martedì 25 febbraio 2014

"La biblioteca di Gould", armamentario per scrittori in cerca di ispirazione


Ti racconto un libro: 
Bernard Quiriny, La biblioteca di Gould 
L'Orma, pp. 192, euro 16,50
traduzione di Lorenza Di Lella
a cura di Giuseppe Girimonti Greco

Leyla Khalil
Quando ho letto in quarta di copertina che Quiriny riprende Borges, Bolaño e Calvino, sono andata letteralmente in estasi. Una cara amica ha tentato di dissuadermi, mettendomi in guardia sul fatto che spesso proprio chi si diverte a citare i grandi finisce poi per deludere. Io, testarda, non le ho dato retta e mi son letta d'un fiato il Quiriny col suo La biblioteca di Gould, edito da L'Orma, tradotto da Lorenza Di Lella e curato da Giuseppe Girimonti Greco. D'un fiato perché è un libro densissimo e senza dubbio bello, divertente, ma al tempo stesso anche un condensato di pezzi grossi della letteratura novecentesca in versione rimacinata. Riprende Jarry, ripesca Queneau, oltre ai tre grandi citati in precedenza. Riprende troppo, cita apertamente Borges e Vila-Matas, non nasconde riferimenti intertestuali, ma poi... Cosa ha di nuovo?
La biblioteca di Gould è una biografia di questo balzano bibliotecario, Gould, raccontato attraverso una decina di città inesistenti, qualche aneddoto sulla sua vita, la descrizione delle sue particolarissime collezioni libresche e di scrittori ossessionati dalla paura di essere dimenticati, da libri scritti e poi rinnegati e via dicendo. Eppure, le città inesistenti richiamano quelle invisibili che già Calvino ci aveva magistralmente narrato, gli Scrittori inesistenti ce li ha già raccontati Volodine, e sono comunque storie che si possono inventare a bizzeffe. Una maniera di “giocar facile”, proiettando un'ucronia nel futuro: basta prendere un “what if”, per dirla all'inglese, e tirare tutte le conseguenze possibili. Il fatto è che basterebbe una sola delle idee di Quiriny per scrivere un romanzo intero. Invece lui non narra, non scrive ma descrive una dopo l'altra queste realtà parallele, affastellando conseguenze di eventi o realtà improbabili, rimpicciolendo la lente fino all'inverosimile, fino a che tutte le realtà che crea sembrano minuscole immagini caleidoscopiche spiate con la lente mentre danno disegni assurdi. In un'ottica di narrativa ottocentesca o comunque mainstream, una sola storia basterebbe a soddisfare la voglia di fantasia del lettore; ma non è questo il fine di Quiriny, evidentemente.
A Quiriny interessa andare più in là possibile con l'immaginazione sintetica di mondi alternativi. Inizia, immagina, scrive e mette da parte per cominciare un mondo immaginario nuovo, da capo, al capitolo seguente. Un po' come uno dei personaggi di cui narra, quello che perde la memoria a breve termine e che finisce per scrivere racconti brevissimi che mano a mano si fanno sempre più simili fra loro fino al giorno in cui scrive due racconti identici senza riconoscerne l'identità perché già non si riconosce più come autore di ciò che ha scritto il giorno prima. Il tema del riconoscimento dell'identità torna spesso, come in quella città narrata dove si parlano tre lingue uguali fra le quali però non c'è intercomprensione alcuna, così ogni insegna è scritta tre volte nella stessa maniera. O come la città speculare che al di là del fiume replica se stessa ed ogni palazzo, albero, probabilmente ogni persona della rive gauche ha un suo doppio sulla rive droite. Il mondo di Quiriny è una grande Babele. Viene spesso, leggendo l'autore francese, il dubbio che questi non stia facendo altro che metaforizzare se stesso attraverso una miriade di esempi. Una su tutte, quella dei libri-matrioska. Leggendo la spiegazione di Quiriny, sorge il dubbio che il suo scritto non sia una bambola russa che contiene mille altri libri.
Perché in effetti La biblioteca di Gould è un libro pienissimo di spunti: più che un libro, a me verrebbe da pensarlo come utensile per scrittori in cerca di ispirazione. Ogni frase che Quiriny scrive contiene potenziali racconti, film, miraggi visionari. D'altronde, Quiriny descrive l'assurdo non soltanto in termini di libri strampalati e scrittori incredibili, ma anche narrando di opere d'arte interattive che non possono esistere o, come già detto, città che non ci sono.
Tutto potenziale, in Quiriny, e tutto visto attraverso una lente di rimpicciolimento in cui si guarda tanto all'universale che i singoli individui finiscono per non essere altro che lillipuziani macchinari impazziti, senza importanza, le cui storie sono appena accennate, solo per contribuire ad un'immagine generale. E l'immagine generale è anche frutto di giochi e trappole tese al lettore, il quale finisce nella condizione descritta da Quiriny stesso, ovvero quella in cui “a furia di cercare sottotesti”, non si legge più, ma si scruta e si ispeziona soltanto. A me piacerebbe prenderla, ognuna di quelle storie, e raccontarla, perché le vite dei singoli è così bello raccontarle una ad una, scavare nella psiche, non lasciarsi sfuggire niente.
Si finisce di leggere Quiriny, un po' come il protagonista e amico di Gould di cui l'autore narra la storia finisce di leggere i “libri-sileni” che Gould gli presta, quei “libri da nulla, romanzetti mal confezionati, baggianate di ogni specie, senza valore, ma che a dispetto di tutto racchiudono tesori”. Quei libri in cui “non speriamo di trovarci nulla di interessante, poi di colpo ci imbattiamo in un paragrafo memorabile, in un dialogo spassoso o in una battuta esilarante”. Il fatto che Quiriny lasci il lettore con la descrizione di “un brutto romanzo al cui interno sono racchiuse dieci righe sublimi” fa pensare che forse, autoironicamente, ritenga che anche il suo sia uno di quelli.
Quiriny torna tanto su se stesso che se dovessi pescare un'immagine per descriver il suo scritto sarebbe di certo un uroboro, il noto serpente che si morde la coda.
Brutto romanzo ovviamente non lo ritengo, personalmente. Lo ritengo, invece, utensile per scrittori in cerca di ispirazione. C'è il mondo, nel libro di Quiriny, ma visto troppo da lontano. C'è bisogno di qualcuno che voglia scrutarlo più da vicino, sarebbe curioso veder cosa ne vien fuori.

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