martedì 1 ottobre 2013

Funzionari (o della scrittura come attività delinquenziale e curativa)


Paolo Morelli
Un paio di anni fa, poco prima dell’estate, in un paese sul lago di Bracciano si sono accorti che l’inquinamento delle acque prospicienti superava il livello consentito per la balneazione. Subito hanno convocato un consiglio comunale, durante il quale hanno alzato i parametri del livello consentito, aprendo così la stagione balneare. Un mio amico che ci abita mi ha detto che pure il sindaco e gli assessori si bagnavano con tutta la famiglia.
Abbiamo qui un esempio di realtà, la prova che la realtà è un fatto di proporzioni, e pure un fatto di maggioranza. È come la democrazia per esempio, e come la democrazia tende a infiacchirsi e poi in sequenza a irrigidirsi. La realtà oggi è come l’identità regionale per esempio, un angolo ritenuto sicuro nel quale rifugiarsi e difendersi dalla ‘confusione’. È come la razionalità, nella fissazione, hegeliana ma ormai inveterata, che tutto il reale sia razionale. La realtà è una malattia che hanno tutti o quasi, quindi nessuno se ne accorge.
Questo secondo me è il punto di partenza, se non si vuole dare tutto per scontato.
Ma poi è vero bisogna raccontarla, la realtà dei fatti. Ci sono per esempio i giornali. C’era una bella immagine di Gianni Celati che descriveva un articolo giornalistico come un’insegna sopra e sotto una serranda chiusa fatta di parole. Dietro quella serranda c’è il fatto, reso irrangiungibile dal linguaggio che gli si sovrappone, una serranda chiusa fatta di stilemi troppo affidabili e parole morte, già concluse nel loro ciclo di reattività e percezione.
Poi però si arriva alla realtà quando cade in mano alla letteratura. Qui il livello percettivo sembra cambiare. Ma cosa lo fa cambiare? La qualità delle parole? La particolare percezione dell’autore o la sua autorevolezza?
Io direi, nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto l’autorità che assume, anzi che viene conferita allo scrittore quale porzionatore di destini, quale gestore di ‘visioni del mondo’. È questo e quasi solo questo il parametro odierno secondo me, che dà valore particolare al fatto raccontato dallo scrittore.
Oggi pare che dopo la soluzione finale con la figura dell’artista (figura inaffidabile e quanto mai delinquenziale), gli si sia sostituita la figura del funzionario di quello che possiamo chiamare Ministero dell’Interno (nel senso di Interiorità), il cui motto è: ‘chi sta dentro sta dentro e chi sta fuori sta fuori’. L’arte cosiddetta che ne esce deve avere un requisito solo: la mente non deve muoversi, non deve fare errori né vagheggiamenti mentre si legge, si ascolta o si guarda, uno stato di ipnosi, una mente-carcere deve produrre menti-carcere che però si trovano bene, comodi come si dice delle carceri svedesi. L’arte è diventata conservatrice, e si fa fatica a crederlo, un vero e proprio ostacolo o blocco alla percezione. Il funzionario, sotto sotto, racconta sempre la stessa storia, quella dello sfigato che è simpatico ma pure pronto a diventare fortunato e a difendersi di conseguenza, tanto non se ne accorge.
Ecco, per me è questa la realtà, quella di cui non ci si accorge. È la sua condizione essenziale, necessaria e sufficiente, altrimenti è un’altra cosa di cui potremmo discutere a lungo. Lui il funzionario invece è talmente sicuro di esser dentro (vale a dire di saperci fare) che la crede quasi una scoperta, è assai sicuro che l’esterno sia qualcosa di immanente che inabita la sua vita percettiva, è praticamente certo che la mente sia il suo io.
Per me resta il pensiero alla scrittura come attività delinquenziale, come sosteneva Manganelli, ma pure curativa e cerimoniale, cioè lasciare che sia destabilizzante per tutto il mondo né più né meno, noi per primi. Bisognerà quindi trovare una mediazione, uno strano appuntamento tra quella parte in noi che vuol vedere impaginate e lette le sue cose perché è qualcosa che abbiamo ricevuto in qualche modo e vogliamo restituire, e quella parte che sa che più cose di lui circoleranno e più è probabile che troverà difficoltà a delinquere, a perdersi, annullarsi, quindi vedere e magari provare a raccontare che niente sta mai fermo, a vuoto il più delle volte.
In questo paese la situazione è disperata ma chi lo dice resta un pessimista, un mettimale, presuntuoso o invidioso, non è gentile, è disfattista. I funzionari non amano essere disturbati, stavolta abbassano i parametri perché siano alla loro altezza.

 
Giovedì 3 ottobre, alle 18,30, nella libreria Fahrenheit 451, p.zza Campo de' Fiori 44, Paolo Morelli farà una lettura strampalata del suo Racconto del fiume Sangro (Quodlibet): "tra lettura e divagazione il racconto di un viaggio lungo un fiume per contemplarne l'acqua, e scoprire che l'unica cosa a cui si può ragionevolmente pensare da vivi è andare avanti, senza saper bene perché".

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