Continua il Laboratorio di traduzione di poesia, dedicato quest'anno alla raccolta Failure dello statunitense Philip Schultz, che proprio per questo libro ha vinto il premio Pulitzer. In attesa del prossimo incontro, che si terrà martedì 25 febbraio alle 18 intorno al grande tavolo di Plautilla, proponiamo la versione definitiva della poesia The One Truth (in basso il testo originale). Se qualcuna/o desidera partecipare al laboratorio o proporre varianti alla traduzione, è invitata/o a mettersi in contatto con la coordinatrice Fiorenza Mormile.
Dopo aver sognato
troni splendenti
per sessant’anni,
chiesto a un dio
mai amato forza e
misericordia
dopo aver ficcato i
pollici
nelle tasche dei
suoi piani di immigrato,
mentre parcheggiava
macchine di giorno
e portava il taxi di
notte,
dopo che un figlio
era nato morto
e lui aveva inciso
il nome di quello vivo
nella neve sul
parabrezza nella bufera del ’45,
dopo aver raschiato
via piscio, sangue
e vomito dai
pavimenti delle fabbriche
da mezzanotte
all’alba,
poi riempito vassoi
di noccioline,
dolciumi e sigarette
nei suoi
distributori automatici per tutto il giorno,
il respiro un
risucchio ansimante
e un sibilo
affannoso
nella morsa del
petto,
dopo essersi lavato
faccia, ascelle
e palle in fredde
stanze spoglie,
sempre di corsa tra
la fame
di gloria e la paura
di non lasciare
altro che debiti,
dopo un infarto e
una caduta
giù per le scale di
una fabbrica,
il figlio che gli
urlava
di piantare il
lavoro e riposarsi,
dopo essere stato
messo k.o.
dal colpo che
aspettava da una vita,
il figlio che gli
chiedeva perdono
e la moglie che lo
chiamava piangendo,
dopo aver alzato lo
sguardo su di loro
dall’inferno, con
l’anima
che gli avvizziva
tra le braccia-
è questo allora il
fallimento,
finire dove aveva
cominciato,
nessuno tranne un
Dio sordo e muto
a dargli il
benvenuto,
i pugni che
battevano al cancello-
è questa la sola
verità,
trovarsi in un pozzo
nero
al fondo di se
stesso,
senza fiato
abbastanza
per dire addio
o chiedere perdono?
for sixty years, praying to a god
he never loved for strength, for mercy,
after cocking his thumbs
in the pockets of his immigrant schemes,
while he parked cars during the day
and drove a taxi all night,
after one baby was born dead,
and he carved the living one's name
in windshield snow in the blizzard of 1945,
after scrubbing piss, blood
and vomit off factory floors
from midnight to dawn,
then filling trays with peanuts,
candy and cigarettes
in his vending machines all day,
his breath a wheezing suck
and bellowing gasp
in the fist of his chest,
after washing his face, armpits
and balls in cold back rooms,
hurrying between his hunger
for glory and his fear
of leaving nothing but debt,
after having a stroke and
falling down factory stairs,
his son screaming at him
to stop working and rest,
after being knocked down
by a blow he expected all his life,
his son begging forgiveness,
his wife crying his name,
after looking up at them
straight from hell, his soul
withering in his arms—
is this what failure is,
to end where he began,
no one but a deaf dumb God
to welcome him back,
his fists pounding at the gate—
is this the one truth,
to lie in a black pit
at the bottom of himself
without enough breath
to say goodbye
or ask for forgiveness?
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