare
assegnare
avvignare
bagnare
bisognare
bugnare
congegnare
consegnare
contrassegnare
degnare
designare
digrignare
disdegnare
disegnare
disimpegnare
espugnare
fognare
frignare
ghignare
guadagnare
impegnare
impregnare
impugnare
indignare
infognare
ingegnare
insegnare
intignare
intregnare
lagnare
legnare
magagnare
malignare
mugugnare
oppugnare
propugnare
pugnare
rallignare
rampognare
rassegnare
regnare
riaccompagnare
riassegnare
riconsegnare
ridisegnare
riguadagnare
ripugnare
ristagnare
sbolognare
scagnare
scalcagnare
scarognare
scompagnare
sdegnare
segnare
sgraffignare
sogghignare
sognare
soprassegnare
spegnare
stagnare
svergognare
svignare
tralignare
trasognare
vergognare

Guardare all'handicap con gli occhi di un bambino

Lo scritto che vi proponiamo in lettura, inedito finora in italiano, è apparso sulla rivista "Agora" di Montréal nel 1999. Il suo autore, Jean-Pierre Bouchard, scomparso lo scorso dicembre, si è impegnato attivamente e a lungo per la difesa dei diritti dei disabili.

Jean-Pierre Bouchard

«Lei è  affetto da una deficienza fisica o intellettuale o da un handicap?»
x Sì  x No
Se sì, precisi la sua risposta

In tre righe devo ammettere che la mia mano sinistra ignora cosa fa la mia mano destra, che il flusso del mio pensiero è mal sincronizzato con quello della mia parola e che uno strabismo altalenante mi dona a tratti un’aria losca…
In quattro righe, mi piacerebbe rispondere che,  secondo le circostanze, divento da un momento all’altro «una persona handicappata» nella misura in cui le mie deficienze sono percepite come persistenti e significative e mi limitano nello svolgimento delle normali attività che ci si aspetta da un adulto di cinquantuno anni.
Questo tipo di domanda, che si ritrova su diversi/moduli governativi, mi rendono sempre perplesso se non frustrato. Provo disagio nel risolvermi a rispondere con un «sì» o con un «no». E quel po’ di righe supplementari previste a volte per «precisare» la mia risposta sono un invito alla derisione, sapendo troppo bene come il rispondere «encefalopatia con emiparesi sinistra di forma idiopatica» non sia che una mezza verità e che per dare una risposta completa (che non è necessariamente desiderata) io dovrei scrivere la mia vita.
Il problema nasce dalla domanda, che giustappone due ordini di realtà: quella di avere una o più deficienze o limitazioni funzionali e quella di essere handicappato.

giovedì 27 marzo 2014

L'Italia rimpianta e immortale nei rebus de La Settimana Enigmistica. Uno scritto reazionario

Alceste
Esiste un'Arcadia italiana? Una placenta epocale a cui, più o meno consciamente, vorremmo ritornare? Le risposte da voi date saranno varie: gli anni Settanta, i Sessanta, i Cinquanta ... anche i tempi di guerra, con le sue ristrettezze ... oppure quando c'era lui caro Lei ... Perché no ... La nostalgia, nostalgia canaglia ... ognuno ha il proprio cantuccio dorato, a jolly corner, dove riandare per crogiolarsi in un mondo migliore. Ognuno con la propria piccola patria: in realtà una sola, perché tutte le Italie passate sono un solo paese, congelato da secoli: immarcescibile, campanilista, cattolico, reazionario, ma anche socialista e comunista.
L'Italia eterna, guareschiana, da tutti riconoscibile e, perciò, pur negli odi contrapposti, da tutti condivisa.
Un'Italia oggi distrutta, schiantata. In poco più di trent'anni paesaggi fisici, morali e interiori sono stati stravolti da un vento inesorabile, continuo, sempre più impetuoso. Il passato non lo intendiamo più. Ma lo rimpiangiamo, altroché. E dove ritrovarlo? Nei disegni subliminali de La Settimana Enigmistica ... I rebus, congressi strazianti di uomini, gesti, rovine, di un tempo che fu ... nostalgia canaglia ...
R è monello; S calmo = Remo nello scalmo

Un ragazzetto si diverte legando un barattolo alla coda del gatto. Un mondo alieno dalle preoccupazioni animaliste; esente dai vegetariani; dai vegani; dai criptobuddisti. Normale, sano. Senza facebook. Privo delle soffocanti isterie che hanno rivoluzionato le gerarchie dei viventi: un agnello scorticato: orrore! Un drone falcia quaranta invitati a un matrimonio in Afghanistan: un rettangolino a pagina 52 del Corriere e lo sbadiglio del giornalista bene di Rai 24. Gli animali dei nababbi salgono i gradini della scala sociale; i precari la discendono. La riprova? Provate a scalciare un botolo a Villa Pamphili: non ne uscirete vivi. Provate a licenziare un precario e vi diranno: uno solo? E perché non due?
E i ragazzetti: normalissimi. Pantaloncini corti, maglietta di cotone e renitenza all'I-phone.
Eccezionale, come al solito, la chiesetta con il campanile sulla sinistra, a riaffermare il carattere atavico, campanilista e rurale del mondo perduto.

S T rade; à M piedi pari GI = Strade ampie di Parigi

Straordinaria sequenza anti tecnocratica. Un inno contro la precarietà e la sconsideratezza del terziario avanzato. Il barbiere rade il proprio cliente: alla fine del lavoro, eseguito a regola d'arte dopo anni di gavetta come garzone, egli avrà una modesta retribuzione in contanti: con questa egli non si arricchirà (come possiamo arguire dalla modesta tendina a destra), ma potrà ambire a una quieta felicità: il tono è quello di un rigoroso motto: parva, sed apta mihi.
Tutto è chiaro, immediato, adamantino, antimontiano, antieuropeista.
Bellissimi i particolari della soglia e del pennello spumoso. 
La pala e lo sterro suggeriscono altro lavoro, umile e decoroso, pieno di quel senso di pienezza che dona una stanchezza gratificante (sconosciuta alle sfiancanti umiliazioni del terziario telefonico, ad esempio).
I soliti monelli (a piedi nudi!) irridono, a un tempo, Geronimo Stilton, il Telefono Azzurro e decenni di pedagogia inumana e fintamente progressista.
D I amanti; SF accetta TI = Diamanti sfaccettati

Inno all'eterosessualità. Non potrebbe esser altro. La prima femmina si concede a un maschio maturo, dalle fattezze forti, e delineato formalmente dalla cravatta e dalla cintura. La coppia a destra, più inesperta, vibra dei tremolii dell'amor platonico: il vestito di lui, nonostante l'ambizioso gilet, tradisce l’origine operaia (si notino le maniche rimboccate e la tasca del pantalone). La prima coppia è forse fedifraga; la seconda presagisce l'unione consacrata dal matrimonio: entrambi gli amori, però, son moralmente legittimi: anzi, auspicabili: ricadono, infatti, sotto l'imperio della codificazione dei ruoli sancita da millenni di cattolicesimo (notare, sullo sfondo a destra, la chiesetta: l’immancabile marchio pievano).
A questo punto qualcuno di voi potrà obiettare che tale rimpianto è reazionario, maschilista e di destra. Un’obiezione che dimostra che non avete capito nulla dell’Italia. Di destra? Di destra? Eccovi un piccolo regalo: alcuni stralci dal film Berlinguer ti voglio bene, girato dal comunista Giuseppe Bertolucci con l’interpretazione dell'(allora) comunista Roberto Benigni. Enrico Berlinguer, ricordiamolo, fu segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 sino alla morte, nel 1983. Attenzione, seguite bene. Raduno alla Casa del Popolo Majakovskij: parla il relatore:

“Basta con la tombola! Basta con la tombola! Sospensione di' ricreativo, principia a avviare i' curturale. Seduti per dio! Present' a' i' pubblico indispensabile i' titolo e i' tema di' dibattito. E dopo, anche in base a i' famoso proverbio, tira più un pelo di fica che du' paia di bovi, do la parola alle signorine. Ecch' i' tema! Pole la donna permettisi di pareggiare coll'omo? No. S'apre i' dibattito …”

"Pole la donna permettisi di pareggiare coll'omo? No. S'apre i' dibattito": perfetto, si attinge già a vette sublimi. Ma ecco l’Himalaya:

“Io sono pe' i' pareggio dell'omo e delle donne. A parte a me che sono troppo superiore e la mi' moglie la tengo sottomessa, ma gli attri le donne le potrebbero lasciare un po' più libere, ovvìa”.

“A parte a me che sono troppo superiore”. Fantastico, eh sì. Ed ecco il K2:

“In certi casi sì. Però anche l'omo e c'ha i' su' patire. Come me, che andao a fa' l'amore con una d'Aiolo, i' martedì, i' giovedì, i' sabato, senza macchina dieci chilometri a piedi, e quarche vorta anche sotto l'acqua. O perchè la un veniva lei a fa' l'amore a casa mia quella bucaiola quarche vorta ...”

E questo era il Partito Comunista. Peppone, Don Camillo: due volti di un animale mitico e possente: l’Italia piccolo borghese, dolcemente retriva, immortale.

mercoledì 26 marzo 2014

La mutazione del lettore

Maria Teresa Carbone
Flussi torrentizi di parole su carta, su schermo e in voce, ma sempre conturbati rattristati indignati, hanno accolto qualche giorno fa la notizia che il numero dei lettori italiani continua a diminuire. In questo magma uniformemente dolente vorrei citare due contributi differenti, che attraverso l'uso dell'ironia pongono una domanda cui sarebbe utile rispondere con sincerità. 
Il primo lo ha scritto Dino Baldi (filologo classico e autore per Quodlibet di un bel catalogo di Morti favolose degli antichi) nel suo blog "Le antichità elettive", diffuso nel sito di "Pagina99": titolo, L'inspiegabile passione degli italiani per la lettura. Si chiede dunque Baldi, rovesciando in paradosso le analisi sul calo dei lettori: "Perché ancora così tanti italiani leggono? Come si spiega che tante persone investano la cifra media di 57,47 euro l’anno in libri, nonostante la concorrenza di altri media ben più attraenti ed efficaci a scopo di intrattenimento (e nonostante, aggiungo, le iniziative dirette e indirette per la disincentivazione della lettura, vale a dire la scuola e quella sofisticata forma di negative campaigning che sono le fiere del libro con tutti gli annessi e connessi)?".  
Anche il nostro misantropo in residence Gian Luca "Alceste" Chiovelli non ha fiducia nelle manifestazioni che dovrebbero sostenere e promuovere la lettura. Commentando i dati del Cepell sulla lettura e l'acquisto dei libri 2011-2013 in un post intitolato Della letteratura non frega niente a nessuno, Chiovelli irride i meeting, le convention, i flash mob, i luoghi di raduno dei "puristi della lettura, paladini del si-legga-la-qualunque-purché-si-legga, grandi autori, piccoli maestri... attivisti, fanatici, dolciniani, domenicani del libro, carmelitani della lettura, francescani della pagina, millenaristi del non-si-legge-più". E poi sbotta: "L’equivoco del secolo: leggere qualsiasi cosa è meglio che non leggere niente".
Dunque, eccola la domanda: cosa vuol dire leggere, oggi? 

martedì 25 marzo 2014

Laboratori Officina poesia 2014/Appunti sul V incontro



Patrizia Vincenzoni


Tema del V incontro era: 

Ritmo e voce nella tradizione poetica italiana

Secondo viaggio attraverso i classici: Foscolo, Leopardi, Manzoni

Conduce Sonia Gentili. Partecipa Fabio Donalisio


Aspetti problematici del linguaggio poetico: il silenzio come limite naturale a quello che uno può dire. La pausa. Cantica del paradiso...non si può dire.
In epoca  romantica arte verso il sublime poi c'è tutto,
oltre è intraducibile.
Foscolo e Leopardi.
Si legge poemetto dedicato al silenzio di Donalisio.

Foscolo neoclassico.
Ritmo poesia,suono dolce silenzio frutto di una dissoluzione.
Immagine che svanisce e finisce nel silenzio.
Spezzature sintattiche ma il ritmo poetico è continuo.
Nel '900 si arriva al silenzio attraverso erosione delle parole,assenza delle parole in Foscolo riunione con elemento mortuario che ci abbraccia. 
 

Della letteratura non frega più niente a nessuno

G. Luca Chiovelli

Convention, incontri, manifestazioni, convegni, convegni autoriali, convegni in cui si conviene, festival dei lettori, festival delle letterature, feste a sorpresa, book parties, flash mob, firme, prefiche che strillano, sensibilizzazioni, trame carbonare, appelli ai politici, ai partiti, alle istituzioni (istituzioni locali, decentrate, nazionali, provinciali, regionali), contrappelli, questue e questuanti, impetratori, rogazionisti, puristi della lettura, paladini del si-legga-la-qualunque-purché-si-legga, grandi autori, piccoli maestri, saloni del libro, saloni della lettura e della letteratura, strip poker del libro, centri per il libro e la lettura, comunità della lettura, meeting, meet up, bed in, associazioni per il libro e la lettura, sconti per il libro, promozioni per il libro, incentivi, discount, tre per due, quattro per tre e ne riporto uno, attivisti, fanatici, dolciniani, domenicani del libro, carmelitani della lettura, francescani della pagina, millenaristi del non-si-legge-più: penitentiagite!, camilleriani, radioterzisti, sinibaldiani, ceronettiani, più libri più liberi, libricome, un mare di libri, liber liber, libri perché, libri se-non-ora-quando, libri e-sai-cosa-bevi, un libro è per sempre, per un pugno di libri, libridinosi, asino chi legge.

I convegni sul libro e sulla lettura. Funziona così: trecento tizi s'indaffarano febbrilmente a organizzare, pianificare, diffondere, pubblicizzare, spetezzare l'evento. Truppe cammellate, twitter, facebook, mail, telefonate, manifestini, pieghevoli, sponsorizzazioni, appoggi, endorsement.
Arriva il gran giorno. Il pienone!
Il libro è salvo!
Non tutto è perduto, vedi, se ci si impegna ...
Uh, guarda, c'è Giulio!
Strette di mano, saluti, tartine.
Mai vista tanta gente!
Chi sono i relatori?
Ci si vede dopo!
Ma Sabina oggi parla?
C'è anche l'assessore ...
Mai vista tanta gente! Guarda, saranno almeno trecento, forse qualcuno in più ...

La letteratura è una cosa, la lettura è un’altra!
Certo i lettori calano, si vendono meno libri, ma occorre guardare in prospettiva …
Con l’e-book vi sarà la rimonta … crescono i lettori ultrasessantenni … i giovani, poi, diciamolo, leggono di più …
La letteratura è una cosa, la lettura è un’altra!

In Fahrenheit 451 di Bradbury si bruciano libri.
Dittatura, oppressione, illiberalità.
Scarso senso della profezia, però: i censori non agiscono più così. Bruciare un libro, essi ormai lo sanno bene, è un modo infallibile per donargli valore.
Alternativa: circondarlo con ciarpame.
Il monologo dell'Enrico V: pericolosissimo.
Lo si assedia, perciò, con fiumane di carte, con miliardi di pagine; lo si assorda di chiacchiere, lo si rende indistinguibile, uno dei tanti. E lo si disinnesca.
We few, we happy few, we band of brothers, esclama fiero Enrico; e che si fa? Si annega la citazione letteraria fra milioni di citazioni da cioccolatino; battute, trivialità, lazzi. La si rende una frase come tante: la notte, assicura Hegel, tutte le vacche sono grigie.
A forza di leggere sciocchezze non si distingue Shakespeare dalla Palombelli.
Secondo alcuni, però, lettura e letteratura sono cose diverse.

La biblioteca dei miei vecchi: una selezione scolastica di opere dantesche, una edizione sfondata de I promessi sposi, antologie varie della letteratura italiana, una raccolta di racconti di Mark Twain per il dopolavoro ferroviario. Erano lettori debolissimi, ma conoscevano La Divina Commedia e Manzoni.
L’equivoco del secolo: leggere qualsiasi cosa è meglio che non leggere niente.
Leggere Fabio Volo è meglio che non leggere niente.
Non è così.
È proprio colui che legge tanto per leggere che finisce per non leggere più niente.
Inevitabile. Il gusto si ottunde. Certi periodi di Tolstoj, Stendhal e Proust riescono difficili, stranieri, lontani milioni di anni.
Non parliamo poi della letteratura classica e medioevale.
Il taglio del gusto è irrimediabilmente deteriorato.
Si continua col pastone: Fabio Volo chiama Fabio Volo.
Poi neanche Fabio Volo.
Si finisce su Facebook a postare foto della torta di ricotta e del cane con gli occhiali.

lunedì 24 marzo 2014

1944-2014: l'ordine è già stato eseguito. Un ricordo delle Fosse Ardeatine

[Foto di P. Vincenzoni]
A cura del Cantiere24-MVL Gruppo Reportage*

[cliccare per ingrandire]

L’8 settembre 1943 l’Italia dichiara l’armistizio con le forze alleate rappresentate, in Italia, da Gran Bretagna e Stati Uniti. La Germania, che occupava il suolo patrio come alleato, diviene, da subito, forza nemica.
Il 10 settembre sparsi resti dell’esercito italiano (in modo spontaneo e in presenza di ordini contradditori), con l’ausilio di alcuni volontari civili, cercano inutilmente di contrastare una veloce e potente incursione tedesca per l'occupazione della capitale.
Nonostante il sacrificio di più di mille resistenti, Roma capitola.
Si organizza, perciò, una Resistenza interna coordinata dal Comitato di Liberazione Nazionale (che comprendeva i maggiori partiti italiani, da quello socialista e comunista sino alla Democrazia Cristiana). L’azione di guerriglia e sabotaggio contro le forze naziste fu portata avanti ininterrottamente per nove mesi, dall'ottobre 1943 sino alla liberazione della città, nei primi giorni del giugno 1944.
Il 23 marzo 1944 un commando gappista (GAP, Gruppi d'Azione Patriottica) attacca una colonna del Reggimento Bozen (appartenente alla polizia nazista: Ordnungspolizei) facendo esplodere un ordigno in Via Rasella. Nell’azione, completata dal lancio di bombe a mano, muoiono 33 tedeschi.
La rappresaglia, sollecitata da Hitler in persona, viene affidata, dopo essere colata giù per i gradi della burocrazia militare, al tenente colonnello Herbert Kappler.

[Foto di A. Cecchi Pandolfini] 
Una vista d'insieme dell'entrata alle Fosse Ardeatine con il gruppo scultoreo di Francesco Coccia.
Subito dopo l'attacco partigiano le autorità tedesche ordinarono il rastrellamento. Fu un'azione veloce, sommaria, in cui i Todeskandidaten (prigionieri 'degni di morte') vennero scelti solo allo scopo di raggiungere il totale richiesto. 

3 condannati a morte
16 condannati a pene detentive fra 1 e 15 anni
1 persona assolta al processo
154 sotto inchiesta di PG
23 in attesa di giudizio presso il Tribunale Militare Tedesco
40 fermati presso la Questura
10 fermati presso Via RAsella
10 fermati per ragioni di pubblica sicurezza
3 ignoti
75 ebrei
[Foto di A. Cecchi Pandolfini]
Una parte del piazzale antistante le cave dell'eccidio. Subito dopo la fine della guerra il Comune di Roma bandì subito un concorso, aperto ad artisti e architetti, per la sistemazione monumentale del luogo. Due diversi gruppi, vincitori ex aequo, e formati da Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino, Francesco Coccia e dagli architetti architetti Giuseppe Perugini e Mirko Basaldella idearono la costruzione del sacrario, curarono la sistemazione del piazzale e consolidarono le gallerie in cui avvenne il massacro.
[Foto di M.C. Masotti]
L'ingresso alle Cave. Qui vennero portati trecentotrentacinque uomini (dieci italiani per ogni tedesco morto). L'Alto Comando Tedesco escluse, quale luogo per la rappresaglia, Forte Bravetta, già sede di fucilazioni fasciste; si orientò, quindi, anche in considerazione dell'isolamento della zona per le cave di pozzolana e arenaria comprese fra le Catacombe di Santa Domitilla e San Callisto, sulla Via Ardeatina.
All'operazione, eseguita rapidamente il giorno dopo l'attacco partigiano, parteciparono 73 uomini di Kappler: 12 ufficiali, 60 sottoufficiali e graduati, 1 soldato semplice.


Il silenzio è un esercito

Sonia Gentili
La bestia ha aspettato l’uomo, quello o qualunque altro, nella luce desertica dell’Appennino.
È grigioazzura, massiccia e atemporale come una divinità. Ha artigli, petto e orecchie da re: tranquillamente consapevoli della propria istanza di dominio; qualcosa nel suo campo visivo risplende sempre con la luce trasversa della sciabola. Di fronte al lupo c’è l’uomo.
L’uomo è grigio, ma esile e come corroso dalla luce; si può immaginare che guardi o preghi il lupo.
La luce è arida, sfocata dalla troppa volontà di colpire o dall’indifferenza del colpire: atemporale come il lupo. Soltanto l’uomo è solo.
Il silenzio è un esercito di muti in ascolto, e l’uomo è solo. Il silenzio è un esercito di muti che accusa l’uomo, e il lupo guarda. Il silenzio è un esercito, ed ha un capo: il lupo. L’uomo sa che il lupo comanda il suo silenzio, e si chiede perché questo sia possibile. La donna lo raggiunge, lo abbraccia; nella stretta qualcosa si allontana da lui come una bestia in fuga.

Questo testo, tratto dalla raccolta Parva naturalia (Aragno editore, 2012), introduce il tema che verrà trattato questo pomeriggio nell'incontro del Laboratorio di Officina Poesia. All'incontro, come sempre coordinato da Sonia Gentili, parteciperà Fabio Donalisio.

domenica 23 marzo 2014

Le note di Leo/ Il Dio vanaglorioso di G. F. Handel

Un appuntamento con la musica, per traghettarci dalla domenica al lunedì.

Il Re Giorgio II alla battaglia di Dettingen
Leonardo Castellucci*

Il Dio di Bach è inconoscibile, ricercato da un inquietudine umana sottomessa e dovota, sentito come presente ma, nonostante l'intermediazione del Cristo, troppo altro per essere compreso nel suo mistero. Un Dio/uomo di cui si intuisce lo strazio della crocifissione nella Passione secondo Matteo e un Dio/Infinito cui rendere omaggio per visione spirituale nelle sue bellissime cantate e nei suoi Gloria. 

Quello di Handel è invece un Dio che tuona come un generale al comando delle sue truppe, che si mostra al balcone come un Re orgoglioso davanti al suo popolo acclamante, che sfila in testa a un corteo di sudditi devoti, che romba la sua forza con lo stridore delle armi, che monta sul carro del sole per salire verso un eterno, imperituro riconoscimento. Un Dio vanaglorioso che Handel usa come specchio per riflettere l'immagine di un Re. Nello specifico il Re d'Inghilterra per cui il musicista lavorò per molti anni.

Un Dio che, in questa musica solenne e bellissima, è assente. 


G. F. Handel
The Dettingen Te Deum in Tre maggiore HWV 283 




*Leonardo Castellucci, fine conoscitore di musica, giornalista, scrittore, oggi direttore editoriale di Cinquesensi Editore.

L'incipit della domenica - Mario Puzo, Il padrino

L’incipit del best seller di Mario Puzo presagisce quello del celeberrimo film di Francis Ford Coppola: Amerigo Bonasera chiede a Don Vito Corleone la vendetta per l’aggressione alla figlia (sfigurata da alcuni ragazzi di buona famiglia dopo un tentativo di stupro).
In due pagine Mario Puzo delinea ideologicamente la propria opera più acclamata: un sicuro afflato fascista (legge e ordine; celebrazione della struttura militare dell’Impero Romano su cui si modella la mafia italoamericana); un inno al patriarcato italiano, cantato orgogliosamente nella sua barbarica e atavica vitalità; la minuziosa e notevolissima caratterizzazione di tutti i personaggi  che, in ossequio alla migliore letteratura popolare (gialla, rosa, feuilleton), rifugge gli psicologismi e trae forza da opposizioni tipiche nette e definite.
Mario Puzo (nativo di New York, ma figlio di immigrati avellinesi) fonde il retaggio millenario  dei costumi mafiosi con la forza dell’american way of life: il suprematismo militare, economico e ideologico degli Stati Uniti coincide con quello mafioso. Nella visione di Puzo (che prestò servizio nell’Aeronautica), il militare e Presidente Dwight Eisenhower e il capomafia Don Vito Corleone obbediscono alle stesse leggi naturali, eterne e sacre in rispetto di Dio, Patria e Famiglia. Don Vito Corleone, insomma, è un padre della nazione americana esattamente come i quattro volti di Presidenti scolpiti sul Monte Rushmore: chiunque si opponga a ciò è un traditore (i ragazzi WASP che hanno disonorato la figlia di Bonasera, i negri, i poliziotti, gli hippies, il laido Sollozzo che vuole diffondere droga fra i bianchi) e viene rappresentato narrativamente come degenere (i mafiosi, invece, presuppongono, anche fisicamente, una felicità e una pienezza morali indiscusse).
Le accuse di fascismo portate al romanzo sono, perciò, fondate solo in parte: occorre inquadrarle in un più generale afflato conservatore che ricomprende, pur nella diversità di ispirazione, altri importanti letterati e saggisti (Ayn Rand, Fukuyama, Kagan): tutti fautori di un individualismo vitalista tipico del libertarianesimo di destra; garantito dalla Legge Eterna degli Stati Uniti, nuova terra promessa opposta alla corrotta e flaccida Europa.

Mario Puzo
Amerigo Bonasera sedeva nella III Sezione Penale della Corte di New York in attesa di giustizia; voleva vendicarsi di chi aveva tanto crudelmente ferito sua figlia e, per di più, tentato di disonorarla.
Il giudice, un uomo severo dai lineamenti pesanti, si arrotolò le maniche della toga nera, come se intendesse punire fisicamente i due giovanotti in piedi davanti al banco. Il suo viso esprimeva freddamente un maestoso disprezzo. In tutto questo, tuttavia, c'era qualcosa di falso che Amerigo Bonasera intuiva, ma non comprendeva ancora.
«Avete agito come la peggior specie di degenerati», disse aspramente il giudice. Sì, sì, pensò Amerigo Bonasera. Animali. Animali. I due giovanotti, capelli lucidi tagliati a spazzola, viso tutto acqua e sapone in atteggiamento di umile contrizione, chinarono il capo in segno di sottomissione.
Il giudice continuò: «Avete agito come bestie selvagge in una giungla e siete fortunati di non aver abusato di quella povera ragazza, altrimenti vi avrei mandato in prigione per vent'anni». Fece una pausa e gli occhi sotto le sopracciglia straordinariamente folte ebbero un lampo furtivo verso il volto olivastro di Amerigo Bonasera; poi li abbassò su un cumulo di rapporti mensili di libertà sulla parola che aveva davanti. Aggrottò le sopracciglia e si strinse nelle spalle, come per mostrarsi convinto suo malgrado. Parlò di nuovo.
«Tuttavia, grazie alla giovane età, al fatto che siete incensurati e appartenete a famiglie rispettabili, dato che la legge nella sua magnanimità non cerca vendetta, io con questa sentenza vi condanno a tre anni di reclusione. Condanna con la libertà condizionale».
Solamente quarant'anni di lutto professionale permisero al viso di Amerigo Bonasera di non mostrare l'opprimente frustrazione e l'odio che sentiva. Sua figlia, giovane e bella, era ancora all'ospedale con una mascella fratturata, bloccata da filo metallico; ed ora questi due animali erano liberi? Una farsa! Osservò i genitori raccogliersi attorno ai cari figlioli. Oh, erano tutti contenti, ora, tutti sorridenti.
La bile nera, acidamente amara, salì nella gola di Bonasera, traboccò attraverso i denti serrati con forza. Trasse il bianco fazzoletto di lino e lo premette contro le labbra. Era in piedi in questo modo quando i due giovani percorsero liberi a lunghi passi la corsia, sicuri di sé, con occhi freddi, sorridendo, gettandogli appena uno sguardo. Li lasciò passare senza dire una parola, premendo il lino fresco contro la bocca.
I genitori degli animali stavano ora avvicinandosi: due uomini e due donne della sua età, ma più americani nel modo di vestire. Lo guardarono di sfuggita, imbarazzati, però nei loro occhi vi era una strana luce trionfante di sfida.