Maria Cristina Reggio
Si sorride, ci si commuove e si applaude molto di fronte al Malato immaginario che Teatro Kismet
OperaA di Bari porta in scena al Teatro
Vascello, raccontando la morte di Jean Baptiste Poquelin, alias Molière. Molière, che ha preso commiato dalla sua
esistenza di attore e drammaturgo vomitando sangue per la tubercolosi mentre
recitava per lʼultima volta il ruolo di Argante nel suo Malato immaginario. Teresa
Ludovico, regista e autrice del Teatro
Kismet OperA di Bari, nella sua riscrittura per Il malato immaginario ovvero Le Molière imaginaire, reinventa lʼultima
rappresentazione del grande autore e teatrante francese che si era rinominato
femmina (mulier in latino) con
sguardo affettuoso e sapienza coreografica, complice la splendida partitura musicale
variata e malinconica del Molière imaginaire
di Nino Rota, composta nel 1976 per un Ballet Music di Maurice Béjart e qui riarrangiata da Michele Di
Lallo per il pianoforte di Cosimo Castellano e il fagotto dello stesso Di Lallo
.
Svolgendo il
tema del travestimento ispirato dallo stesso Molière, la regista pone accanto
al doppio Argante-Molière, una figura, anchʼessa duplice, femminea e maschile
al tempo stesso, che continuamente dialoga con lui: è un Pulcinella-Serva
(corpo plastico di marionetta e vibranti tonalità vocali partenopee di Augusto
Masiello), che apre e chiude il sipario come personaggio burattinesco della
commedia dellʼarte per indossare poi a vista i panni (raffinati e colti costumi
disegnati da Luigi Spezzatatene) della serva sul palco. Ciò che più colpisce in questo allestimento
visto al Vascello è il ritmo perfetto tracciato dalla partitura musicale, coordinato con la perfetta geometria delle azioni e dei movimenti, mai gratuiti, di
tutti i personaggi. Un fagotto e pianoforte che non sono una colonna
sonora di sfondo o un semplice intermezzo, ma i cui timbri rispettivamente comici, buffi e melodici, disegnano
concatenazioni di gesti di una coreografia volutamente a tempo oppure
a-sincrona o in contrappunto: come quando un ritmo orchestrato, veloce e
divertente accompagna la scena corale del duello, tutta rappresentata con
movimenti degli attori in ralenti. Qui i personaggi, che indossano costumi molto
stilizzati e che si muovono lentamente su un palco il cui pavimento è tripartito
in altezze diverse, occupano visivamente lʼintero spazio scenico in una scena
esilarante che ricorda certe situazioni del burlesque.
La regia
dispone un meccanismo estremamente efficace di gesti e movimenti degli attori,
senza affidare al caso e allʼimprovvisazione nemmeno un secondo del tempo
scenico, cosicché gli stessi attori che entrano in scena o ne escono attraverso
semplici porte-botole sul pavimento, appena sono "sotto", ovvero fuoriscena, diventano attrezzisti che porgono gli oggetti a quelli che si trovano
sul palco. Il fuoriscena a vista, funzionante come un perfetto congegno a
orologeria, ci dimostra che lo spettacolo è frutto di un serio percorso
laboratoriale, attento alle specificità e alle risorse fisiche degli attori,
taluni ancora acerbi. Le gradazioni stesse di tonalità grottesche che tingono lʼintera
pièce sono misurate sui loro corpi, i
cui volti sono tutti dipinti, come maschere, con uno spesso cerone bianco,
quasi a ricordare i volti del film drammatico di Ariane Mnouchkine del 1978 La mort de
Molière, oppure
lʼadamantino video omonimo in HD di Bob
Wilson del 1994. Ma se anche ci fosse la citazione, qui il bianco assume
tuttʼaltro senso: non è il richiamo a un colore di morte, ma piuttosto il
colore candido della maschera napoletana che qui
ha perso anche il residuo di faccia nera che la distingue per tradizione, e il cui eloquio ci riporta al Malato immaginario messo in scena da Peppino De Filippo nel 1972. Quella di oggi è una bianca maschera di Pulcinella
saggia, fedele e petulante come una vecchia donna di servizio affezionata, ma
anche tenera come un fratello paziente che, del malato brontolone e risucchiato
nella sua grande poltrona, condivide, con affetto e devozione, la vita e lʼamara
sorte.
Nessun commento:
Posta un commento