giovedì 20 febbraio 2014

"Pur'io li metto così quanno spiccio ..."

Remo (Alberto Sordi) e la “sua signora”, Augusta (Anna Longhi) sono alla Biennale di Venezia 1978: si imbattono in una serie di enormi imbuti rovesciati, una delle tante installazioni artistiche trasgressive presenti alla mostra: e Augusta se ne esce così: “Pur’io li metto così quanno spiccio”.
E ha ragione lei. Oggi, un’altra Augusta, inserviente addetta alle pulizie della Sala Murat di Piazza del Ferrarese, a Bari, si è sbarazzata populisticamente di qualche cartone di ciarpame che, ahi!, costituiva il nerbo materico di una rassegna di arte contemporanea ambiziosamente titolata Display Mediating Landscape.
Pare che gli incidenti di questo tipo proliferino: qualche anno fa un altro figlio della plebe cancellò alcune tracce di sangue (finto) nell’installazione di un tal Umberto Vaschetto, dedicata “allo spinoso tema della Ru486, la pillola abortiva”. Ecco la descrizione della somma provocazione: “L’opera choc rappresenta un feto che tenta di evadere dal corpo materno utilizzando un bisturi. La completa un particolare, un tocco d’artista: una pozzanghera di ‘sangue’ (una vernice rimovibile, la stessa utilizzata dagli attori nelle scene ‘splatter’) sul pavimento, che sembra appena colata dalla ferita sul pancione”.
Qualche anno prima un altro membro della Suburra (un operatore ecologico) s’imbatté nella riproduzione di un cavallo (privo di testa); senza por tempo in mezzo l’acciuffò, consacrandola a più miti pretese: la schiaffò, infatti, nel camion tritarifiuti. Quando gli allibiti galleristi (che l’avevano lasciata per pochi minuti sul marciapiede) si accorsero dell’errore, le Parche avevano tessuto e tagliato il filo di un destino malvagio: l’opera di Maurizio Facheris (Euro 38.000; euro trentottomila) s’era tramutata in coriandoli.
Ma le leggende fioriscono senza fine: un rude muratore s’aggira per la galleria: vede una sbrecciatura; tosto si precipita con stucco a pronta presa e cazzuola: e cancella l’inimitabile e concettosa performance (da Fontana in poi crepe e pertugi son schizzati alle stelle estetiche; e, più importante, economiche).

La Settimana Enigmistica ci pasteggia sovente: nelle vignette (tratte dal New Yorker?) vengono sovente ritratte torme di fessi intente ad ammirare estasiate grate per l’aria condizionata, estintori e pompe antincendio.
Sì … sì … un tratteggio multiforme … ehilà … sedia con corpo adagiato … un’opera vivente? Un’opera originale, cara … Io sui diciotto milioni la comprerei …” se ne esce un protagonista de Le vacanze intelligenti quando osserva un’accaldata Augusta che, per errore, s’era stravaccata sulla sedia d’una installazione artistica della Biennale. “Vedi quel corpo? Sembra una sfera che prima si sprofonda verso il basso e poi si innalza piano piano come sospinta dal vento che muove la palma …” fa, invece, un’altra babbea osservando la coattissima Augusta, grassa e immobile; e sempre più oggetto, suo malgrado, di brame collezionistiche e di valutazioni estetiche.
Me voleveno comprà pe’ diciotto mijoni …” si lamenta lei. E Sordi: “Ammazza, ma nun è troppo?”.


Su cosa si regge la quasi totalità del postmoderno? Su un patto concettuale che lega artista e fruitore; e che illumina intellettualmente il prodotto. Se quel patto, enfio di pubblicità e garantito da mediatori e critici luciferini, non ha luogo, l’opera giace inerte e si derubrica a ciò che, di fatto, è: spesso, niente. Le scatole di cereali firmate da Andy Warhol andarono a ruba alla morte del pop-artist: se le disputarono per migliaia di dollari. Qualche tempo dopo gli acquirenti, svanita la bolla d’entusiasmo garantita dal nome del creatore e dall’evento, si ritrovarono in casa, esposta in pompa magna, ciò che avevano in realtà comprato: una comune scatola di cereali.
Ed ecco lo scrittore Paul Vialar, nella presentazione di un volume sul trompe-l’oeil dell’antimodernista Gregorio Sciltian:

Trompe l’homme? Per me è tutto ciò di cui si valgono tanti impostori che ridono sotto i baffi degl’ingenui borghesi che cadono nelle loro trappole. Una ventina di anni fa ho pubblicato un romanzo intitolato Il tempo degli impostori. Vi descrivevo che cosa è l’impostura – in particolare letteraria e artistica – nella nostra epoca … nel libro … raccontavo d’un pittore che aveva fondato una Scuola del Nulla. Questo tipo, in effetti, vendeva delle tele che portavano la sua firma ed erano assolutamente bianche. All’acquirente, al gonzo, veniva spiegato che bastava osservare la tela acquistata – molto cara, ma che portava la sua firma – per vedervi tutto quanto NON vi era raffigurato e che poteva essere inventato a suo piacimento … Dieci anni dopo un tale, un furbastro, ha rubato la mia idea facendola sua; si è messo a firmare tele bianche e le ha poi vendute a caro prezzo e in numerosi esemplari …”.

Beata ingenuità! Da allora (1960) quanta acqua sotto i ponti … E, su tutti, ora troneggia l'imperatore degli impostori, Damien Hirst, che sentenzia: “Se tutti ti dicono che sei un genio sei sulla buona strada per diventare un coglione”. Attenzione, però, è un impostore, come detto. Egli voleva invece significare, sornione: “Se tutti ti dicono che sei un coglione sei sulla buona strada per diventare un genio”.

2 commenti:

  1. Pensierino domenicale: oggi, a trent'anni da quella Biennale (autentica nel film), il mercato della cultura e dell'arte contemporanea (geniale l'italiano, nipote dell'autore dei nostri Promessi Sposi e che vendeva le tele bianche con firma, per non parlar delle rosette) è fiorente e rigoglioso più che mai. Mi chiedo, allora, cosa faranno mai, oggi, Remo e Augusta, a trent'anni da quel '78? Forse hanno ceduto il banco di frutta agli "egizzziani", hanno fotografato tutta la biennale col telefonino, non si perdono mai le presentazioni di libri e musica e i sermoni di Fazio in TV, e, sorseggiando uno spritz, seduti alla caffetteria del Maxxi, forse pensano: "Ahò, mi ricordo ancora di quella prima volta che siamo stati alla Biennale: non ci capivamo un c...". Che risate.


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    1. Secondo me continuano a non capirci un c ...
      Ogni tanto i loro figli e nipoti se ne vanno a qualche mostra qua e là ... magari perché hanno sentito Caroli da Fazio.
      Qualche anno fa lanciai il 'collaborazionismo', corrente artistica in cui sono gli utenti a creare: collocavo tavolozza, pennelli e tela e lasciavo fare.
      Davo qualche ritocco finale e affibbiavo allo sgorbio un nome pretenzioso: ingorgo interstellare, tramonto animistico, natura irreale et similia.
      Sono gli unici quadri che ho venduto.

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