Rivedere con gioia alcune pellicole del passato: un
documentario in tre puntate di Roberto Rossellini, ad esempio: L’età di Cosimo
de’ Medici. La cura di Rossellini nel ricreare l’epoca descritta, il tono
didascalico (a vantaggio del fruitore) eppure alto del discorso, la precisione storiografica.
Un vero piacere già questo. E poi, come spesso accade, la commozione nel
ritrovare brandelli di Italia forse già spariti: eccezionali scorci di castelli,
boschetti, merlature, intonaci, colonne. E lo stupore nel constatare come, in
pochi decenni, in una provincia d’Italia ben definita, Firenze, si potessero
assommare tanti genî: Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio, Donatello,
Lorenzo Ghiberti, Niccolò Cusano, Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Bernardo
Rossellino, Leonardo da Pistoia, Francesco Filelfo, Benozzo Gozzoli, Beato
Angelico, Vincenzo Foppa, Marsilio Ficino, Filippo Lippi, Paolo Uccello e l’incredibile
emulo di Marco Polo: Niccolò da Conti; e, non ultimo, Poggio Bracciolini.
Cicerone, Quintiliano, Stazio, Lucrezio, Plauto, Vitruvio
furono alcuni degli autori che Poggio Bracciolini, instancabile cacciatore di
manoscritti, riportò alla piena luce, contribuendo in modo decisivo alla
nascita dell’Umanesimo italiano. Fu, tra le altre cose, traduttore e
calligrafo. Anche lui un genio, insomma.
Talmente geniale (come i fiorentini che vennero subito dopo:
Francesco Guicciardini e Niccolò Machiavelli) da dedicarsi, nei ritagli di
tempo, all’ingaglioffimento: ovvero a quegli svaghi, popolareschi e volgari, atti
a ritemprare l’animo in vista di dotti e profittevoli studi.
L’ingaglioffimento di Bracciolini fu la silloge delle Facezie (Liber facetiarum). Ecco come Poggio ci descrive il libro: “Prima di chiudere il fermaglio di questa
lunga collana di storielle, mi sembra opportuno rivelare il luogo in cui ho
raccolto ciascuna di esse. Esso è il nostro Bugiale, una sorta di officina di
menzogne, istituito un tempo per i segretari di Sua Santità perché si
svagassero un po’ … Qui si poteva dire tutto quello che ci passava per la
testa, si poteva scagliare frecciate pesanti a tutti quelli che non ci andavano
a genio … Ora il nostro Bugiale non esiste più … si è persa la sana abitudine
di stroncare con il riso tutto ciò che non va …”
Gran lettura le Facezie
(che sono duecentosettantadue). L’ultima è una della mie preferite: ne consiglio
l’accorta considerazione.
Poggio Bracciolini
DI UN POVERO NOCCHIERO DA GAETA
Quelli del popolo di Gaeta vivono quasi tutti sul mare: uno
di costoro, il più povero nocchiero del mondo, dopo avere errato per molti
luoghi per guadagnare, tornò dopo cinque anni a casa, dove aveva lasciata
povera masserizia e la moglie giovane. Appena mise piede a terra, corse a veder
la sua donna (che disperando intanto che il marito tornasse, con altro uomo
viveva). Entrato in casa e vedendo questa tutta instaurata e ingrandita e
abbellita, chiese a sua moglie, come mai quella stamberga, prima tanto brutta,
si fosse così mutata. Rispose tosto la moglie, che la era stata la grazia di
Dio che dà a tutti gli uomini la ricchezza. “Benediciamo dunque il Signore”,
disse l'uomo, “che ci ha fatto così gran beneficio”. Poi, di sopra, vide la
stanza da dormire, con un letto più bello e con tutta la mobilia più elegante
di quello che la condizione di sua moglie permettesse; e quando chiese di dove
anche tutto questo fosse venuto, ella gli rispose che anche ciò si doveva alla
misericordia di Dio; e ringraziò di nuovo il Signore che così generoso verso di
lui si era mostrato. Nello stesso modo, quando vide nella casa tutte le altre
novità, che sua moglie diceva provenienti dalla munificenza di Dio, e mentre
egli restava ammirato di tanta profusione di grazie, sopravenne un fanciullo di
più di tre anni, che corse, come fanno i bambini, ad accarezzare la mamma;
allora il marito chiese di chi fosse il marmocchio, e la donna gli rispose
essere suo. Meravigliato, l'uomo, che fosse venuto fuori un fanciullo, se egli
non c'era entrato, la donna rispose sempre che esso proveniva dalla grazia di
Dio. Allora non poté contenere lo sdegno per questa sovrabbondanza di grazia
celeste, che veniva fino a regalargli dei figli. “Ah, sì”, disse, “che lo devo
ringraziar molto, il Signore, che si è preso tanto pensiero delle mie faccende!”.
Gli pareva, povero uomo, che Dio avesse pensato troppo, se gli faceva nascere
dei fanciulli mentre egli era lontano.
DI UN MEDICO CHE CURAVA I MATTI
Eravamo in molti a discorrere di quella vanità, per non
chiamarla stoltezza, che certuni hanno di mantenere cani e falchi per la
caccia. Allora saltò su Paolo fiorentino a dire: “Aveva proprio ragione di
ridere di loro quel matto di Milano”. E poiché noi lo pregammo di raccontarci
la storia: “Fuvvi, una volta”, egli disse, “un cittadino milanese che faceva il
dottore a' dementi ed a' pazzi e che prendeva a guarire in un certo tempo
coloro che erano affidati alla sua cura. Ed ecco in qual modo egli la faceva:
aveva in sua casa una corte dove era uno stagno di acqua sporca e fetente, nel
quale, legati ad un palo, egli immergeva i matti che gli conducevano; e alcuni
fino a' ginocchi, alcuni altri fino alle anche, qualcun altro anche più
profondamente, secondo la gravezza del male, e li teneva a macerare nell'acqua
e nell'inedia fino a che paressergli risanati. Gli fu tra gli altri una volta
condotto un tale, che egli mise in quel bagno fino alle cosce, e che dopo
quindici giorni ritornò alla ragione e pregava il medico di toglierlo da quel
pantano; e questi lo tolse dal supplizio a patto però che non uscisse dalla
corte; e quando ebbe per qualche giorno obbedito, lo lasciò passeggiare per
tutta la casa, a condizione che non uscisse dalla porta sulla via: intanto i
colleghi del matto erano sempre nell'acqua, e il matto osservò diligentemente
gli ordini del medico.
Una volta che egli stava sulla porta, né per timore della
fossa osava di passarla, vide venire un giovine cavaliere col falco sul pugno,
e due di que' cani che servono per la caccia; e poiché non aveva memoria delle
cose avvenute o viste prima della follia, gli parve cosa nuova, e lo chiamò a
sé; e il giovine venne: “Ohé tu”, gli disse, “ascoltami un poco e rispondimi se
ti piace: Che è la cosa su cui stai, e per che uso ti serve? “È un cavallo”,
rispose, “e l'ho per la caccia”. “E l'altra cosa che hai sul pugno come si
chiama essa e a che è buona? “È un falco educato alla caccia delle arzavole e
delle pernici”. E il matto: “E quelli che ti accompagnano chi sono e a che ti
giovano? “Sono cani”, disse, “ammaestrati a snidare la selvaggina”. “Sta bene,
ma codesta selvaggina per la quale hai pronte tante cose, che prezzo ha quando
tu ne abbia cacciato per un anno intero? “Poco ne so”, rispose, “ma non credo
più di sei ducati”. “E quanto spendi tu nei cani, nel falco e nel cavallo?” “Cinquanta
ducati”. Allora meravigliato della pazzia del giovane cavaliere: “Oh, oh!”
disse, “va' lontano di qui tosto prima che il medico torni a casa; perché se ti
trova qui, come se fossi tu il più stolto fra i viventi, ti getterà nella fossa
per curarti cogli altri matti, e come non fa cogli altri ti metterà nell'acqua
sino alla gola”. Mostrò così che la passione per la caccia è stoltezza se non è
de' ricchi e per esercizio del corpo.
DI BONACCIO DE' GUASCI CHE S'ALZAVA TARDI DAL LETTO
Bonaccio de' Guasci, giovane di animo lieto, mentre eravamo
a Costanza, sempre tardi sorgeva dal letto. E quando gli amici suoi gli
rimproveravano questa pigrizia e gli chiedevano che mai nel letto facesse, egli
sorridendo rispondea: “Ascolto la contesa di due litiganti; al mattino quando
mi sveglio son presso a me due figure di donna, la sollecitudine e la pigrizia:
quella m'esorta ad alzarmi, a muovermi, a non passare il mio giorno nel letto;
questa la riprende e mi consiglia a non muovermi, poiché fuori è freddo ed è
migliore il calore del letto, e il corpo abbisogna di riposo, né si può
lavorare sempre. La prima ripete le sue ragioni; e così, poiché è lungo
l'alterco fra loro e la disputa, io, giudice equo, non piego né dall'una parte
né dall'altra, ascolto i contendenti, aspetto che si pongan d'accordo. Ed è
così che m'alzo tardi, aspettando che sia composta la lite”.
DI UN GIUDEO CHE SI ERA PERSUASO DI FARSI CRISTIANO
Molti erano che esortavano un giudeo a farsi cristiano, ma
egli non potea risolversi di staccarsi da' suoi beni; e lo assicuravano che se
e' li avesse dati a' poveri, secondo la sentenza del Vangelo, che è verissima,
avrebbe in cambio ricevuto il centuplo. Persuaso egli finalmente, si convertì
alla fede e spartì i beni suoi fra poveri, malati e mendichi. Poi per circa un
mese fu con molto onore ospitato e ricevuto da diversi cristiani e tutti lo
accarezzavano e lo plaudivano per quel che aveva fatto. Egli intanto che viveva
alla giornata, aspettava di giorno in giorno il centuplo che gli avevan
promesso, e poiché molti s'eran già stanchi di dar gli da mangiare e gli ospiti
si facean sempre più radi, così egli cadde in malattia e venne per questa in
fin di vita, per un grande flusso di sangue. Disperava egli ormai della vita, ed
ancora della promessa del centuplo, quando un giorno, per desiderio di prender
fiato, uscì dal letto e venne per sgombrarsi il ventre sul prato di un vicino;
ed ivi vuotatosi, cercava d'intorno delle erbe per detergersi, quando trovò un
involto di cenci che molte pietre preziose conteneva. Così si fe' ricco, chiamò
i medici, guarì, comprò case e poderi e visse di poi in grande opulenza. E
quando tutti gli ripetevano: “Vedi tu, se ti predicevamo la verità, che Dio
t'avrebbe restituiti tutti i tuoi beni centuplicati?” “Sta bene”, diceva, “egli
mi rese il centuplo; ma volle prima ch'io mandassi fuori per disotto sangue
fino a morire”. Ciò va detto di coloro che son tardi a compiere o a rendere un
beneficio.
D'UNO SCIOCCO CHE CREDEVA CHE SUA MOGLIE AVESSE DUE COSE
Uno de' nostri paesani, assai poco furbo, e inesperto nelle
faccende d'amore, prese moglie. Ora avvenne che una notte nel letto ella volse
la schiena e'l resto al marito, il quale tuttavia colpì nel segno; onde
meravigliato oltre misura si fe' a chiedere alla donna s'ella mai avesse due di
quelle cose; ed avendo ella risposto che due n'aveva: “Oh, oh”, disse l'uomo, “a
me una sola basta; l'altra è di troppo”. Allora la donna furba, che era amata
dal piovano suo: “Possiamo”, gli disse, “fare con l'altra elemosina; diamola
adunque alla chiesa ed al nostro piovano che ne avrà gran piacere, e a te non
verrà in danno, poiché una ti basta”. E l'uomo acconsentì e per amor del
piovano e per trarsi di dosso quel peso. E così, chiamatolo a cena, e
narratogli il caso, dopo in tre sul letto si coricarono, la donna nel mezzo e
dinanzi il marito e per di dietro il piovano, affinché si giovasse del dono. Il
prete, affamato ed avido di quella pietanza tanto desiderata, attaccò pel primo
la sua parte di combattimento, e poiché la donna se la godeva e lasciava
sfuggir qualche rumore, il marito, temendo che il prete non passasse nel campo
suo: “Bada”, gli disse, “o amico, di stare a' patti e servirti della tua parte
e lascia stare la mia”. Che Iddio mi aiuti”, rispose il prete, “ché la tua non
tengo io in gran conto, purché mi possa godere i beni della chiesa”. Con queste
parole si quietò l'uomo sciocco e invitò il piovano a godersi liberamente della
parte ch'egli aveva concesso alla chiesa.
DI UNA VEDOVA ACCESA DI VOGLIA CON UN MENDICANTE
Sono gli ipocriti la gente peggiore del mondo; e un giorno
ci parlava di questa genìa in luogo dove io ero presente, e diceasi che essi
hanno ogni cosa in grande abbondanza, e che avidi come sono di dignità e di
ricchezze, pure simulando e dissimulando pare che gli onori a malincuore
ricevano e solo per ubbidienza a' superiori. E uno degli astanti disse: “Rassomiglian
essi ad un certo Paolo, uomo santo, che abitava a Pisa; uno di coloro che si
chiamano Apostoli e che sogliono sedere alle porte senza nulla domandare”; e a
noi che gli chiedevamo chi fosse: “Questo Paolo”, disse, “che per la santità
della vita era detto il Beato, soleva assidersi alla porta di una vedova, che
gli dava in elemosina il cibo. Essa, vedendo spesso costui che era assai bello,
se ne invaghì, e un giorno, dopo averlo cibato, gli disse di venir il dì
appresso, che gli avrebbe preparato un buon pranzo; e giacché egli venne
spesso, così un giorno ella lo invitò ad entrare a mangiare dentro la casa, e
avendo egli aderito, e quando ebbe il ventre pieno di cibo e di vino' la donna,
matta di voglia, lo prese ad abbracciare e a baciare, giurando di non lasciarlo
partire, prima di aver tutto fatto; ed egli finse di non voler sapere del
giuoco, anzi di detestare l'acceso desiderio della donna, e alla fine, poiché
ella più oscenamente insistette, come se cedesse solo all'importunità della
vedova: “Dappoiché”, disse, “tu vuoi far tanto male, chiamo Dio testimonio, che
tutta tua è la colpa, e che io non ne ho. Tu stessa prenditi questa carne
maledetta, e sèrviti come meglio ti piace, ché io non voglio neanche toccarla”.
E così egli fe' il piacer della donna, e poiché per astinenza non aveva voluto
toccare se stesso, lasciò a lei tutto il peccato”.
DI UN PRELATO A CAVALLO
Andavo io un giorno al palazzo del Papa, e vidi passare a
cavallo uno de' nostri prelati, forse assorto ne' suoi pensieri, perché non si
accorse di uno che lo salutava scoprendosi il capo; e questi credendo che ciò
provenisse o da superbia o da arroganza: “Ecco là”, disse, “uno che non ha
lasciato a casa la metà del suo asino, ma che lo porta tutto con sé”. Volendo
dire che è da asino non rispondere agli atti di riverenza.
DETTO DI ZUCCARO
Una volta io e Zuccaro - che fu il più ameno degli uomini -
passammo per una città, e giungemmo a un luogo dove si celebravano sponsali.
Era la domani del giorno che la sposa era entrata nella casa, e noi ci fermammo
qualche poco di tempo per assistere alla danza degli uomini e delle donne.
Allora Zuccaro disse ridendo: “Costoro hanno consumato il matrimonio, io il
patrimonio consumai da lungo tempo”. E disse cosa amena di se stesso, ché aveva
già venduti i beni di suo padre e tutto il patrimonio suo per dissiparlo alla
tavola del gioco.
VISIONE DI FRANCESCO FILELFO
Francesco Filelfo, geloso della moglie, viveva in continua pena che ella non avesse con qualche altro a fare, ed era giorno e notte intento a vigilarla. Una notte che e' dormiva, in sogno, poiché avviene spesso che ci tornino nei sogni le cose che desti abbiam per la mente, vide un demonio che gli promise che avrebbe la donna sicura, se facesse ciò che egli avrebbe detto di fare. Ed avendo egli nel sonno annuito, dicendo di esserne assai grato e promettendone premio, il diavolo gli disse: “Prendi questo anello e tienlo sempre diligentemente in dito; poiché, mentre l'avrai, non potrà la tua moglie, senza che tu lo sappia, con altro uomo giacere”. Tolto improvvisamente per la gioia dal sonno, sentì d'avere il dito nella fica della moglie. E quello è davvero il migliore rimedio pe' gelosi, perché le donne non possano mai, alle spalle de' mariti, essere infedeli.
DI PAOLO CHE MOSSE LA VOGLIA DI ALCUNI IGNORANTI
Un altro predicatore che aveva nome Paolo e che io ho conosciuto, mentre faceva a Secia, città della Campania, un discorso contro la lussuria, disse che alcuni erano tanto lascivi e scostumati, che per aver maggiore il piacere nel coito mettevano un cuscino sotto alla moglie. Alcuni, che ignoravano la cosa, se ne invaghirono, e a casa ne fecero tosto l'esperimento.
DI PAOLO CHE MOSSE LA VOGLIA DI ALCUNI IGNORANTI
Un altro predicatore che aveva nome Paolo e che io ho conosciuto, mentre faceva a Secia, città della Campania, un discorso contro la lussuria, disse che alcuni erano tanto lascivi e scostumati, che per aver maggiore il piacere nel coito mettevano un cuscino sotto alla moglie. Alcuni, che ignoravano la cosa, se ne invaghirono, e a casa ne fecero tosto l'esperimento.
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