giovedì 21 novembre 2013

Tre poesie sull'autunno (Emily Dickinson)

Emily Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 - Amherst, 15 maggio 1886) è, di gran lunga, il maggior lirico che la propria terra, gli Stati Uniti d'America, abbiano mai avuto.
La sua vita, che si accese e si spense nella città di Amherst, riassume, una volta per tutte, ad onta dell'inconsistenza biografica, come e perché si forma la creazione poetica più duratura.
 
I. La Solitudine. Emily Dickinson si allontanò raramente dal luogo natio; non conobbe il vorticare della socialità, il fardello della carne e le lusinghe della celebrità che intorbidano la purezza della voce; può affermarsi, con una certa sicurezza, che l'americana intravide la vita esclusivamente dalle trasparenze della finestra della propria camera, al secondo piano della magione di Main Street, in cui si isolò, di fatto, a soli venticinque anni. Ma alla Fama non importa chi si spinge pur lontano sulla faccia della ben rotonda verità: costui rimarrà, nonostante tali febbrili esplorazioni, pur sempre un superficiale, preda o del successo o della moda. La Fama esige che si scavi nel proprio cantuccio, sempre più in profondità, per arrivare al cuore della rivelazione: e questo è ciò che la Dickinson ha compiuto, per tutta la vita, pallida e bianca, esclusa dal clamore, e dal marchio mediocre dell'approvazione. Un viaggio intorno alla propria camera, un minuscolo spazio eletto a cosmo personale, e, quindi, tramite la poesia, a esperienza universale di noi tutti.
Allo stesso modo non occorre leggere troppo, o troppi libri. Occorre leggere bene, e rileggere ancora, sempre meglio. Ci sono grandi poeti devoti a un solo libro, sentiero sicuro alla verità.

II. L'Innocenza. L'esperienza riduce il mondo; l'innocenza lo amplifica. La geografia purissima di Emily Dickinson è sempre evocativa: Eldorado, Calvario, Chimborazo, terra di Van Diemen; solo in tal modo, ignorando le ritenutezze dell'esperienza e della malizia, possiamo riguadagnare lo spazio sottratto al mito e alla favola; come nei cantari medioevali o nel Milione di Marco Polo, quando la poesia era possibile e i nomi risuonavano di echi profondi: Kubla Khan, Catai, il Veglio della Montagna, il Prete Gianni, il Monte della Calamita.
 
III. L'Amore. La Dickinson non conobbe l'amore carnale. Spasimò, solo, di ardente ammirazione spirituale, per il maturo reverendo presbiteriano Charles Wadsworth.  La poesia si nutre di passione inappagata; o perduta. Inevitabile; e giusto. Una passione soddisfatta avrebbe annientato il canto di Emily Dickinson. Il reverendo Wadsworth rimane così, nelle pieghe beffarde della Storia, un puro nome, come Laura, Cinzia o Dulcinea del Toboso; la fuggevole e occasionale causa d'un immortale architettura letteraria.
 
IV. La Morte. La coscienza immediata, dolorosa, della fine, comune alla grande lirica elisabettiana, ai provenzali, al Seicento spagnolo, al Duecento italiano. Ecco un componimento del 1864:

Questa polvere quieta fu signori e fu dame,
E giovani e fanciulle,
Fu riso, arte e sospiro
E bei vestiti e riccioli

Una lirica che riecheggia Mais ou sont les neiges d'antan, di François Villon:

Dove sono le nevi d'un tempo? ...
Ditemi dove, in quale Paese
È Flora, la bella Romana?
Archipiade, e Thais ...
Dov'è la saggia Eloisa ...
Ma dove sono le nevi d'un tempo? ...
La Regina Bianca dalla pelle di giglio,
Che cantava con voce d'usignolo,
Berta dal grande piede, Beatrice, Alice,
Harembourgis che governò la Mayne,
E Jeanne, la bella fanciulla della Lorena ...
Ma dove sono le nevi d'un tempo? ...

Le dame del tempo perduto, dileguate per sempre e vive solo nel canto. La Morte è signora, e, come l'Amore infelice, vanta i lineamenti della verità:

A me piace uno sguardo d'agonia,
Perche so che è sincero;
L'uomo non può contraffare lo spasimo
Né simulare il rantolo.
Gli occhi si fanno vitrei, ed è la morte.
Impossibile fingere
Le perle di sudore sulla fronte
Infilate dalla sommessa angoscia.
 
V. La Poesia. La poesia è uno stato dell'animo. Non altro. Chi conosce i due soli poli della poesia, Amore e Morte, e li conosce nella loro profondità ampliata dall'eco della solitudine, può scrivere di tutto. Ed è così che tutto, l'uomo e la natura e il mondo, persino la minutaglia quotidiana, ha la propria trasfigurazione:
 
... Un poeta - colui che distilla
Un senso sorprendente da ordinari
Significati, essenze così immense
Da specie familiari ...

Emily Dickinson parla, come altri poeti, di notte, giorno, autunno, pioggia, api, rose, aceri. Ma gli altri si limitano a parlare di notte, giorno, autunno, pioggia, api, rose aceri; lei sola, però, come tutti gli illuminati, riuscirà a trasformare e a comporre il giorno e la notte, le api e le rose, la pioggia e gli aceri del Massachussets in "un tesoro inviolabile al tempo".
Ed ecco le tre poesie sull'autunno.

Poesia 12 (1858)

Sono più miti le mattine
E più scure diventano le noci
E le bacche hanno un viso più rotondo,
La Rosa non è più nella città.
L'Acero indossa una sciarpa più gaia,
E la campagna una gonna scarlatta.
Ed anch'io, per non essere antiquata,
Mi metterò un gioiello (1)

Poesia 656 (circa 1862)

Il nome - suo - è "Autunno" -
Il colore - suo - è Sangue -
Un'Arteria - sulla Collina -
Una Vena - lungo la Strada -
Grandi Globuli - nei Viali -
E Oh, l'Acquazzone di Tinte -
Quando i Venti - rovesciano il Bacile -
E versano Pioggia Scarlatta -
Sparpaglia Berretti - laggiù -
Forma rubicondi Stagni -
Poi - avvolgendosi come una Rosa -
se ne va -
Su Vermiglie Ruote - (2)

Poesia 511 (circa 1862)

Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l'estate,
Un po' con un sorriso ed un po' con dispetto,
Come scaccia una mosca la massaia.

Se fra un anno potessi rivederti,
Farei dei mesi altrettanti gomitoli,
Da riporre in cassetti separati,
Per timore che i numeri si fondano.

Fosse l'attesa soltanto di secoli,
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Nella Terra di Van Diemen.

Fossi certa che dopo questa vita
La tua e la mia venissero,
Io questa getterei come una buccia
E prenderei l'eternità.

Ora ignoro l'ampiezza
Del tempo che intercorre a separarci,
E mi tortura come un'ape fantasma
Che non vuole mostrare il pungiglione (3)
 
(1)
The morns are meeker than they were-
The nuts are getting brown -
The berry's cheek is plumper -
The Rose is out of town.
The Maple wears a gayer scarf -
The field a scarlet gown -
Lest I should be old fashioned
I'll put a trinket on.

(2)
The name - of it - is "Autumn" -
The hue - of it - is Blood -
An Artery - upon the Hill -
A Vein - along the Road -
Great Globules - in the Alleys -
And Oh, the Shower of Stain -
When Winds - upset the Basin -
And spill the Scarlet Rain -
It sprinkles Bonnets - far below -
It gathers ruddy Pools -
Then - eddies like a Rose - away -
Upon Vermillion Wheels

(3)
If you were coming in the Fall,
I'd brush the Summer by
With half a smile, and half a spurn,
As Housewives do, a Fly.
If I could see you in a year,
I'd wind the months in balls -
And put them each in separate Drawers,
For fear the numbers fuse -

If only Centuries, delayed,
I'd count them on my Hand,
Subtracting, till my fingers dropped
Into Van Dieman's Land.

If certain, when this life was out -
That your's and mine, should be -
I'd toss it yonder, like a Rind,
And take Eternity -

But, now, uncertain of the length
Of this, that is between,
It goads me, like the Goblin Bee -
That will not state - it's sting

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