lunedì 14 ottobre 2013

Bibliomania e bibliofollia / 3 - Lucio Anneo Seneca, Contro i troppi libri


C. Savolini, Morte di Seneca
Uomo di straordinarie contraddizioni fu Lucio Anneo Seneca (4 a. C. - 65 d. C.). Tre volte sulle ali della gloria e tre volte nella polvere: questore e retore brillantissimo, fu messo a morte da Caligola, nel 39: si salvò solo perché una favorita dell’imperatore, vedendolo gracile e malaticcio, consigliò di risparmiarne la vita, ormai prossima alla fine; poi, riconquistato il proscenio, su istigazione di Messalina fu accusato dal nuovo imperatore Claudio di una tresca con la propria nipote Giulia Livilla, sorella di Caligola: Giulia venne giustiziata, Seneca esiliato in Corsica; grazie agli uffici pietosi di Agrippina, ora moglie di Claudio, che s'era sbarazzato di Messalina, egli rientrò in patria; nominato pretore, gli furono affidate le cure dell’educazione del giovane Nerone. Morto Claudio (avvelenato dalla moglie), egli, assieme al capo dei pretoriani Afranio Burro, resse, di fatto, le sorti dello Stato. Roma era, però, in quel tempo, una fucina infernale: Nerone fece uccidere Agrippina e Burro, quindi ordinò a Seneca il suicidio sulla scorta di labili accuse di cospirazione (nella congiura dei Pisoni): ordine che egli eseguì, assieme alla giovane moglie Paolina; ecco Tacito, dagli Annali:


‘La moglie dichiarò ... che anche a lei era destinata la morte, e chiese la mano del carnefice ... da un solo colpo ebbero recise le vene del braccio. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal poco cibo offriva una lenta uscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia, ed abbattuto da crudeli sofferenze, per non fiaccare il coraggio della moglie, e per non essere trascinato egli stesso a cedere di fronte ai tormenti di lei, la indusse a passare in un'altra stanza ...’

Fu, allo stesso tempo, lusingato dalle blandizie del potere (in esilio scrisse una Consolatio ad Polybium, gonfia di adulazioni, con cui chiedeva la grazia all’imperatore), ma anche intessuto d’un naturale stoicismo di fronte alle avversità tutte dell’esistenza (in gioventù aveva aderito ai severi principî del filosofo Quinto Sesto). Le Epistole a Lucilio, suo testamento morale, si configurano quale codice di disciplina con cui avvicinarsi serenamente alla morte. Ecco l’epistola 26:

Non conta nulla la stima degli uomini: essa è sempre dubbiosa e accordata tanto al vizio quanto alla virtù; non contano gli studi ... la morte sola è il giudice nostro ... Le opere tue appariranno solo all'ultimo tuo sospiro. Io accetto questa condizione: non temo il tribunale della morte


e pochi anni prima, nel De tranquillitate animi:


Il saggio ... non indietreggia mai di fronte ad essa [la fortuna]. Né ha di che temerla, perché non soltanto gli schiavi e le proprietà e gli onori, ma anche il proprio corpo e gli occhi e le mani ... e se stesso ... egli annovera fra i beni conquistati per grazia altrui e vive come ceduto in prestito e pronto a restituirsi senza rammarico al creditore che ne facesse richiesta. Il giorno in cui gli sarà comandato di restituire, non si lamenterà con la fortuna, ma dirà: ‘Ti ringrazio per quello che ho posseduto e goduto. Con grande spesa ho curato i tuoi doni, ma, poiché così comandi, te li consegno, te li rendo con gratitudine e letizia’ ... Se ci chiamerà a rapporto la natura ... diremo anche a lei: ‘Riprenditi quest'anima: la ritroverai migliore di come me l'hai data’; non cerco pretesti né mi sottraggo’ …


Forse qui la soluzione dell’ambiguità di Seneca: accettare il fato, nelle sue discese repentine e nelle risalite, negli onori e nelle umiliazioni, poiché tutto ciò che abbiamo di più caro, i nostri affetti, le ricchezze e noi stessi, non sono che prestiti temporanei della fortuna e della natura.

Nello stesso anno, nel 65, sempre per ordine di Nerone, si suicidò, a venticinque anni, il poeta epico Marco Anneo Lucano, figlio di Marco Anneo Mela, fratello di Seneca; per gli stessi motivi, l’anno successivo, si toglierà la vita Petronio Arbitro. 

Federico Fellini rispecchiò questi terribili brani storici nel più composto e luminoso degli episodi del suo Satyricon, quello della Villa dei suicidi.



Lucio Anneo Seneca, Contro i troppi libri (62 – 65 d. C.)

Epistole a Lucilio, I, 2-6

"Bada poi che il fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po' segno di incostanza e di volubilità. Devi insistere su certi scrittori e nutrirti di loro, se vuoi ricavarne un profitto spirituale duraturo. Chi è dappertutto, non è da nessuna parte. Quando uno passa la vita a vagabondare, avrà molte relazioni ospitali, ma nessun amico. Lo stesso capita inevitabilmente a chi non si dedica a fondo a nessun autore, ma sfoglia tutto in fretta e alla svelta. 3 Non giova né si assimila il cibo vomitato subito dopo il pasto. Niente ostacola tanto la guarigione quanto il frequente cambiare medicina; non si cicatrizza una ferita curata in modo sempre diverso. Una pianta, se viene spostata spesso, non si irrobustisce; niente è così efficace da poter giovare in poco tempo. Troppi libri sono dispersivi: dal momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta possederne quanti puoi leggerne. 4 ‘Ma,’ ribatti, ‘a me piace sfogliare un po' questo libro, un po' quest'altro.’ È proprio di uno stomaco viziato assaggiare molte cose: la varietà di cibi non nutre, intossica. Leggi sempre, perciò autori di valore riconosciuto e se di tanto in tanto ti viene in mente di passare ad altri, ritorna poi ai primi. Procurati ogni giorno un aiuto contro la povertà, contro la morte e, anche, contro le altre calamità; e quando avrai fatto passare tante cose, estrai un concetto da assimilare in quel giorno. 5 Anch'io mi regolo così ; dal molto che leggo ricavo qualche cosa. Il frutto di oggi l'ho tratto da Epicuro (è mia abitudine penetrare nell'accampamento nemico, ma non da disertore, se mai da esploratore); dichiara Epicuro: ‘È nobile cosa la povertà accettata con gioia.’ 6 Ma se è accettata con gioia, non è povertà. Povero non è chi ha poco, ma chi vuole di più. Cosa importa quanto c'è nel forziere o nei granaî, quanti sono i capi di bestiame o i redditi da usura, se ha gli occhi sulla roba altrui e fa il conto non di quanto ha, ma di quanto vorrebbe procurarsi? Mi domandi quale sia la giusta misura della ricchezza? Primo avere il necessario, secondo quanto basta. Stammi bene".

V, 45, 1

"1 Ti lamenti che lì a Siracusa ci siano pochi libri. Non importa il loro numero, ma il loro valore: una lettura ben determinata è utile, quella condotta su svariate opere può solo divertire. Se uno vuole arrivare a destinazione, deve seguire una sola strada, non vagare qua e là: questo non è avanzare, ma andare errando".

XI-XIII, 33-41

"La saggezza è cosa grande e vasta; ha bisogno di uno spazio sgombro; si devono acquisire nozioni sull'umano e il divino, sul passato e il futuro, sull'effimero e l'eterno, sul tempo. E su questo solo argomento guarda quanti problemi sorgono: primo, se sia qualcosa di per sé; poi, se ci sia qualcosa prima del tempo e senza tempo; se è cominciato col mondo oppure, visto che dev'essere esistito qualcosa prima del mondo, se anche il tempo sia esistito prima del mondo. 34 Innumerevoli questioni si pongono poi solo intorno all'anima: la sua origine, la sua natura, quando cominci a esistere, quanto viva, se passi da un luogo all'altro e cambi sede, gettata nelle spoglie ora di uno, ora di un altro animale, oppure sia schiava solo una volta e, liberata, vaghi nell'universo; se sia o no corporea; che cosa farà quando finirà di agire per mezzo nostro, come farà uso della sua libertà una volta fuggita da questa gabbia; se dimentichi la vita precedente e cominci a conoscere se stessa dal momento in cui, distaccatasi dal corpo, sale in cielo. 35 Qualsiasi parte delle questioni umane e divine prenderai in considerazione, sarai spossato dall'ingente quantità di quesiti e di nozioni. Eliminiamo dal nostro animo le nozioni superflue perché questi problemi così numerosi e importanti possano trovare campo libero. La virtù non si va a rinchiudere in stretti confini; una cosa grande necessita di un ampio spazio. Bisogna scacciare tutto dal proprio petto e lasciarlo sgombro per la virtù. 36 ‘Ma mi piace conoscere molte scienze.’ Rammentiamone solo lo stretto necessario. Oppure secondo te è riprovevole chi raccoglie oggetti superflui e in casa fa sfoggio di preziose suppellettili, e non chi ha la mente ingombra di inutili suppellettili letterarie? Voler conoscer più del necessario è una forma di intemperanza. 37 Che dire poi di questa avida ricerca delle arti liberali che ci rende importuni, prolissi, intempestivi, compiaciuti di noi stessi e incapaci di apprendere il necessario, perché abbiamo imparato il superfluo? Il grammatico Didimo scrisse quattromila libri: ne avrei compassione se solo avesse letto una simile mole di inutilità. In questi libri si discute sulla patria di Omero, sulla vera madre di Enea, se Anacreonte fu più dedito al sesso che al vino, se Saffo fu una donna di malaffare e altre questioni che, se si conoscessero, sarebbe bene disimparare. Su, e adesso nega che la vita sia lunga! 38 Ma anche quando arriveremo alle dottrine stoiche, ti mostrerò che bisogna sfrondare molto a colpi di scure. Gran perdita di tempo e gran fastidio agli ascoltatori costa questo elogio: ‘Che uomo colto!’ Accontentiamoci invece di questo titolo più semplice: ‘Che brav'uomo!’ 39 Non è così ? Sfoglierò gli annali di tutti i popoli per cercare chi fu il primo poeta? E non disponendo dei fasti, farò il conto di quanti anni intercorrono tra Orfeo e Omero? Esaminerò le note con cui Aristarco segnava i versi spuri e consumerò la mia vita sulle sillabe? Rimarrò lì a tracciare figure geometriche sulla polvere? Ho dimenticato fino a questo punto quel famoso salutare precetto: ‘Risparmia il tempo’? Dovrei conoscere questi argomenti? E che cosa dovrei ignorare? 40 Il grammatico Apione, che al tempo di Caligola girò per tutta la Grecia e fu accolto da tutte le città in nome di Omero, sosteneva che Omero, portate a termine sia l'Iliade che l'Odissea, aggiunse un proemio alla sua opera, in cui comprendeva tutta la guerra di Troia. Come prova di questa affermazione adduceva il fatto che il poeta aveva inserito di proposito nel primo verso due lettere che indicavano il numero dei suoi libri. 41 Se uno vuole sapere molto, deve saperle queste cose!"

Libro XV, 93, 11

"‘Non visse tanto a lungo quanto avrebbe potuto’ Anche un libro di poche righe può essere apprezzabile e utile: hai presente la mole degli annali di Tanusio e che fama li accompagni. La lunga vita di certa gente è simile e segue la stessa sorte degli annali di Tanusio [Tanusio Gemino, ponderoso storico del primo secolo a. C.]’"

PS. Perché non si leggono più i classici? Non si leggono i classici perché li si disprezzano. E li si disprezzano perché non vengono fatti leggere. Si legge esclusivamente ciò che qualche antologista costruisce, in poche pagine, su determinati autori al fine di strappare un 6 alle blande interrogazioni liceali. Ed è a scuola che si forma, nelle fragili menti dei sedicenni, il micidiale immaginario collettivo che porterà poi a schifare la classicità. Chi è Messalina? Una zoccola! Negli anni Settanta circolava pure un fumetto erotico titolato Messalina ... Pochi sanno che fu costretta a quattordici anni a sposare Claudio, brutto, zoppo e quasi cinquantenne. Agrippina? Pure lei … Eppure fu una formidabile donna di Stato, fondatrice della città di Colonia, una delle poche italiane a fregiarsi del titolo, di fatto, di imperatrice. E Nerone? Un matto … Qualcuno si ricorderà la parodia di Petrolini, altri i bamboleggiamenti di Peter Ustinov in Quo vadis? quando l'imperatore tenta vaghi accordi sulla cetra sullo sfondo di una Roma che arde dell’incendio da lui appiccato … In realtà Nerone fu uomo complesso; quando si scatenò il rogo, egli era a Ostia; rientrò precipitosamente nella capitale dove offrì alla plebe, come rifugio, i vasti giardini imperiali e ordinò una serie di sequestri delle derrate alimentari in modo da spegnere le inevitabili speculazioni; fu anche uomo di polso: rivoluzionò la  monetazione a favore degli strati sociali più in difficoltà, tolse fondi ai ludi circensi proprio per girarli alla popolazione meno abbiente.
In Romanìa (accento sulla ‘i’) vi è un centro di studi neroniani piuttosto attivo. La Romanìa si chiama così perchè deriva da Romanus, evidentemente, ma forse anche da Romània (accento sulla ‘a’), l’insieme delle province legate dal latino (da cui s’originarono, poi, le parlate romanze: francese, romeno, portoghese, spagnolo et cetera).
La Romanìa fu conquistata da Traiano fra il 101 e il 106 d. C. La celebrazione di quella vittoria, contro Geti e Daci, fu effigiata nei bassorilievi della Colonna Traiana, eretta nel 113, esattamente 1900 anni fa. E la colonna è ancora lì, nei pressi di Piazza Venezia. Poco distante è pure la Domus Aurea di Nerone: anch’essa in piedi, ma ancora per poco.

PPS. Seneca, nonostante i numerosi squarci nelle vene, trovò la morte ingerendo finalmente della cicuta, come Socrate. La moglie di Seneca, Paolina, venne salvata, invece, su ordine di Nerone - Nerone che fu costretto al suicidio due anni dopo, nel 68.

2 commenti:

  1. Si disprezzano (più che si odiano) i classici perché la cosiddetta cultura moderna, quella che ha trionfato su tutto, perfino sulla bimillenaria chiesa cattolica (e sul suo latino). ha addirittura ridicolizzato l'idea del 'classico'. I professori universitari e quelli più 'aggiornati' del liceo guardano con commiserazione chi si avvale ancora di simili categorie. Ci si diverte a smontare l'iopotesi di una età 'aurea', si rivalutano tutti gli espressionismi metastorici...

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    1. Sono così d'accordo sulla sua notazione che ho cambiato il post: 'disprezzo' in luogo di 'odio'.

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