L’incipit
del best seller di Mario Puzo presagisce quello del celeberrimo film di Francis
Ford Coppola: Amerigo Bonasera chiede a Don Vito Corleone la vendetta per l’aggressione
alla figlia (sfigurata da alcuni ragazzi di buona famiglia dopo un tentativo di
stupro).
In due
pagine Mario Puzo delinea ideologicamente la propria opera più acclamata: un
sicuro afflato fascista (legge e ordine; celebrazione della struttura militare
dell’Impero Romano su cui si modella la mafia italoamericana); un inno al
patriarcato italiano, cantato orgogliosamente nella sua barbarica e atavica
vitalità; la minuziosa e notevolissima caratterizzazione di tutti i personaggi che, in ossequio alla migliore letteratura
popolare (gialla, rosa, feuilleton), rifugge gli psicologismi e trae forza da
opposizioni tipiche nette e definite.
Mario
Puzo (nativo di New York, ma figlio di immigrati avellinesi) fonde il retaggio
millenario dei costumi mafiosi con la
forza dell’american way of life: il suprematismo militare, economico e
ideologico degli Stati Uniti coincide con quello mafioso. Nella visione di Puzo
(che prestò servizio nell’Aeronautica), il militare e Presidente Dwight Eisenhower
e il capomafia Don Vito Corleone obbediscono alle stesse leggi naturali, eterne
e sacre in rispetto di Dio, Patria e Famiglia. Don Vito Corleone, insomma, è un
padre della nazione americana esattamente come i quattro volti di Presidenti scolpiti
sul Monte Rushmore: chiunque si opponga a ciò è un traditore (i ragazzi WASP che hanno disonorato la figlia di Bonasera, i negri, i poliziotti, gli hippies, il laido Sollozzo
che vuole diffondere droga fra i bianchi) e viene rappresentato narrativamente come
degenere (i mafiosi, invece, presuppongono, anche fisicamente, una felicità e
una pienezza morali indiscusse).
Le
accuse di fascismo portate al romanzo sono, perciò, fondate solo in parte:
occorre inquadrarle in un più generale afflato conservatore che ricomprende,
pur nella diversità di ispirazione, altri importanti letterati e saggisti (Ayn
Rand, Fukuyama, Kagan): tutti fautori di un individualismo vitalista tipico del
libertarianesimo di destra; garantito dalla Legge Eterna degli Stati Uniti, nuova
terra promessa opposta alla corrotta e flaccida Europa.
Mario Puzo
Amerigo
Bonasera sedeva nella III Sezione Penale della Corte di New York in attesa di
giustizia; voleva vendicarsi di chi aveva tanto crudelmente ferito sua figlia
e, per di più, tentato di disonorarla.
Il
giudice, un uomo severo dai lineamenti pesanti, si arrotolò le maniche della
toga nera, come se intendesse punire fisicamente i due giovanotti in piedi
davanti al banco. Il suo viso esprimeva freddamente un maestoso disprezzo. In
tutto questo, tuttavia, c'era qualcosa di falso che Amerigo Bonasera intuiva,
ma non comprendeva ancora.
«Avete
agito come la peggior specie di degenerati», disse aspramente il giudice. Sì,
sì, pensò Amerigo Bonasera. Animali. Animali. I due giovanotti, capelli lucidi
tagliati a spazzola, viso tutto acqua e sapone in atteggiamento di umile
contrizione, chinarono il capo in segno di sottomissione.
Il
giudice continuò: «Avete agito come bestie selvagge in una giungla e siete
fortunati di non aver abusato di quella povera ragazza, altrimenti vi avrei
mandato in prigione per vent'anni». Fece una pausa e gli occhi sotto le
sopracciglia straordinariamente folte ebbero un lampo furtivo verso il volto
olivastro di Amerigo Bonasera; poi li abbassò su un cumulo di rapporti mensili
di libertà sulla parola che aveva davanti. Aggrottò le sopracciglia e si
strinse nelle spalle, come per mostrarsi convinto suo malgrado. Parlò di nuovo.
«Tuttavia,
grazie alla giovane età, al fatto che siete incensurati e appartenete a
famiglie rispettabili, dato che la legge nella sua magnanimità non cerca
vendetta, io con questa sentenza vi condanno a tre anni di reclusione. Condanna
con la libertà condizionale».
Solamente
quarant'anni di lutto professionale permisero al viso di Amerigo Bonasera di
non mostrare l'opprimente frustrazione e l'odio che sentiva. Sua figlia,
giovane e bella, era ancora all'ospedale con una mascella fratturata, bloccata
da filo metallico; ed ora questi due animali erano liberi? Una farsa! Osservò i
genitori raccogliersi attorno ai cari figlioli. Oh, erano tutti contenti, ora,
tutti sorridenti.
La bile
nera, acidamente amara, salì nella gola di Bonasera, traboccò attraverso i
denti serrati con forza. Trasse il bianco fazzoletto di lino e lo premette
contro le labbra. Era in piedi in questo modo quando i due giovani percorsero
liberi a lunghi passi la corsia, sicuri di sé, con occhi freddi, sorridendo, gettandogli
appena uno sguardo. Li lasciò passare senza dire una parola, premendo il lino
fresco contro la bocca.
I
genitori degli animali stavano ora avvicinandosi: due uomini e due donne della
sua età, ma più americani nel modo di vestire. Lo guardarono di sfuggita,
imbarazzati, però nei loro occhi vi era una strana luce trionfante di sfida.
Perso
il controllo, Bonasera si chinò in avanti verso la corsia e gridò raucamente: «Piangerete
come ho pianto io. Vi farò piangere come i vostri figli hanno fatto piangere
me». Ora aveva il fazzoletto premuto sugli occhi. Gli avvocati della difesa
arrivarono da dietro e spinsero avanti i loro clienti in un gruppo ristretto,
circondando i due giovanotti che erano indietreggiati lungo la corsia come a
proteggere i genitori. Un gigantesco agente di servizio si mosse velocemente
per bloccare la fila in cui stava Bonasera.
Ma non
fu necessario.
Durante
tutti gli anni trascorsi in America, Amerigo Bonasera aveva confidato nella
legge e nell'ordine.
E perciò vi aveva prosperato. Ora, sebbene il suo cervello fosse sconvolto
dall'odio, sebbene la prospettiva di comperare un fucile e uccidere i due
giovanotti gli martellasse nel profondo del cranio, Bonasera si girò verso la
consorte ancora ignara e le spiegò: «Ci hanno preso in giro». Fece una pausa e poi
prese la sua decisione, senza più temere quale ne sarebbe stato il prezzo.
«Per
avere giustizia dobbiamo andare in ginocchio da Don Corleone».
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