Lo scritto che vi proponiamo in lettura, inedito finora in italiano, è apparso sulla rivista "Agora" di Montréal nel 1999. Il suo autore, Jean-Pierre Bouchard, scomparso lo scorso dicembre, si è impegnato attivamente e a lungo per la difesa dei diritti dei disabili.
Jean-Pierre Bouchard
«Lei è affetto da una deficienza fisica o intellettuale o da un handicap?»
x Sì x No
Se sì, precisi la sua risposta
In tre righe devo ammettere che la mia mano sinistra ignora cosa fa la mia mano destra, che il flusso del mio pensiero è mal sincronizzato con quello della mia parola e che uno strabismo altalenante mi dona a tratti un’aria losca…
In quattro righe, mi piacerebbe rispondere che, secondo le circostanze, divento da un momento all’altro «una persona handicappata» nella misura in cui le mie deficienze sono percepite come persistenti e significative e mi limitano nello svolgimento delle normali attività che ci si aspetta da un adulto di cinquantuno anni.
Questo tipo di domanda, che si ritrova su diversi/moduli governativi, mi rendono sempre perplesso se non frustrato. Provo disagio nel risolvermi a rispondere con un «sì» o con un «no». E quel po’ di righe supplementari previste a volte per «precisare» la mia risposta sono un invito alla derisione, sapendo troppo bene come il rispondere «encefalopatia con emiparesi sinistra di forma idiopatica» non sia che una mezza verità e che per dare una risposta completa (che non è necessariamente desiderata) io dovrei scrivere la mia vita.
Il problema nasce dalla domanda, che giustappone due ordini di realtà: quella di avere una o più deficienze o limitazioni funzionali e quella di essere handicappato.
La deficienza in quanto tale non impedisce la vita, non fa che obbligare a certi adattamenti. L’handicap d’altra parte costringe a viversi diversamente e più o meno alla deviazione dai propri bisogni, dalle proprie aspirazioni, dai propri progetti, e più o meno (costringe) ai margini della società. In altri termini, per il fatto di accettare le mie deficienze e le mie incapacità compensandole, se possibile in diversi modi, io non faccio che assicurarmi la sopravvivenza. Accettando i miei handicap rinuncerei a vivermi in quanto animale sociale.«Lei è affetto da una deficienza fisica o intellettuale o da un handicap?»
x Sì x No
Se sì, precisi la sua risposta
In tre righe devo ammettere che la mia mano sinistra ignora cosa fa la mia mano destra, che il flusso del mio pensiero è mal sincronizzato con quello della mia parola e che uno strabismo altalenante mi dona a tratti un’aria losca…
In quattro righe, mi piacerebbe rispondere che, secondo le circostanze, divento da un momento all’altro «una persona handicappata» nella misura in cui le mie deficienze sono percepite come persistenti e significative e mi limitano nello svolgimento delle normali attività che ci si aspetta da un adulto di cinquantuno anni.
Questo tipo di domanda, che si ritrova su diversi/moduli governativi, mi rendono sempre perplesso se non frustrato. Provo disagio nel risolvermi a rispondere con un «sì» o con un «no». E quel po’ di righe supplementari previste a volte per «precisare» la mia risposta sono un invito alla derisione, sapendo troppo bene come il rispondere «encefalopatia con emiparesi sinistra di forma idiopatica» non sia che una mezza verità e che per dare una risposta completa (che non è necessariamente desiderata) io dovrei scrivere la mia vita.
Il problema nasce dalla domanda, che giustappone due ordini di realtà: quella di avere una o più deficienze o limitazioni funzionali e quella di essere handicappato.
Solo gli adulti pongono questo genere di domande. I bambini constatano le deficienze senza presumere che siano sintomo di un problema o di una difficoltà. Interrogano direttamente la differenza: «Perché ti trema la mano?», «Perché parli male?», «Perché hai l’occhio un po’ storto?» senza l’intenzione di giudicarla rapportandola a una scala di pseudonormalità. Ma i bambini crescono! Ecco perché, se è vero che tutti gli uomini nascono uguali, certi diventano «handicappati» ritrovandosi fuori dalla norma.
Traduzione di Fiorenza Mormile e Maria Teresa Carbone
Nessun commento:
Posta un commento