mercoledì 13 novembre 2013

Bella ciao, breve storia di una canzone

Ti racconto un libro
(a cura di Domenico Gallo e Italo Poma), Storie della Resistenza 
Sellerio, pp 448

Alceste


Il volume della Sellerio assomma vari resoconti, in prima persona, delle azioni di guerriglia e della vita quotidiana dei partigiani italiani, dal 1943 alla Liberazione. Storie della Resistenza è un testo ammirevole, ma scriverne oggi significa scadere, inevitabilmente, nella commemorazione doverosa e conformista. O meglio: io non sono capace di parlarne senza scongiurare tale pericolo. In tal modo, inoltre, otterrei l'effetto contrario a quello voluto, l'unico che m'interessi davvero: la lettura diretta del libro stesso. Il panegirico buonista: un sistema perfetto per invogliare il like, scaricarsi la coscienza e passare oltre. Come già evidenziato, quando più ci si allontana dal fenomeno sorgivo tanto più si alza il rischio dell'ufficialità più urtante. Che comprendo. Ho deciso, quindi, di arrivare al cuore della celebrazione approdando mellifluo a rive poco battute. Per ben due volte. Stavolta parlando della canzone simbolo della Resistenza, Bella ciao, tanto cantata quanto poco conosciuta; la prossima volta rivelando, com'è giusto, storie ignote di uomini ormai sconosciuti e storie di piccole patrie che non sono più.

Bella ciao è divenuta, ormai, il simbolo incontrastato del periodo resistenziale italiano e, in generale, di qualsivoglia opposizione a regimi antilibertari. Una vittoria, tuttavia, postuma, ottenuta sul lungo periodo ai danni di Fischia il vento (1), che fu il vero inno di larga parte delle brigate partigiane nel Nord Italia.
Durante il conflitto Bella ciao ebbe diffusione limitata nella zona laziale-abruzzese (forse reatina) e, più estesa, nell’ambito dell’Appennino modenese (la si attesta durante la proclamazione della Repubblica di Montefiorino) e bolognese. Ciò sarebbe in accordo con le prime parole del testo che sembrano situare gli avvenimenti nella seconda metà del 1944 durante la ritirata nazifascista quando rastrellamenti e repressioni incrudelivano più dolorosamente proprio in quelle aree.

Il primato della canzone fu però sancito nel dopoguerra, dapprima nei vari festival socialisti e comunisti, poi, a livello europeo, grazie all’interpretazione del pistoiese Yves Montand (Ivo Livi, 1921-1991), depurata, tuttavia, dal riferimento alla guerra di Liberazione (fu omessa l’ultima strofa).
L’origine della ballata, che ebbe una più tarda variante di risaia (2), va ricercata indagando separatamente musica e testo.
La musica risale probabilmente ad una rima infantile (3):

La me nòna l'è vecchierèlla
la me fa ciau
la me diś ciau
la me fa ciau ciau ciau
la me manda la funtanèla
a tor l'acqua per deśinar

Fontanèla mi no ghe vago
la me fa ciau
la me diś ciau
la me fa ciau ciau ciau
fontanèla mi no ghe vago
perché l'acqua la me pol bagnar

Ti darò cicento scudi
la me fa ciau
la me diś ciau
la me fa ciau ciau ciau
ti darò cicento scudi
perché l'acqua te pol bagnar

Cinque scudi l'è assai denaro
la me fa ciau
la me diś ciau
la me fa ciau ciau ciau
cinque scudi l'è assai denaro
perché l'acqua la me pol bagnar

Alor corro a la fontanèlla
la me fa ciau
la me diś ciau
la me fa ciau ciau ciau
alor corro a la fontanèlla
a tor l'acqua per deśinar

Essa era usata, in ambito scolare, per migliorare il coordinamento dei movimenti dei bambini. Questi, situati l’uno di fronte all’altro, ripetevano i versi schiaffeggiandosi i palmi delle mani secondo tale schema:

I.        sAxdA - sBxdB
II.       sAxdB - dAxsB
III.      sAxdA - sBxdB
IV.     dAxdB
V.      sAxdA - sBxdB
VI.     sAxsB

Dove A e B sono i partecipanti, s = mano sinistra; d = mano destra; x = battuta contro. Ad esempio, in I, entrambi i bambini battono le proprie palme l’una contro l’altra; in II, invece, la sinistra del primo bambino batte contro la destra del secondo e viceversa.
La derivazione dalla rima ha il pregio di giustificare i battimani (pur "rifunzionalizzati" da gioco a incitamento) e la melodia in modo minore, rara nell’Italia settentrionale (4).
Il testo, invece, intrattiene un rapporto complesso con ballate popolari molto risalenti. Quasi sicuramente esso origina da varie lezioni di Fior di tomba (5).
Per il famoso incipit, da lezioni veneziane e novaresi. Quest’ultima di seguito:

Sta mattina mi sun levata, mi sun levata prima del sul
Sun andàita a la finestra, ò veduto il mio primo amor,
che parlava a una ragazza; o che pena, o che dolor!
Cara mamma, portè-mi in nanna, ch’i poss pu di gran dolor.
Cara mamma, portè-mi in chiesa, sotto i piè del confessor;
Colla bocca dirò i peccati, e cogli occhi farò l’amor.
Faremo fare una cassa tonda, per star dentro noi altri tre,
Prima páder, poi la madre, poi ‘l mio amor in braccio a me;
Ed ai piedi della fossa pianteremo un bel fior;
Alla sera il piantaremo, al mattin sarà fiorì.
E la gente passeranno, lor diranno: - O che bel fior!
Quello è il fior della Rosina, che l’è morta per l’amor! –

Per l’argomento, la scaturigine è da ricercarsi presso varianti molto più risalenti (anteriori al 1400), di ambiente normanno (poi tracimate in Catalogna e Alta Savoia/Piemonte): una bella ragazza deve essere data in isposa ad un principe o imperatore, ma rifiuta, vuole sposare un prigioniero messo a morte; se non sarà così vorrà essere seppellita assieme a lui e alla famiglia (in tre, poiché lei e il suo amato sono una cosa sola). Qui la traduzione d’una versione torinese:

Di là da quelle boscaglie una bella ragazza c’è;
Suo padre e sua madre vogliono maritarla.
Vogliono darla a un principe figliuolo d’imperatore.
- Io non voglio né re, né principe figliuolo d’imperatore;
datemi quel giovinetto che c’è in quella prigione.
- O figlia, la mia figlia, non è  un partito per te;
domani alle undici ore lo faranno morire.
- Se fanno morire quel giovine, mi facciano morir me;
mi facciano fare una tomba, che ci sia posto per tre,
che ci stiano padre e madre, il mio amore in braccio a me.
In cima a quella tomba pianteranno rose e fiori;
tutta la gente, che ci passa sentiranno l’odore;
diranno: - È morta la bella, è morta per l’amore!

Bella ciao risulta, perciò, dalla combinazione di varianti italiane settentrionali (procedenti da modelli medioevali della Francia normanna) secondo leggi di trasmissione orale (con variazioni, arricchimenti, permutazioni, tacitamenti) proprie della canzone popolare (il blues, caso particolare e minimo di tale gigantesco corpo letterario, non fa eccezione).
Nella rielaborazione partigiana, di ascendenza maschile, la parte della protagonista viene ridotta alla seconda strofa; una parte, invece, amplificata nella versione di risaia, spinta sull’urgenza sociale. Nonostante ciò è proprio la versione resistenziale quella più vicina al sentimento originario, un semplice e profondo inno sull’immortale unità di Amore e Morte.

Una mattina mi son svegliato
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
Mi seppellirai [mi porterai / e seppellire] lassù in [sulla] montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire [mi seppellirai /mi porterai] lassù in [sulla] montagna
[sotto l'ombra] all'ombra di un bel fior.
E [tutte] le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E [tutte] le genti che passeranno
Ti diranno "Che bel fior!"
"È questo il fiore del partigiano",
O bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
"È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!"

A pura titolo di curiosità faccio notare che lo stesso tema (l'amore di una principessa per un prigioniero) è al centro delle strofe del poema medioevale indiano Le stanze dell'amor furtivo, di Bilhana.

(1) Fu Felice Cascione (1918-1944) ad elaborarne il testo e adattarlo al tradizionale russo Katyusha.
(2) L’autore dei testi di tale versione fu il mondino Scansani di Gualtieri, Reggio dell’Emilia. Milva e Giovanna Daffini le interpreti principali. Qui il testo:

Alla mattina appena alzata
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
Alla mattina appena alzata
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
alla mattina appena alzata
in risaia mi tocca andar.
E fra gli insetti e le zanzare
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e fra gli insetti e le zanzare
un dur lavor mi tocca far.
Il capo in piedi col suo bastone
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar.
O mamma mia, o che tormento!
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
o mamma mia o che tormento
io t’invoco ogni doman.
Ma verrà un giorno che tutte quante
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà
alla mattina appena alzata
in risaia mi tocca andar.
E fra gli insetti e le zanzare
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
e fra gli insetti e le zanzare
un dur lavor mi tocca far.
Il capo in piedi col suo bastone
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
il capo in piedi col suo bastone
e noi curve a lavorar.
O mamma mia, o che tormento!
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
o mamma mia o che tormento
io t’invoco ogni doman.
Ma verrà un giorno che tutte quante
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà.

(3) Roberto Leydi, I canti popolari italiani, 1973. Della rima Leydi esamina le lezioni trentina (quella proposta) e lombarda (La mia nonna l’è vecchierèlla/la mi di’ ciò/la mi fa ciò ciò ciò). Entrambe derivano dalla ballata nota come La bevanda soporifera.
(4) Due caratteristiche che fecero pensare ad una derivazione slava della melodia.
(5) Costantino Nigra, Canti popolari del Piemonte, 1888.


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