sabato 22 giugno 2013

Monumenti di carta

Ti racconto un libro:
Andrea Kerbaker, Lo scaffale infinito
Ponte alle Grazie, pp. 264, euro 16,80

G. Luca Chiovelli

Riconosciamo ad Andrea Kerbaker del coraggio. Egli ha l'ardire, in pieno 2013, nell’era della morte del cartaceo, di scrivere un libro, il proprio, che tratta di bibliofili (costruttori di biblioteche o estensori di cataloghi, i libri dei libri) che sacrificarono le proprie vite allo scopo di diffondere, creare ed alimentare amore (e, in taluni casi, libidine) per i libri stessi; una progressione vertiginosa, specie se si tien conto che noi (io, l’estensore di questa recensione e voi, i lettori) non facciamo che creare altri libri, ovvero una sequenza conchiusa e felice di parole e pensieri organizzati, microbica e temporanea oasi nel Caos universale. D’altra parte cos'è un libro se non lo specchio di altri libri? E una biblioteca in cosa consiste se non in un gioco virtualmente infinito di rimandi, che vive autoreferenziale, escludendo la realtà (della vita, secondo il filosofo Pepe Carvalho, o del mondo superiore, il solo reale)? Si potrebbe obiettare che i libri riproducono la realtà, ma questo è spesso falso; anzi, i libri ci aiutano a sopportarla, la realtà, o fuggendola o migliorandone lo spessore e l'universalità, così come il canestro di frutta di Caravaggio migliora e sublima tutti i canestri di frutta del mondo reale; e i libri di cui parla Kerbaker ancor di più assolvono a tale compito, perché sono essi stessi opere d'arte, al netto del contenuto, come il Commento di Servio a Virgilio appartenuto a Francesco Petrarca: "grande, austero, autorevole, nel suo formato imponente reso ancora più maestoso da una legatura blu intenso dove, sotto la scritta in oro Virgilius cum notis Petrarcae, si ripetono gli stemmi imperiali con la N di Napoleone [che aveva requisito il libro durante la campagna di guerra in Italia] ... "; un capolavoro bibliografico noto anche per "la celeberrima illustrazione dell'incipit, quella dipinta da Simone Martini. Un'intera pagina di grande formato su un abbacinante sfondo blu", esornata ulteriormente dalla calligrafia del Petrarca, nitida e simmetrica sino all'inquietudine. Kerbaker, anch’egli collezionista (ha un patrimonio di 25.000 volumi), si sdilinque, e con piena ragione. Non crediate che questi siano meri argomenti formali; il vestimento, infatti, influisce sulla sostanza stessa del libro e, quindi, sul godimento che se ne trae. Petrarca (o Shakespeare o Cormac McCarthy) in cattiva edizione (copertina squillante, carta riciclata, rilegatura brossurata) non è più Petrarca (o Shakespeare o Cormac McCarthy), ma un gemello, apparentemente simile, che soffre una segreta patologia; come asserì Enfield a proposito di Mr. Hyde: “Deve avere un che di deforme: dà una forte impressione di deformità, benché mi sia impossibile specificarne la natura. E' un tipo assolutamente fuori dal comune, eppure non saprei indicare niente di insolito”.
Ciò è facilmente sperimentabile da chiunque.


Provate a leggere, che so, L'educazione sentimentale di Gustave Flaubert, in una edizione dall'ottima rilegatura, di non grande formato, rivestita in pelle o simili - edizione che reca sul dorso, discretamente ed elegantemente, autore e titolo: la pelle accarezza e blandisce il palmo delle mani, il corpo si rilassa predisponendosi alla lettura attenta e serena, le due ali del libro ricadono con dolce languore ai lati, la carta fine delle pagine asseconda il moto lieve delle dita che le fanno trascorrere dalla destra alla sinistra, il nostro animo ondeggia calmo al ritmo delle pulsioni segrete di Frédéric e Marie ... provatevi, invece, a compulsare un paperback da pochi euro dello stesso libro: dovrete impegnare le due mani per tenerlo aperto, divaricandolo e schiacciandolo come un pollo alla piastra, oppure inserire indice e medio a mo' di segnalibro e tentare di decifrare le pagine mai completamente distese; questo sino al momento di voltar pagina, quando, spesso, ci si distrae, togliendo le dita-segnalibro troppo presto, e il volume, bastardo, si richiude a scatto; ne segue un’affannosa ricerca dell’ultima pagina letta, quindi un nuovo tentativo di concentrazione e nuove dita a segnalibro, ma, ormai, il corpo e la mente, già provati dall'asimmetria della lettura imposta dal formato bestia, maledicono inconsci, e il filo del racconto sfugge, i moti del cuore dei protagonisti cominciano inavvertitamente a trascolorare in un prosaico chissenefrega ... E poi avete mai guardato questi libri dopo una lettura completa? Rigati da piegature innaturali, colle pagine arruffate, patetici come un pulcino bagnato, inservibili, da ultimo, alla collocazione in una libreria decente. La bibliofilia, lascia intuire Kerbaker, al di là di un indubbio gioco feticistico e venale, assolve al compito di preservare l'essenza intima di ciò che si legge.
Questo è uno dei messaggi, impliciti, dell’autore; ma non riposa qui l'unico pregio dell'opera. Anzi, ne vanta altri due, di pregi, di cui uno scaturisce da un difetto.
Cominciamo col difetto. La lingua di Kerbaker appartiene a quello stile da medio esperanto che sembra accomunare, ormai, tutta la prosa mondiale, da Jo Nesbo a Odifreddi a Baricco. Un procedere ordinato e controllato, poco disturbante, scevro di sussulti e impennate, un basso continuo politicamente corretto che, talvolta, degenera o nel romanzato (degli autori discussi) o nell'aneddotica personale (sua, di Kerbaker)[1].
Paradossalmente, però, tale mediocrità di tono, oltre a far risaltare i lacerti delle citazioni, provvede a render leggibile la mole di dati che egli sciorina con la sicurezza del filologo e dell'appassionato sincero, nonché a non affaticare il delinearsi di figure già di per sé eccezionali come Niccolò V, Thomas Bodley, Pepys, Gessner, Joseph von Lassberg.
Inoltre il libro (e qui siamo al secondo merito), strutturato cronologicamente, dal 1300 ai nostri giorni, con le varie figure storiche di bibliofili che si susseguono dandosi il testimone, non obbliga a seguire la concatenazione temporale. Ogni capitolo è un'entrata possibile.
Potrete fare il vostro ingresso dalla porta di Samuel Pepys (pronuncia: pips), bibliofilo, autore di un Diario in cui si raccolgono gli avvenimenti salienti del tempo (dal 1660 in poi) e dove, en passant e con naturale candore, egli registra le proprie imprese di erotomane e cornificatore ("Sono andato alla Taverna del Cigno a bere e a divertirmi un po' con Francesca la sguattera"; "La cameriera di Pen [ la moglie] ha lasciato la casa. Peccato! Era molto graziosa e pensavo di prendermi un po' di svago con lei”)[2].
Poi, passando per il capitolo sui poeti maledetti, potrete fare la conoscenza di Monaldo Leopardi, reazionario di vaglia, ma anche edificatore della biblioteca di famiglia, quella dello 'studio matto e disperatissimo' di Giacomo (e uno dei loci communes più letali delle scuole medie superiori italiane). Un Monaldo che Kerbaker lumeggia con chiaroscuri inaspettati, quelli del bibliofilo di caratura non banale e di padre premuroso e attento riguardo l'educazione del figliolo; cosi, ad esempio, scrive a Carlo Antici: “Giacomo è smanioso di leggere la storia dell'astronomia di G. Federico Weidler ... la prego di ricercarla ... e di ottenerla a qualunque prezzo ... Questo libro necessita al mio figlio ... per un simile lavoro che ha da più mesi fra le mani e che senza il Weidler resta incagliato"; insomma La storia dell’astronomia scritta da Leopardi figlio si deve alla cura di Monaldo. E che dire dell'iscrizione nella casa avita di Recanati, voluta da Monaldo stesso: "In questa camera faceva regolarmente i suoi studi il mio dilettissimo figlio Giacomo, tenendo il tavolino presso alla finestra, colle spalle volte al levante".
Entrate, uscite, sbattere di porte. Shakespeare, Petrarca, Umberto Eco, Fernando Colombo. Qualcuno ne trarrà diletto.
E magari qualcuno si divertirà a sviluppare, per proprio conto, altre riflessioni che il lavoro di Kerbaker stimola, ma a cui egli accenna incidentalmente: omissioni perdonabili (perché aliene dal tono generale), ma importanti. 

La prima. La bibliofilia è una questione di classe. Ecco Kerbaker inciampare nell’argomento: "… davvero un destino curioso distanzia i due maggiori poeti del Trecento: se di Dante non si è conservato nulla di nulla, neppure una firma, di Petrarca abbiamo autografi in abbondanza: lettere, testi vari e le annotazioni su tanti suoi libri …". Non c'è niente di curioso, in realtà: semplicemente Dante, povero in canna, poteva contare su materiali di scarsa qualità, che si sono sbriciolati nel tempo, mentre Petrarca, previdente e in grana, pianificava la propria gloria edificando un monumento pergamenaceo durevole. Dante, che odiava i ricchi, schiumava bile in esilio; Petrarca veniva incoronato poeta laureato in Roma da Stefano Colonna il Vecchio (quello dell’Anonimo Romano) e se ne andava a zonzo per le rovine romane scortato dagli armati della famiglia patrizia. Differenze di classe. D'altra parte i nomi coinvolti nella ricognizione di Kerbaker sono tutti benestanti o plutocrati, uomini di stato e altissimi prelati: Carnegie, Niccolò V, Federigo Borromeo, il cardinal Mazarino, Caterina II di Russia.
E proprio Caterina introduce il corno della seconda omissione. La bibliofilia è roba da uomini. "Nello studio sulle donne collezioniste, le bibliofile non sono neppure nominate, perché sostanzialmente assenti", ammette Kerbaker. In effetti vi sono tratti, nella bibliofilia, di brama di possesso e di controllo tipicamente maschili. Lo dico a naso, senza voler fare sommaria psicologia di genere, come chi ha sfiorato tangenzialmente quel mondo, quello del collezionismo, per puro diletto; solo sfiorato perché sprovvisto di adeguati talleri. Brama di possesso, dei pezzi migliori, ovviamente, e soprattutto volontà di controllo che si esprime nell'oggetto principe dei bibliofili, il catalogo, il libro dei libri. Poter accumulare, nella propria breve esistenza, un intero esercito di volumi atti a rappresentare il mondo, inventariare l'universo, dominare il tempo e, attraverso i libri, le vite di chi li scrisse e di chi venne trasfuso magicamente in essi. In fondo l’utopia antica di trattenere il senso della storia, schedata, imbalsamata e infine spillonata come gli insetti dell’entomologo; come fece Conrad Gessner, che, fra il 1545 e il 1548, approntò una Bibliotheca universalis, ovvero un catalogo universale delle pubblicazioni di ogni tempo.
Una Torre di Babele, azzardo in ultima analisi, destinata alla rovina. Lo stesso Kerbaker, che si occupa di un periodo trascurabile (1300-2000) e di una sola parte della civiltà umana (l’Europa), registra incendi, spoliazioni, deterioramenti, sparizioni. I libri, e il senso della storia connesso (ammesso che sia preferibile mantenerlo), scivola via inesorabile, come sabbia fra le dita. Nel film Rollerball il supercomputer plasmatico incaricato di preservare la memoria dell’umanità cancella, per un guasto, Dante Alighieri. Voi direte che questo non sarà mai possibile, mai, ora e in futuro. Ma ve l’ho già spiegato, questo è un processo in atto da sempre, e acceleratosi negli ultimi decenni. Dove non arrivano le tarme, la follia, la devastazione dell’istruzione classica, la digitalizzazione, i giochetti elettronici e facebook, arrivano i cattivi libri, a milioni, a scacciare e annegare in un mare indistinto quelli meritevoli di tramandare il senso delle nostre esistenze.
Ci resta, non è poco, la testimonianza attiva; e coltivare il nostro giardino.
____________________________

[1] E poi, voglio dirlo, non ci si può riferire a Poggio Bracciolini come a un ‘pierino guastafeste’. È deplorevole.
[2] Non a caso il Diario è il libro feticcio del protagonista de Le invasioni barbariche, il donnaiolo Remy.


4 commenti:

  1. ottima recensione, come sempre, :-) e che dire della parte dove parli del libro come materia! come forma idonea, adatta a comprendere il testo nel modo più degno e gradevole possibile! che garantisca una fruibilità massima, un piacere della lettura che dal contatto fisico dell'oggetto passi all'elaborazione mentale del contenuto!
    finalmente quello che penso scritto in modo egregio :-))

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E infatti quella parte della recensione l'ho scritta ricordandomi della conversazione che abbiamo avuto sulle rilegature.
      Se fossi ministro imporrei per legge rilegature di buon livello e, nei saggi, un indice dei nomi citati. Possibile che devo leggere 500 pagine per capire se hanno parlato di Pinco Pallino?

      Elimina
  2. Giusto e ricordati di imporre specificatamente la cucitura!!
    :-)

    RispondiElimina