martedì 4 febbraio 2014

Con Toni Morrison "A casa", oltre l'orrore


Ti racconto un libro
Toni Morrison, A casa
Frassinelli, pp. 175, euro 18,50

Maria Vayola

Toni Morrison è, secondo me,  una grande scrittrice: incide nella mente di chi la legge qualcosa che è più profondo di una semplice sollecitazione intellettuale, si insinua come un’infiltrazione di sensualità (nell’accezione più larga del termine), di comprensione magica della realtà e dell’”altro”,  crea tra la sue storie e chi le legge una comunicazione diretta e senza filtri culturali. Con i suoi personaggi ci si impatta, ci si entra dentro, li si vive. E’, la sua, una letteratura viscerale, carica di flessuosità e di ritmo. Il suo retaggio culturale, l'Africa che le scorre nelle vene, rende la sua scrittura qualcosa di particolare rispetto a quella cosi detta "occidentale".
Ho letto quasi tutti i suoi libri, quelli che mi sono particolarmente cari sono Amatissima e Jazz dove, più  che negli  altri, il suo linguaggio si fa musica, musica blues per il primo e musica jazz per il secondo. Questo A casa è un libro (qui la sinossi) che parla di guerra e di razzismo, di comprensione e di aridità, di vite violentate e del riscatto di quelle stesse vite, della trasformazione della propria umanità, costretta a vivere l’orrore,  in un “cuore di tenebra”, e del coraggio e della forza di saperla recuperare.
Di guerra: vedere i propri amici dilaniati e continuare a vederli anche dopo che sono morti e riuscire a esorcizzare il dolore solo tramite l’assassinio indiscriminato di altri esseri viventi; vedere bambini ridotti a offrirsi come oggetti sessuali e poi ucciderli per il disgusto, non solo verso una realtà orrenda ma anche verso sé stessi per aver provato la tentazione di accettare.
Di razzismo: essere cacciati, da un giorno all’altro, dalla propria terra e dalla propria casa perché di pelle nera,  essere vecchi e picchiati a morte con spranghe di ferro e calci dei fucili,  legati a un albero con gli occhi cavati perché ci si è rifiutati di farlo; essere bastonati e presi a calci per essere entrati in un negozio dove non si accettano persone “di colore”; aver perso un braccio perché un poliziotto decide di fare il duro con un bambino e di sparargli; essere usati come cavie umane per esperimenti medici; essere sfruttati  tanto da non avere neanche la forza di rivolgere una carezza e un sorriso ai propri figli.
Di comprensione umana: una rete di solidarietà e di appoggio concreto sul territorio per gli afroamericani in difficoltà, retaggio di quella Underground Railway che aveva protetto gli schiavi fuggiaschi con una serie informale di itinerari segreti e luoghi sicuri a partire dal 1700; il lavoro di donne energiche fisicamente ed emotivamente che vanno avanti a testa alta in una vita piena di difficoltà e di ingiustizie e si prendono cura materiale e psichica di una ragazza in fin di vita ridonandole la forza di vivere e un futuro;
Di aridità umana: riuscire a trattare una bambina in modo crudele senza neanche un’ombra di affettività, distruggendone l’infanzia e la coscienza di se stessa, considerando il proprio tornaconto come unico valore che abbia senso tutelare;
Le vite dei due personaggi, Frank e Ysidra, fratello e sorella, sono state violate da tutto ciò e Frank stesso ha violato altre vite.  Il libro li riporta “ a casa” che ha una collocazione fisica a Lotus in Georgia “il posto più brutto del mondo”  e una metaforica all’interno della loro essenza umana.
Lei,  Ysidra, aiutata dalla forza vitale delle donne che la curano,  riacquista la coscienza di sé come essere umano, con propri valori e qualità e si proietta verso il futuro, lui, Frank riporta alla coscienza quello che aveva rimosso e traslato in un falso ricordo dei fatti accaduti,  si muove più  verso una ricostruzione realistica del passato per venir fuori dal buco nero in cui la guerra lo aveva gettato. Solo facendo i conti con se stesso può riemergere, forse si possono perdonare i torti subiti, quasi mai quelli commessi.
Entrambi ritroveranno la pace interiore proprio nella loro casa, dove entrambi faranno ritorno. Qui non c’è niente e nessuno da cui ritornare, né materialmente né affettivamente,  è solo la fine di un viaggio, il ritorno consapevole al luogo di partenza. Non a caso l’ultimo atto che dei due fratelli ci viene raccontato riprende ciò che marginalmente li aveva colpiti nel primo capitolo. E’ Frank lì che ci racconta, con una potenza descrittiva quasi magica, una scappatella sua e di Ysidra quando erano ancora entrambi piccoli. Il loro atto finale  rende giustizia e pietà al passato e si apre al domani.
La particolarità stilistica del libro è l’inserimento di capitoli in corsivo, in cui la voce narrante è quella di Frank che non solo ci dà il suo racconto dei fatti e il suo punto di vista, ma dialoga con la scrittrice, quasi la sfida a cimentarsi nel racconto della sua vita. La sua voce rafforza la narrazione della storia, la personalizza e la drammatizza, quasi mettesse in dubbio la capacità della scrittrice di rendere adeguatamente la sua storia, come a dire “se non hai vissuto queste cose da “dentro” non puoi capirle né renderle in tutta la loro drammaticità”. Ma la Morrison le ha vissute da “dentro” e gira il dubbio di Frank a noi lettori mettendoci all’erta.
Un’ultima cosa, nel libro ricorre sporadicamente la visione di un omino vestito con un zoot suit, abito usato dagli afroamericani negli anni ’40, non riesco bene a individuarne la funzione, ho pensato a una sorta di coscienza di Frank che lo controlla aspettando la sua rinascita, ma, come dicevo, lasciamo che Morrison giochi con noi e la nostra poca dimestichezza con gli aspetti magici e irrazionali della vita. 

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